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25 aprile

1908
Lupi affamati

Al Crystal Palace doveva essere una formalità. Epilogo di FA Cup scontato: da un lato il Newcastle, club dominante, campione d'Inghilterra non ancora scalzato, alla terza finale (le precedenti perse) in pochi anni; dall'altro il Wolverhampton, modesto undici di centro-classifica della Seconda divisione. I Wolves arrivano in fondo anche grazie a sorteggi favorevoli: una sola squadra di First sul loro cammino, il Bury, al secondo turno. Per i Magpies è stata una navigazione più ardua, ma relativamente. Insomma: il pronostico è chiuso, e naturalmente viene ribaltato. Tre a uno. Rete decisiva di William Ewart "Billy" Harrison, interno destro, leggenda del club. Non perciò i Wolves decollarono. Torneranno sulla scena della Prima divisione solo nei 1930s.


1978
Il moltiplicatore di miracoli

Si compie, con una vittoria sul campo dell'Ipswich Town, il primo tratto della clamorosa traiettoria disegnata dal Nottingham Forest alla fine dei 1970s. Il titolo di campione d'Inghilterra è matematicamente in tasca, e lo scontro diretto col Liverpool del 4 maggio sarà solo una festosa passerella. Bene. I Tricky Trees arrivavano dalla Seconda Divisione; e, dunque, quello di Brian Clough (statua) fu un autentico miracolo. E miracolo genera miracoli: grazie a quel solo (e isolato nella storia del club) titolo, arriveranno in sequenza due Coppe dei campioni e una Supercoppa d'Europa. La bacheca del club è (quasi) tutta qui.



1990
Non possiamo neanche dire che hanno segnato in fuorigioco

Il Meazza è stracolmo di gente arrabbiata. Sono i tifosi (ultras e non) milanisti, che si reputano defraudati dello scudetto e hanno voglia di farlo sapere esponendo chilometri di striscioni (foto). Chissà se hanno visto la partita. La partita è quella di ritorno della finale di Coppa Italia, certo non è che stuzzichi l'appetito, anche perché la Juve di questi tempi non è quella gran cosa, l'andata è finita senza gol, figuriamoci se i rossoneri non ne segnano almeno uno anche in novanta, anche in centoventi minuti. Beh, non solo rimangono all'asciutto, ma sono così distratti e furenti che finiscono subito nella trappola che erano soliti tendere agli avversari. Sulla verticalizzazione di Marocchi scatta Galia, che è in posizione regolare e uccella Giovanni Galli con un tocco in controtempo di intelligenza notevole. "Alle 17.35, quando mancano dieci minuti alla fine, a centinaia i rossoneri, lividi e cupi, lasciano gli spalti. Quelli che scendono dopo che sul grande schermo compare la Coppa Italia nelle mani di Zoff, riempiono le scale di silenzio. Cinque minuti trascorrono prima che un ragazzo la butti sul ridere: E adesso? Non possiamo neanche dire che hanno segnato in fuorigioco. Accennano un sorriso i suoi amici, ma gli altri restano torvi" (Piero Colaprico, La Repubblica).


2014
Tito

Non brillò particolarmente, come calciatore. Prometteva però di diventare un ottimo allenatore, crescendo alla scuola del Barça; era stato designato successore del Pep. Un'eredità pesante. L'incurabile male gli ha portato via tutto ciò che poteva avere e che poteva dare. Francesc ('Tito') Vilanova i Bayó se n'è andato, non aveva ancora cinquant'anni.

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12 aprile


1908
La bestia nera di Bruges

Molti cittadini di Francia si chiedevano che motivo ci fosse per allestire una rappresentativa nazionale di football. Perché si ponevano – scuotendo la testa mentre sfogliavano i giornali dove le notizie di sport guadagnavano sempre più spazio - questa domanda? Semplice: nel gioco del pallone la Francia subiva scoppole ripetute, riuscendo a vincere solo un paio di volte e del tutto casualmente contro la Svizzera. Erano disdicevoli e disonorevoli passivi a doppia cifra, in alcune circostanze. E allora ci riprovano contro il Belgio, a Colombes, nello stadio appena acquistato da Le Matin. Ma a Robert de Veen (foto) basta meno di mezz'ora per mettere in fuga parecchi dei 498 spettatori presenti. De Veen giocava nel FC Brugeois. Scese in campo sette volte contro i francesi, e tredici volte li castigò.
Un serial killer, degno di Simenon.
La preistoria del football internazionale è poesia dei numeri primi.
Tabellino | Robert de Veen: carriera internazionale

1948
L'antipatico

Nasce, a Viareggio, Marcello Lippi. Giocatore discreto, allenatore di grande successo. Trionfi nella Juve, e il quarto titolo mondiale con l'Italia. Un grande, senza dubbio. Ma anche un grande antipatico. Una primadonna, a scapito dei suoi giocatori. Ma anche uno senza peli sulla lingua. Come quando non riusciva a cavare un ragno dal buco, allenando la Beneamata. Era il 2 ottobre del 2000, e l'Inter aveva buscato a Reggio Calabria: "se fossi il presidente manderei via subito l'allenatore, poi chiamerei i giocatori e li attaccherei tutti al muro e gli darei dei calci in culo a tutti". Un ruvido gentleman.


