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10 giugno

1928
Il miracoloso pareggio

Allora Monsù, com'è andata? Perché non ci ha ancora trasmesso il resoconto di questa benedetta partita? D'accordo: lei è alla quinta Olimpiade ed è ancora amareggiato per la sconfitta degli azzurri in semifinale; l'oro del calcio è conteso da Uruguay e Argentina: pazienza. "Il grande torneo olimpionico è incappato in una interruzione sorprendente proprio all'ultimo momento, ieri, quando due squadre stavano per disputarsi la finalissima del torneo". Ah, ora tutto è chiaro. Non hanno giocato. "La sorte non ha voluto che la finalissima del torneo internazionale di calcio fosse liquidata ieri davanti a 35000 persone, ché tante erano presenti alla prova". Quale sorte? Che è successo? "La grande prova è terminata senza vincitori né vinti". Insomma, Monsù, è un resoconto che si presta ad equivoci. "Un vero miracolo non ha voluto che l'incontro fra le due squadre dell'America latina avesse una conclusione positiva". Positiva? "Il Comitato organizzatore è quindi interpellato e dopo breve discussione decide di far ripetere l'incontro per la finalissima mercoledì alle ore 19". Un pareggio, che miracolo. Ci sentiamo, Monsù Poss. Scribacchino, lo metta in chiaro, almeno nell'occhiello: uno a uno, gol di Petrone (foto) e di Ferreira.
Cineteca


1934
Al diavolo l'estetica!

"Animati dalla presenza del Duce i calciatori italiani conquistano il campionato del mondo" (così, a nove colonne, il Corriere della sera, che dosava benissimo l'uso delle maiuscole). E La Stampa? Sempre a nove colonne: "I calciatori italiani alla presenza del Duce conquistano il campionato del mondo"; identico il dosaggio delle maiuscole, leggermente variato il ruolo (di semplice astante) attribuito al Duce. E la rosea? "Gli azzurri conquistano alla presenza di Mussolini il Campionato del Mondo". Varianti adiafore, qualche maiuscola in più. Stampa di regime, ça va sans dire. Meglio ricorrere alla narrazione ex post del maestro, che inizia così: "Il ducione ha promesso di assistere alla finale e si fa acquistare un biglietto per dare il buon esempio in quella che poteva e può definirsi, a ragione, la seconda capitale dei portoghesi". E questa è la partita. "Il primo takle operato da Monti si spegne sinistramente su una caviglia si Svoboda, che è il regista degli avversari". Naturalmente "la nemesi punisce immancabilmente gli italiani, colpevoli di tanto determinismo, e l'anziano Puc riesce a infilare Combi con un diagonale carico di diabolici effetti". Poi, dopo che Svoboda colpisce un palo "con la caviglia buona", ecco che "il brivido viene disinvoltamente assorbito per una improvvisa esplosione di Orsi". Si va verso l'epilogo atteso da uno "stadio gremito di fervidi patrioti, non proprio di sportivi". Il primo tempo supplementare è iniziato da poco: "Guaita appoggia verso destra quando tutta la difesa avversaria si aspettava la solita insistita apertura a sinistra; sulla palla invitante di Guaita arriva Schiavio ingobbito dalla voglia: il suo destro è una vera e propria esecuzione. Planicka vola per deviare ma ricade affranto". Titoli di coda: "Gli azzurri ricevono premi ingenti. I cechi si dicono derubati e Praga gli decreta ugualmente il trionfo. I commenti tecnici sono quasi tutti malevoli". E Monsù Poss? "Al diavolo l'estetica!", risponderà.

1962
Capolinea ungherese

Campo spelacchiato, tribune assolate ma non deserte a Rancagua. Si sfidano due undici d'Oltrecortina. Una classicissima del calcio d'Europa: Cecoslovacchia-Ungheria. Tutti si aspettano - forse per un moto di comprensibile simpatia - che vincano i magiari. I cechi però non scherzano: prendono pochi gol, se vogliono addormentano le partite e schierano uno dei migliori giocatori visti sui prati cileni: Josef Masopust. E' proprio lui che, intorno al quarto d'ora del secondo tempo, riceve un pallone sulla tre quarti. Pressato, si decentra, ma poi verticalizza improvvisamente, di sinistro. Libero, poco fuori dell'area, evitata la trappola del fuorigioco, c'è Adolf Sherer (foto) - il centravanti, di origini evidentemente tedesche, appena ingaggiato dallo Slovan di Bratislava. Il suo movimento è perfetto: lascia scorrere la sfera mentre si gira, e quando entra nei sedici metri tutti capiscono come finirà l'azione. Con uno shoot preciso, rasoterra e angolato. Uno a zero: ungheresi al capolinea, cecoslovacchi già in viaggio verso Viña del Mar, dove sono attesi dagli imprevedibili fratellini di Tito.
Cineteca

