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20 febbraio

1921
Quella prima volta a Marsiglia

Solo una volta la Francia giocò allo Stade de l'Huveaune, arena dell'Olympique Marseille. Ebbe di fronte l'Italia, per un confronto ormai quasi classico. Dicono le cronache che i francesi dominarono il campo nel primo tempo, finito avanti di un gol. Ma nel secondo la truppa azzurra si riscosse, rimontando e vincendo la partita (decise il genoano Aristodemo Santimaria - nella foto), stabilendo un'egemonia sui confinanti che non verrà intaccata fino a tempi assai recenti. Prima vittoria italica in terra franzosa.
Tabellino

1940
Il lavativo

Nasce, a Londra, Jimmy Greaves. Per dire: a ventuno anni avrà già segnato cento gol in First Division. Chelsea e Tottenham saranno le sue squadre, con breve parentesi al Milan (dieci partite, altrettanti gol) e un'ultima stagione (poco più che trentenne) a Upton Park. "Un abilissimo stilista, ma un gran lavativo", fu il giudizio di Brera. Appese le scarpe al chiodo, farà fatica a contare i propri gol; ma le appenderà vicino alla foto della Coppa del Mondo che vinse nel 1966.

Mazzandro e Domingo
1971
Dopo i pomodori, gli agrumi

I paradossi del calcio italico. La nazionale di Valcareggi, campione d'Europa e vicecampione del mondo, non fu molto apprezzata in vita. Così, dopo i pomodori al ritorno dalla leggendaria spedizione messicana, ecco gli agrumi a Cagliari. Per la prima volta a Cagliari, in un'amichevole contro la Spagna, gli azzurri scendono in campo senza un sardo, senza un solo uomo che militi nella squadra campione d'Italia. Riva si era immolato a Vienna. Domenghini è in panca, il che indispettisce ancora di più il pubblico - al suo posto, in posizione di ala destra, c'è Mazzola, "fischiatissimo come un ladro di maglia". Così i cagliaritani parteggiano per la Roja, guidata da Ladislao Kubala, che chiude il primo tempo sul due a zero. Confuso forcing dei nostri nel secondo tempo, svantaggio solo dimezzato. "E' caduta una stella, è finita la fortuna, anch'essa stanca di concedere i suoi favori a gente che ne ha goduti fin troppi": così intonava il De profundis Giovanni Arpino. "E ora non ci si venga a dire che si trattava di un incontro amichevole: questo è un incontro storico. Si scende dal vecchio carrozzone per salire su uno nuovo, anche se costa doverlo aspettare qualche minuto di più alla fermata". L'attesa si protrasse, per qualche anno.
Cineteca

1979
Addio al Paròn

Si spegne, a Trieste, Nereo Rocco, grandissimo interprete del calcio all'italiana, artefice del primo ciclo europeo del Milan. "Un uomo diverso da com'è stato raccontato. Timido, rispettoso. Sembrava burbero ma non lo era, ogni tanto gli scappava una battuta in dialetto ma era un uomo colto, che non diceva mai nulla di banale. Parlava volentieri con noi, ma non aveva mai il coraggio di avvertirci: oggi stai fuori" (Giovanni Trapattoni).



3 febbraio

1971
Nello stadio dell'impero

Non a Wembley, ma a Gżira, oggi Repubblica di Malta. I Leoni d'Inghilterra esordiscono nell'isolotto, e l'evento è (come spesso capita con gli inglesi) storico. Si tratta dell'ultima partita di qualificazione per gli europei, serve una vittoria. Ramsey non è particolarmente preoccupato, e schiera diverse matricole: McFarland, Chivers, Royle, Harvey. Non è propriamente una generazione di fenomeni. La folla attende, fiera e compatta, il calcio d'inizio.
Tabellino | Documentario: pt. 1 - pt. 2 - pt. 3 | Memorie