1987
Un partido para olvidar

Strana formula, quella escogitata per la Primera División 1986-87. Le prime sei classificate si portano dietro i punti conquistati e rigiocano tutto in un nuovo girone de la muerte. Iniziano Real e Barça al Bernabéu. Sono divise da un solo punto. "El Barça fue recibido con una fuerte pitada, pero al final los reproches fueron compartidos por ambos equipos al ritirarse del campo" (Mundo Deportivo). Già. El Clásico finisce a reti bianche: evento rarissimo. In sostanza, "un partido para olvidar". 



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5 aprile

1902
Ibrox Disaster

Il secolo breve era molto giovane. Per alcuni finì a Ibrox Park. Già. Un ingrato destino aveva selezionato 25 anime, 25 fra le 70.000 che nel pomeriggio del sabato erano là per godersi Scozia-Inghilterra. Fu la tribuna occidentale a collassare. Fatalità?
R. S. Shiels, The Fatalities at the Ibrox Disaster of 1902 ("The Sports Historian", 18/2, 1998).







5 aprile 1908
L'amico Fritz

Fritz Becker. Nella foto, è il terzo tra i giocatori, da sinistra. L'XI schierato ha quella maglia così strana, ma l'aquila stampata sul petto è inequivocabile. Sì, è la Germania. La prima Nationalmannschaft che scende in campo. A Basilea, nel piccolo Landhof Stadion, contro la rappresentativa elvetica. E poiché  lui, Fritz Becker, attaccante dei Kickers di Francoforte, fu il primo a segnare un gol in quella partita, è giusto assegnargli il titolo di protobomber della nazione. Becker fu dunque nonno di Fritz Walter, bisnonno di Uwe Seeler, bisavolo di Gerd Müller, tri­savolo di Karl-Heinz Rummenigge e avo degli avi di Lukas Podolski.
Poldi Podolski? Uhm.

1942
La guerra finirà

Valentino Mazzola esordisce in nazionale quando milita ancora nel Venezia. A Marassi, contro la Croazia - stato fantoccio emerso dopo la dissoluzione del Regno -, che in realtà schiera l'XI del Građanski di Zagabria. Il match è di palese valore propagandistico. In ritiro a Chiavari, gli azzurri "si sono recati a visitare i feriti di guerra degenti in un ospedale della cittadina intrattenendosi a lungo amichevolmente con essi"; il loro spirito "è, come al solito, elevato" (Monsù Poss). Sul campo non hanno problemi, anche se si gioca con vento e acquazzoni. "Mazzola ha stentato a trovare l'equilibrio in corsa sul terreno e, più ancora, a svincolarsi dalla guardia di cui era fatto oggetto. Alla distanza però è venuto fuori", e il suo ultimo quarto d'ora è stato "a spron battuto" (Eugenio Danese). Valentino è un campione, quando finirà la guerra diventerà il capitano, e giocherà in nazionale per tanti e tanti anni, pensano tutti coloro che hanno il tempo di pensare al football.

1978
Scaramanzie teutoniche e illusioni carioca

Non è solo il vento che soffia dal mare del nord a rendere gelida la serata del Volksparkstadion. Intirizzita all'avvio, la Seleçao di Coutinho (foto) si riscalda correndo, e alla lunga domina sulla Nationalmannschaft. E' la sfida tra gli ultimi undici arrivati sul tetto del mondo; gli osservatori ritengono il match un anticipo della finale prevista al Monumental di Baires per il prossimo 25 giugno. I tedeschi sono scaduti a notevole modestia: si sente la mancanza del Kaiser, e Kalle Rummenigge non vale certo (non ancora, perlomeno) Gerd Müller. Possono solo vichianamente contare su corsi e ricorsi storici: un identico test avevano organizzato nell'estate del '73 (tabellino), con vista sul mondiale casalingo, e uguale fu il risultato (zero a uno). Grandi, le risate di Eupalla.

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1° aprile

1908
El Ciclón

"Hay que romperse todo para vencernos": con questo motto tutt'altro che rassicurante era stata avviata, a Buenos Aires, una squadra di calcio, col nome di "Los Forzosos de Almagro". Un salesiano (Lorenzo Bartolomé Martín Massa) decise che l'esperienza aveva risvolti socialmente utili per i ragazzi allo sbando del quartiere. Nacque così il San Lorenzo de Almagro, considerato tra i cinque grandi club d'Argentina, e oggi agli onori delle cronache: non solo per le prodezze pedatorie, ma anche perché un suo aficionado gesuita siede sulla cattedra di San Pietro.