1978
Vittoria di prestigio

Se Argentina-Uruguay è il derby italiano del Sudamerica, Argentina-Italia è un derby italiano e basta (o quasi). Immigrati oppure oriundi, generazioni che si fondono e si confondono, c'è sempre un biglietto di andata e spesso uno di ritorno. Stavolta no, si gioca al Monumental ma non conta nulla, nessuno andrà o tornerà a casa. Chi vince, vince il girone, si toglie una soddisfazione, le soddisfazioni fanno bene al morale. Vince l'Italia, l'ancor giovane Vécio schiera la formazione-tipo, ma la sfianca per difendere vittoria, prestigio e democrazia, sicché la fatica accumulata appesantirà le gambe nelle gare davvero decisive. Certo, il gol di Bettega è un capolavoro che rimane scolpito nella memoria, oltre che nelle tabulae del mondiale: "un triangolo perfetto, dentro il quale la difesa argentina rimase persa più di un cieco in mezzo a una sparatoria" (Galeano).

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4 giugno


1916
Calcio danubiano

Mentre la grande armata austro-ungarica cerca, con alterne fortune, di espugnare l'Altipiano dei Sette Comuni e di stabilizzare il controllo di Monte Cengio, a Budapest le due metà dell'impero si contendono l'egemonia calcistica. Accade regolarmente dal 1902. Anzi: si può aggiungere che l'Austria, dalle origini e per un decennio, abbia giocato a pallone solo se c'era anche l'Ungheria (un paio di volte è venuta a Vienna l'Inghilterra, e nel 1911 si registra una scappatella in Germania); l'Ungheria preferiva coinvolgere anche la Boemia (che agli austriaci stava antipatica) e, dal 1910, è andata a cercare amicizie anche altrove.  Nel 1912 sono volate assieme in Svezia per le Olimpiadi, ma l'Ungheria è dovuta tornare subito indietro per colpa degli inglesi, indisponibili a lasciare spazio nel tabellone dei quarti di finale. Come che sia. Siamo a Budapest, nello stadio (foto, ma posteriore) che un giorno molto lontano verrà intitolato a Nándor Hidegkuti, lo stadio del Magyar Testgyakorlók Köre (MTK). In maggio, a Vienna, ha vinto l'Austria, tre a uno. Oggi sono favoriti i padroni casa. C'è tanta gente al campo, e non si sente - nemmeno da lontano - odore di polvere da sparo.
Tabellino


1928 
Campioni d'Europa (e perchè no?)

Amsterdam, IX edizione dei Giochi Olimpici estivi, torneo di voetbal: ai quarti di finale duro confronto tra Italia e Spagna. Era capitato già ad Anversa nel 1920 e a Parigi nel 1924, con esiti alterni. Dell'undici azzurro, rispetto a Colombes, ci sono ancora quattro pezzi grossi: Rosetta e Caligaris, Baloncieri e Levratto (foto). Gli spagnoli hanno portato in Olanda gente di poca esperienza, e nessun pedatore proveniente da Madrid o da Barcellona. Per esempio: Zamora non c'è. L'assenza del 'Divino' può bastare da sola a illustrare l'umiliante sette a uno che porta l'Italia in semifinale. Monsù Poss, 'inviato speciale' de La Stampa, esulta: siamo gli unici europei rimasti in lizza. Poiché "nel 1924 a Parigi la Svizzera aveva classificato se stessa come campione europea dato che chi si trovava davanti ad essa era di provenienza americana, oggi noi potremmo per uguale considerazione fregiarci dello stesso titolo".
E fregiamocene!

1938
Lex burgundiorum

Les Parisiennes si disinteressano o quasi del football, ma inizia la Coppa del mondo voluta da un burgundo, quel Giulio Rimet inesausto appassionato ed escogitatore, e tocca andare al Parco dei Principi per veder giocare le rappresentative di paesi confinanti. Per onorare la corazzata del Reich - maledizione - opposta nel match d'apertura alla Svizzera. Bene, vogliamo essere neutrali e dunque parteggiamo per la Suisse, anche se con la Germania, da dieci anni a questa parte, ha sempre buscato. In effetti tutto sembra procedere secondo logica. I teutonici (in realtà una mista austro-tedesca, per via dell'Anschluss) producono il loro gollettino prima della mezz'ora, les jeux sont faits. E' a questo punto che sul loro glorioso orizzonte fa capolino la sagoma di André "Trello" Abegglen (foto), ginevrina stella del Servette. Un gol, l'inutile e sterile prolongation, ed è così necessario rejouer la partita. Trascorre una settimana, e Abegglen, altro gigante burgundo (oui, ja) nonché signore del lago e del fiume, trascina la simpatica comitiva rossocrociata a una clamorosa rimonta. E' proprio lui, infatti, ad assestare gli ultimi due colpi di spada alla boccheggiante armata hitleriana. Quattro a due.
Cineteca