1894
Il figlio di Dio

Nasce, a Milano, Renzo De Vecchi. Precocità e limpida classe gli valsero il soprannome - e si racconta che gli capitasse di giocare con scarpe da passeggio e assoluta nonchalance. Nella tassonomia azzurra, risulta il più imberbe, e in tempi moderni avrebbe certamente superato (e di parecchio) le cento presenze. Vinse scudetti col Genoa, club cui passò dopo le prime stagioni al Milan. Fu espulso una volta sola, in un'epica sfida-spareggio contro la Juve caratterizzata da indicibili nefandezze arbitrali. Così, almeno, narrano le cronache dei tempi.
Profilo e documentazione



1929
Espanyolistas di Barcelona

Destinati a grame stagioni da vivere nell'ombra del Barça, i supporters dell'Espanyol possono ancora raccontare con soddisfazione una favola, quella della Coppa vinta contro il Madrid nell'anno della Grande Crisi. Ma sarà favola o realtà? Gli albi ufficiali dicono che la partita ci fu, si giocò al Mestalla di Valencia, ed effettivamente vinsero i Periquitos. C'era anche un eroe? Sì, certo. Si chiamava Ricardo Zamora.

2 gennaio

1955
Vizi antichi

Beh, il 2 gennaio 1955 a Firenze la storia è brutta. C'è il derby dell'Appennino, e chi arbitra? Il giovane Giulio Campanati. Sì, lui, allora poco più che trentenne, protagonista più avanti di una carriera dirigenziale ad altissimo livello. La partita è accesa, ma Campanati commette alcuni errori che sembrano evidenti. Tutti a favore del Bologna, dicono le cronache. Non vede falli di mano in area, non fischia posizioni di off-side segnalate dal guardalinee, espelle un giocatore viola (Magnini). Capita, si sa. Sugli spalti monta un certo nervosismo, che (non improvvisamente) esplode. Dal settore opposto alla tribuna d'onore, la gente tracima in campo. Campanati e i suoi collaboratori fuggono verso gli spogliatoi; l'arbitro, vicino al sottopassaggio, riceve un paio di botte in testa. Gli tirano addosso di tutto. Protetto dalla polizia, Campanati lascia lo stadio. Partita sospesa: il Bologna conduceva per tre reti a una.
Setimana INCOM 


1972
Scende la pioggia

Come non di rado capitava, squadre e squadroni di Milano e Torino s'incrociano nella stessa domenica: autostrade ingolfate e stadi pieni. A San Siro c'è Inter-Juventus (sfida di vertice), la polizia spara lacrimogeni sugli aspiranti portoghesi, Prisco dice che lo stadio è ormai troppo piccolo e ce ne vorrebbe uno da settecentomila posti (testuale). Invece al Comunale c'è Torino-Milan, ma piove e gli spalti presentano una distesa di ombrelli (foto). Ma ha piovuto troppo poco, purtroppo per il Toro. Perché? Perché la società ha stipulato con Moschino e Puja (già calciatori granata, e rappresentanti di una compagnia di assicurazioni) uno speciale contratto. Occorreva cautelarsi contro i rischi del maltempo. E dunque l'assicurazione è tenuta a versare cinque milioni di lire ogni maledetta domenica quando, nell'ora che precede la partita, cadono almeno due millimetri di pioggia. "Ieri, un'ora prima della partita, è stato messo in azione sul campo un idrometro, con Puja e iI dottor Bonetto che fungevano da controllori. Quando l'arbitro ha dato il fischio d'inizio erano caduti un millimetro e mezzo di pioggia: «una volta tanto — ha commentato il dr. Bonetto — ho fatto il tifo perché piovesse. Mezzo millimetro di pioggia in più non avrebbe danneggiato ulteriormente l'incontro e noi avremmo attenuato la rabbia per il misero incasso». Sembra che Puja abbia fatto il 'tifo' contro il Torino", e vai a fidarti degli ex (La Stampa, 3 gennaio 1972). Altro da dire, su quelle due partite nelle quali non si vide lo straccio di un gol, non c'è.