1953
Il mercoledì santo del Paraguay

Battere il Brasil all'ultima partita del Campeonato, e costringerlo allo spareggio. Il Paraguay ci riuscì: due a uno, in rimonta. A Lima, dunque, la grande occasione. La Seleçao è impaurita, si vede benissimo. La Albirroja "tuvo un comienzo demoledor, y al cabo del primer tiempo se retiró con un contundente 3-0". A questo punto entra Oswaldo Silva detto Baltazar, temibilissimo cannoniere del Corinthians. Il Brasile rinviene. 3-2, manca più di mezz'ora. "Los relatores del partido prácticamente ya no transmitían nada. Solo repetían una y otra vez cuánto faltaba para concluir el partido, hasta que llegó el final y Paraguay fue justiciero campeón". Per la prima volta, naturalmente.
Tabellino | Racconto (José Maria Troche, Abc Color)


2012
Long John

Si spegne, a Naples (Florida), Giorgio Chinaglia. Vita difficile, personaggio discusso e discutibile. Non era un 'raccomandato', ma uno che ha fatto la gavetta. Trascina la Lazio al primo scudetto. Arrivato in nazionale, non convince mai del tutto. Celebre il gesto rivolto a Valcareggi con cui accoglie la sostituzione nel primo match dell'Italia al mondiale tedesco. Nei secondi 1970s emigra a New York, per giochicchiare nel Cosmos con Pelé e Beckenbauer. Sul dopo, stendiamo il velo della pietà. Ricordiamolo sul campo nei suoi anni migliori: devastante in progressione, uomo-reparto, uomo-squadra.



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9 marzo

1908
Internazionale Football Club Milano

"San Siro, quando gioca l'Inter, perde il brillio entusiasta e diavolesco del rosso milanista, diventa un catino ombroso, spesso anche adombrato, il catino che riflette e raccoglie l'incertezza degli umori celesti, mezzo azzurri mezzo neri" (Michele Serra)

Marzo: il mese matto. La storia dell'Inter è scritta nel momento stesso in cui inziava. L'inizio è tutto sommato non diverso da vari altri inizi di storie: sono alcuni soci del Milan Football and Cricket Club (una quarantina) che - uscendone - fondano la nuova società. Alle origini della fronda una questione sempiterna nel calcio italiano: il reclutamento di stranieri. Chi era a favore, chi era contro. Quelli che avviarono l'Internazionale Football Club erano a favore. Come che sia, la diaspora si rivelò una fortuna. Milano ebbe due grandi squadre, per sempre rivali.
Sito ufficiale | Il verbale della fondazione


1966
L'imprevedibilità degli jugoslavi

Non di rado accadeva, un tempo, che i club dell'Europa orientale facessero un po' di strada in Coppa dei campioni. La prima che riuscì ad arrivare sino in fondo, senza farsi bucare le ruote dagli squadroni britannici o latini, fu il Partizan di Belgrado, che contese (con sfortuna) il trofeo al Real Madrid nell'edizione 1965-66. Nei quarti di finale il sorteggio mise il Partizan di fronte allo Sparta di Praga, club di grande tradizione. L'andata in Cecoslovacchia fu disastrosa: quattro a uno, e ghigno sarcastico di Andrej Kvašňák, centrocampista dal gol facile, visto che ne infilò tre. Ma poi, al JNA Stadion, a Belgrado, quello che suona la carica è un vero campione: Velibor Vasovic (nella foto, svetta a inzuccare). Non a caso, verrà scelto come balia di campo per i giovani olandesi dell'Ajax, di cui accompagnerà l'irresistibile ascesa. Ma eravamo al JNA. Come finisce la partita? Cinque a zero per il Partizan e biglietto soffiato ai boemi per la semifinale, gli jugoslavi sono sempre così: mattoidi, cioè imprevedibili, cioè capaci di qualsiasi impresa, nel bene e nel male.
2005
Il Grande Etienne

Si spegne, a Subotica, István Etienne Nyers. Il giramondo. Non fosse stato una testa matta, avrebbe forse giocato stabilmente nell'Aranycsapat. Ma fece le fortune - e le vittorie - dell'Inter nei primi 1950s. Due scudetti; valanghe di gol. Andava all'allenamento "a bordo di auto americane. Le cambiava spesso, al pari delle fidanzate. Erano gli anni della ricostruzione, non è che ci fossero tanti ricchi in giro e la sua fama di tipo brillante si sparse in fretta nell’universo femminile" Amava donne e poker: "giocava e pagava, pagava e giocava. Anche a biliardo, anche fuori del nostro giro" (Sergio Brighenti).

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