1955
London XI

E' il battesimo della "Coppa internazionale delle città di fiere industriali" (vulgariter Coppa delle fiere), e anticipa di tre mesi l'avvio della prima Coppa dei Campioni. Il torneo si concluderà nel 1958: tre anni per disputare, complessivamente, diciassette partite. Strana competizione: dieci squadre iscritte, due elvetiche, due inglesi (ma una sola 'vera'), due tedesche (il Leipzig, nonché una rappresentativa della città di Francoforte farcita di pedatori dell'Eintracht), una spagnola (il Barça), una danese (il Copenaghen), una jugoslava (lo Zagabria), un'italiana (l'Inter). A Basilea, per il calcio d'inizio, si presenta un undici londinese composto da quattro giocatori del Chelsea, due dell'Arsenal, uno del Tottenham, uno del West Ham, uno del Fulham e due del Charlton Athletic. Atleti di club divisi da acerrime e pressoché secolari rivalità, in sostanza. Nessuno di loro militerà nell'estemporaneo London XI (che conquisterà la finale) sino all'ultimo giorno del torneo.  L'ouverture di Basilea fu monopolizzata da Clifford Holton, bomber dell'Arsenal che passerà al Watford giusto in tempo per perdersi la finale, e da Eddie Firmani, italo-sudafricano che a quella presenza non ne sommò altre, perché dall'autunno immediatamente successivo fu di scena sui campi della Serie A, prima con la maglia della Samp e poi con quella dell'Inter (sarà lui il primo centravanti di Habla Habla). A Sankt Jakob, Holton realizzò una tripletta, introdotta e fissata dai gol di Firmani. Prodezze dimenticate, delle quali nessuna immagine si riesce a trovare.


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29 aprile

1928
Il primo timbro di Peppino nel derby

Non ha ancora diciott'anni, ma è ormai stabilmente tra i titolari. Scende regolarmente in campo, se la squadra non strabilia le responsabilità non sono certamente sue. Oggi c'è il derby, a San Siro. E' favorito il Milan. Anzi. Il Milan potrebbe anche vincere il campionato, quest'anno. E' una squadra battagliera, vivace. Ma sarà capitato cento volte: quelli che alla vigilia sono ritenuti migliori, alla fine perdono. Due a uno per l'Inter, e a segnare per primo, segnando il suo primo gol in un derby, è quel ragazzino di cui si diceva all'inizio: Giuseppe Meazza.
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1972
La terribile potenza teutonica

Sei anni dopo la Germania torna a Wembley, per il quarto d'andata della fase finale del campionato d'Europa. Gli inglesi hanno ancora nell'undici di partenza cinque titolari della finale mondiale: Banks, Moore, Ball, Hurst, Peters; i tedeschi solo tre; il Kaiser, Höttges e Held. Per Sir Alf è una autentica Waterloo; quella impartita dai tedeschi una memorabile lezione di calcio, anche se la vittoria (tre a uno) matura solo nei minuti finali, favorita dalle possenti giocate di Netzer e dall'infallibilità dogmatica - sotto porta - di Gerd Müller.  "One of the seismic events in English football history" (Jonathan Wilson): il ciclo di Ramsey era chiaramente tramontato; l'egemonia teutonica inizia in quel pomeriggio di Wembley.


1987
Addio all'erba verde dei campi

Tutto si può dire di Roi Michel, ma non che gli sfuggisse la direzione delle cose. Aveva capito benissimo che la sua Francia era giunta al termine di un glorioso ciclo, e che non ce l'avrebbe fatta a prenotare un posto per l'europeo germanico del 1988. L'autunno del 1986 compromette chiaramente la classifica nel girone di qualificazione, sin dalle prime partite. Lui, peraltro, ha già deciso di ritirarsi. Non ha più voglia di correre. Per l'addio con la casacca dei Bleus, gli vanno bene il Parco dei Principi e un avversario tutt'altro che irresistibile: l'Islanda. Non lo dice ai francesi, così lo stadio è mezzo vuoto e nessuno si aspetta gol e prodezze da celebrare. Non è un tipo romantico e guarda sempre al futuro, per il quale ha già millanta progetti.
Tabellino | Highlights


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