2013
Mazurka

Mazurka era uno capace di ipnotizzare anche Pelé. "Ho giocato contro tanti portieri, ma solo lui mi incuteva il timore di sbagliare. Non lo dovevi guardare, perché ti impietriva. Ti restava solo la possibilità di ragionare sui movimenti della sua ombra, perché se volevi vedere le sue intenzioni eri perduto". Già. Ladislao Mazurkievicz, il grande portiere del Peñarol e dell'Uruguay. E di varie altre squadre, in Sudamérica e in Europa, ma soprattutto in Sudamérica, dove alzò tutti i trofei che era possibile alzare. Mazurka si spense, a Montevideo, il 2 gennaio 2013.
1971
Ibrox Park Disaster

"He took me back into the ground and across the pitch. It occurred to me that if every young boy's dream was walking on the turf, this wasn't how I wanted to do it. There were bodies lying around on stretchers."
Alla fine dell'Old Firm, la pressione dei tifosi provoca il crollo della Western Tribune Stand, appena costruita. Sessantasei le vittime, e centinaia i feriti.
BBC: testimonianze: 1 -2 | Telegraph | Daily RecordVideo


28 dicembre

1963
Epifania di George Best

Nella foto si vedono due giocatori dello United e alcuni (sconsolati) del Burnley. Il più vicino alla porta (il numero 10) è David Herd, ma il gol porta la firma dell'altro, quello che sta per uscire dall'inquadratura, anche lui con le braccia levate, e soprattutto con un'espressione di felice stupore sul volto. Ha diciassette anni e mezzo, ha appena scritto il proprio nome nei tabellini della First Division. Il pallone, invece, pare l'abbia messo all'incrocio, ma non ci sono filmati a confermarlo. Fidiamoci, perché è lui stesso a raccontarlo: "io fui più che soddisfatto della mia prestazione e del mio primo goal da professionista, un tiro di destro dal limite dell'area che andò a insaccarsi all'incrocio dei pali". E da lì, direttamente sul Belfast Telegraph del giorno successivo, a piena pagina: Georgie, come tutti sanno, è irlandese, logico che da quelle parti esaltino le gesta di uno dei loro. Matt Busby, dal canto suo, ha capito benissimo che la sua seconda generazione di Babes sarà più forte della prima. 
Vai allo Speciale George Best di Eupallog


1970
Neve al Comunale

Torino è sotto un cumulo di neve, e la partita in programma il 27 (Torino-Milan) è rinviata al 28, si disputa di lunedì e non di domenica. La Rai prova a trasmetterla in diretta, ma non vuole scucire un centesimo e tutto va come al solito. Dunque si gioca, il campo è sgombro, gli spalti meno, il Milan è sgonfio, novanta minuti di assedio granata, la giornata d'inconsistenza agonistica vissuta da Rivera debilita il centrocampo, Rocco allestisce barriere umane sempre più folte. Finisce pari, un gol a testa, i rossoneri rimangono in cima ma si vede che il loro fiato è corto. "Incredibilmente dominato", tuttavia, l'XI del Paròn non vince solo per una papera del Ragno Nero. Agroppi ciabatta da venticinque metri, e Cudicini "si china e lì resta, artritico e stupito (foto), a vedere il pallone che gli sfugge tra le mani, poi tra i ginocchi, e si addormenta in rete" (Arpino). Delusi per il mancato successo, i followers del Toro salutano gli ospiti all'uscita dal campo con un sonoro e ripetuto "Ladri! Ladri!". Intanto, a Rio de Janeiro, Pelé conferma che ai mondiali tedeschi non parteciperà. Insomma: per il football non fu certo una grande giornata.
Tabellino


1971
Il narcotizzatore

Visto quel che è accaduto in Grecia all'andata, si può dire che l'Ajax abbia fatto bene a rinunciare. E' anche vero che i greci non hanno mai visto il Centenario nemmeno col binocolo, e forse Puskas ha davvero voglia di andare a mettere il naso in uno dei pochi santuari che non ha avuto occasione di visitare; e se quelli del Nacional decidono di buttare via la coppa dopo il pari di Atene, lui certamente non rifiuterà il regalo. Sì, ha fatto bene l'Ajax a dire nisba, e si è visto ad Atene, e lo ricordano anche le cronache prima della gara di ritorno. Ad Atene, un greco uscì in barella con una gamba fratturata, un altro ha dovuto abbandonare il campo prima della fine, un uruguagio è stato espulso. Le cronache temono che il peggio debba ancora venire. Risse, incidenti, violenze. Ma poi tutto fila liscio. Ci pensa Luis Artime (foto), sensazionale bomber dei Parquenses, a narcotizzare animi e partita con una doppietta. Una fra le tante della sua meravigliosa, inquieta carriera.
 
 

20 novembre

1971
Dall'arrosto al fricandò

La metafora è di Arpino, ed è applicata alla formazione che nonno Valcareggi intende mettere in campo all'Olimpico contro l'Austria. In particolare: chi, tra De Sisti "piede corto" e Benetti il portatore di palla saprà innescare con lanci lunghi il trio d'attacco Prati-Boninsegna-Riva? Si inventi qualcosa: "il resto è silenzio, educato sbadiglio, attesa del futuro". Che entusiasmo, vero? Passiamo a Palumbo. Ancora peggio. Partita inutile, perché l'Italia si è già qualificata per i quarti di finale dell'europeo; non c'è interesse per il risultato; la formazione non è nemmeno sperimentale (però ci sono alcuni esordienti: Roversi, Santarini, poi forse anche Claudio Sala), è solo rimaneggiata (non ci sarà Mazzola, non ci sarà Rivera, non ci sarà nemmeno Corso). "E' bene dirsi subito la verità: da qualunque aspetto la si guardi e la si giudichi, questa partita con l'Austria non riesce ad avere un aspetto valido sul piano collettivo. Quale attrattiva può avere, del resto, nel gioco del calcio, una partita in cui non conti il.risultato, che è il succo d'ogni sfida, il motivo per cui allo scadere del novanta minuti c'è gente che s'inebria  felice ed altra che s'incupisce, c'è chi scende nelle strade a far festa e chi si barrica  malinconicamente dentro casa?". Giusto. Questo sì è aiutare la causa dell'incasso e quella dello share. In effetti crediamo che nessuno sia poi andato allo stadio o abbia visto in tivù quella partita. Perché non farlo oggi?
Cineteca


1974
L'ultimo dei Mohicani

E' sempre Bonimba ad illuderci. Mai, forse, l'Italia aveva varcato i confini con la sola prospettiva di limitare i danni, di sottrarsi (se possibile) a umiliazione e derisione. Si andava al De Kuip, per affrontare la paurosa Arancia Meccanica. E ci si andava con gente del tutto inesperta, pedatori che avevano - forse - appena assaggiato il calcio internazionale in qualche ottavo o sedicesimo di coppa (gente come Rocca, Roggi, Zecchini, Orlandini); con antiche e mai del tutto mantenute promesse, come il ripescato Iuliano di Napule; con talentuosissimi virgulti, come Giancarlo Antognoni. Della vecchia guardia, solo Zoff e Anastasi, e naturalmente Bonimba - giubilato da zio Ferruccio: ma quanto sarebbe stato utile, in terra tedesca. Ricambio generazionale, del quale si prendeva la responsabilità Fuffo Bernardini, antico teorico del 'sistema' (pragmaticamente intepretato) e amante dei 'piedi buoni'. Così l'unico, glorioso messicano sopravvissuto alla mattanza segna il primo gol di quella serata, un'inzuccata nell'angolino basso, la sfera sgusciata come saponetta dalle mani di Jongbloed. Un gol illusorio, naturalmente. "Come hai osato?", pensa Johann Cruijff, guardando in cagnesco il pallone o il portiere. Gli olandesi non faticarono molto a rimettere il match sui binari previsti. Ma vinsero solo tre a uno. Anche per Bonimba, l'ultimo dei Mohicani, era venuta l'ora della pensione azzurra.
Cineteca

3 novembre

1971
La notte dei lupi mannari

San Siro è in stato d'assedio: arriva il Borussia. Già, è la partita di andata, perché quella della lattina non esiste più, il sette a uno che resterà nella memoria, nel repertorio surreale del football. L'Inter si avventa, i tedeschi paiono ubriachi e non ne azzeccano una, tutti menano con piacere e convinzione - dall'arena usciranno malconci Vogts, Burgnich, Netzer (nella foto, con Bedin): "quando ritmo, energie caricate di troppi additivi morali e misteriosi entrano in gioco, allora anche il calcio perde la sua fisionomia classica, diventa puro spasimo, corrida con autentiche intenzioni ferine da parte dell'uomo che dovrebbe soltanto giostrare" (Giovanni Arpino). Anche il pubblico è stato di una ferocia impensabile, trascinando i nerazzurri verso un risultato (quattro a due) che andrà difeso con tutti i mezzi possibili, come fosse l'orgoglio ritrovato dopo la più inaudita delle umiliazioni.
Tabellino | Highlights

20 ottobre

1971
Büchsenwurfspiel

Non si capisce se hanno smesso di giocare perché sono sicuri che il risultato del campo verrà cancellato, e dunque potrebbero prenderne anche cinque, dieci, quindici, cosa importa. D'altra parte, Bonimba non è uno che esca mai volentieri dal campo, se è davvero sdraiato su una barella (foto) qualcosa deve essere successo. Aveva anche segnato il gol del pari. Peccato che in tivù non si veda nulla. Nemmeno la partita. Tocca sentire tutto per radio, e aspettare i giornali di domani. Oh ecco, finalmente è finita. Sette a uno: pazienza, non conta niente, ma qualcuno si chiederà come sarebbe andata senza la lattina. Qualcuno cui questa vecchia Inter non sta simpatica dirà: "beh, in fondo non è detto che la prossima volta, se tutto fila liscio, il Borussia non ne possa segnare di più". Ma quale lattina, diranno i tedeschi. Se poi è caduta davvero una lattina in campo, chi può essere certo che non l'abbia lanciata un tifoso italiano? In fondo lì dentro c'era coca-cola, e si sa che i tedeschi preferiscono la birra. E di birra ai nerazzurri ne hanno data parecchia, questa sera al Bökelbergstadion, i giganti del Borussia.
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10 ottobre

1971
Non sembrava un predestinato

Varsavia, Stadion Dziesięciolecia Manifestu Lipcowego. La partita è molto importante. Si potrebbe anzi aggiungere: decisiva. Ed è anche molto sentita, dalla gente di qui: Polonia-Germania, si può immaginare. In gioco, la qualificazione alla fase successiva del campionato d'Europa, quella a eliminazione diretta. Sono due nazionali forti, già lanciata quella teutonica, pronta al decollo quella polacca. Gadocha segna per primo, 'Der Bomber' risponde con una doppietta, e finisce tre a uno per i teudisci. In questa partita, Casimiro Górski mette tra i pali, per la prima volta, Jan Tomaszewski (foto). L'estremo del Legia non impressiona, e viene immediatamente accantonato. Ritornerà in squadra solo nella primavera del '73, ai tempi delle partite di qualificazione per la Coppa del mondo organizzata dai tedeschi, con la Polonia nello stesso girone degli inglesi. 
Cineteca


1990
Vi diremo i nomi dei marcatori dopo la pubblicità

Sembra passato un secolo. Quelli erano 'bei tempi', si dice. Capitava spesso che le squadre italiane vincessero tutte le competizioni europee, gonfie com'erano di quattrini e (perciò) di campioni. E quindi la 'Supercoppa' dell'Uefa, con gare di andata e ritorno, vedeva non di rado affrontarsi le 'nostre' squadre. Nel dopo-mundial, a stagione già avviata, ecco un bel Sampdoria-Milan, c'è appunto quel trofeo in palio, una coppetta a voler essere sinceri. Gli stadi, in queste serate, non si riempivano mai, e anche l'audience in tivù lasciava a desiderare. La fase dell'overdose era appena iniziata, ma tant'è. Samp-Milan, Boskov e Sacchi, Vialli e Mancini (foto: no, Vialli non c'era), Van Basten e Gullit (no, Van Basten non c'era), e Marassi mezzo vuoto, o pieno a metà. Un bel pareggio (uno a uno), tutti contenti, a Milano l'incasso sarà migliore. Vi diremo i nomi dei marcatori dopo la pubblicità.

9 ottobre

1971
Sandrino 'Garrincha' Mazzola

Quando, a meno di dieci minuti dalla fine, Mariolino Corso sta per entrare in campo (e si vede benissimo come ne abbia poca voglia), una parte del pubblico applaude entusiasta; ma poi si sgonfia subito perché, invece di sostituire Rivera, il mancino subentra a Mazzola. L'altra parte applaude quando Rivera azzecca la giocata e ogni volta che il cingolato Benetti entra in azione. Insomma siamo a San Siro, e liquidando la Svezia con un secco tre a zero (doppietta del guaritissimo Rombodituono: foto)  l'Italia è qualificata ai quarti di finale del campionato europeo. E' la nazionale detentrice, e punta alla conferma. Sandrino, dal canto suo, è stato scelto come erede di Domenghini. Ormai Valcareggi ha deciso: non vuole più alimentare polemiche, Rivera e Mazzola giocano e giocheranno sempre tutti e due, e Sandro sarà l'ala destra. Maglia numero sette. Lui farà di necessità virtù, ormai ha esperienza tale (il talento non si discute) da potersi adattare. Oltretutto, sapete come lo chiamano dalle sue parti? Ce lo dice lui stesso: "a Monza, nel mio quartiere, mi chiamano Garrincha". Ma noi continueremo a chiamarlo Sandrino o - come Brera - Mazzandro.
Tabellino | Highlights



1981
Il primo oriundo

Fu Julio Libonatti, nato a Rosario e figlio di italiani, il primo degli oriundi reclutati da Pozzo. Arrivò in Italia nel 1925, andando a comporre nel Torino, insieme a Baloncieri e Rossetti, il famoso 'trio delle meraviglie'. "Lui è un piccoletto dal fisico compatto, è veloce e fantasioso. La tecnica sopraffina lo porta a tirare con grande scioltezza anche di punta: indirizza il pallone dove vuole e dove il portiere avversario non può arrivare, neppure con l'immaginazione" (Sappino, Dizionario del calcio italiano). "Gran campione, favoloso mattoide" (Giampaolo Ormezzano). Don Julio, el potrillo, si spegne nella sua Rosario il 9 ottobre 1981.  

18 luglio

1930
Estadio Centenario, Montevideo

Insomma, se la sono presa comoda. Hanno studiato tutto per bene. D'altra parte, si gioca a casa loro, no? Quindi hanno aspettato che arrivasse il 18 luglio. Oggi qui è festa. Il centenario dell'indipendenza. E hanno battezzato così anche questo nuovo, magnifico stadio. Il 'Centenario'. Si inaugura oggi, è meraviglioso. Naturalmente, hanno scelto anche un avversario comodo. Già, il Perù. Ma: un momento! Hanno appena annunciato le formazioni. Scarone non gioca. Non gioca Héctor Pedro Scarone, el Mago. Qualcuno dice che è troppo vecchio. Qualcun altro che ha paura. Poi finalmente inizia la partita e si smette di chiacchierare. Ma la Celeste non ingrana. Lo vedi? Sono nervosi. E vorrei vedere te, mica è facile in questa bolgia. Certo, ma se ci fosse Scarone. Ma non c'è. Dopo un'ora di inutile assedio, finalmente quello che ha sostituito el Mago scioglie i nodi che serravano migliaia di gole. Si chiama Héctor Castro, lo chiamano el Manco perché gli è rimasta solo una mano. El Manco segna il primo gol dell'Uruguay al Centenario e nella Coppa del mondo, e nessuno più si lamenta per l'assenza di Scarone.
Cineteca


1971
In diretta dal Maracanã

Serata di una domenica d'estate. Si cenava, con la televisione accesa. Improvvisamente arrivarono immagini da Rio. Per essere più precisi, dal Maracanã. La cosa mi eccitò parecchio: "c'è una partita!", dissi. Mio padre sorrideva. "Che partita è?", gli chiesi. "Dev'essere l'ultima partita di Pelé nel Brasile. Lo festeggiano e gli dicono addio".
Naturalmente, sapevo benissimo chi fosse Pelé, anche se occasioni per vederlo giocare non è che capitassero di frequente. Sì, mi aveva colpito l'anno precedente, per colpa sua avevamo perso la coppa del mondo. Comunque preferivo altri giocatori, quelli di tutte le domeniche, quelli di cui sentivo parlare e si parlava più spesso. Pelé era una stella molto lontana, nel mio cielo non la si riusciva a vedere. E nei campetti nessuno aveva la sua maglia.
Guardai la partita, Brasile e Jugoslavia, molto bella, tante azioni. Ma lui, Pelé, fece pochissimo. Sbagliò uno o due gol 'facili'.
Giocò solo il primo tempo. L'intervallo fu lunghissimo. Pelé fece il giro del campo, c'erano molti bambini, ciascuno con la maglia di una squadra (chissà quali squadre, non si capiva), prese molti applausi anche se aveva giocato male. Non mi emozionai particolarmente, nemmeno quando a un certo punto mi accorsi che stava piangendo.
Certo, avevo ancora un'età in cui è difficile credere che possa davvero esserci un'ultima partita; pensavo ancora che i campioni non sarebbero mai invecchiati.

[Da Michele Ansani, Lenta può essere l'orbita della sfera]


5 giugno

1938
Tempi supplementari

Cari amici, ormai mancano pochi minuti al termine delle partite. Qui nella libera (ancora per poco) terra di Francia oggi si è visto del bel calcio, la Coupe du monde sta offrendo sfide molto, molto equilibrate. Con qualche eccezione, d'accordo: ma cosa e dove saranno mai le Indie Orientali? Zero a sei dall'Ungheria. E poi: vive la France e vive la République, tre a uno sui belgi, era scontato che facessero vincere i gallinacei padroni del pollaio. Su tutti gli altri campi, invece, la tensione è fortissima, l'epilogo incerto, gli scommettitori abbastanza preoccupati. Manca davvero pochissimo. "Gooool!!!" Oui? "Gol di Brustad". Brustad (foto), e chi è? "Qui al Vélodrome di Marsiglia, minuto 83: gol della Norvegia. Italia-Norvegia uno a uno". Parbleu. Qualcuno diceva che ... "Goooool!!!" Sì? "Gol di Barátky. Al Chapeu di Tolosa, minuto 88: gol della Romania. Cuba-Romania due a due". Peccato per i caraibici, sarebbe stato ... "Goool!!!" Sì? "Wilimowski. Gol di Wilimowski. Alla Meinau di Strasburgo, minuto 89: gol della Polonia. Polonia-Brasile quattro a quattro". Accidenti: difese ferree. "Goooool!!!" Chi ha segnato? "No, quasi gol". Dove? "Al Cavée Verte di Le Havre. Cecoslovacchia e Olanda inchiodate sullo zero a zero". Attacchi funambolici, e chi le schioda? Cari amici, cari lettori, svariati triplici fischi hanno assordato gli spettatori presenti in tutti gli stadi testé menzionati. Fine di tutte le partite. Anzi, no. Continuano. Tempi supplementari, ma il tempo a nostra disposizione è scaduto.
Cineteca: Italia-Norvegia - Brasile-Polonia - Cuba-Romania - Cecoslovacchia-Olanda - Francia-Belgio


1963
La triste vincita di Anthony Kay

Nella tournée continentale di fine primavera, Alf Ramsey consolida con alcuni buoni risultati la sua posizione alla guida della nazionale albionica. Così, dopo le amichevoli vittorie di Bratislava e Lipsia, restava in calendario una gita al Sankt-Jakob. Un'autentica passeggiata, agonisticamente ragionando. A Basilea prese il suo primo e ultimo cap (impreziosito da un gol) Anthony 'Tony' Kay, brillante centrocampista e nuovo idolo di Goodison Park, l'uomo che aveva appena trascinato l'Everton alla conquista di un titolo inseguito per più di vent'anni. Difficile dire se rientrasse o meno nei piani a media scadenza di Ramsey. Circolavano voci. A Liverpool era arrivato da Sheffield (sponda Wednesdey), e le voci riguardavano un match casalingo giocato proprio dagli Owls, contro l'Ipswich, il primo dicembre del 1962. Kay puntò 50 sterline sulla vittoria dell'Ipswich (che in effetti espugnò Hillsborough con un sonante tre a zero), e ne guadagnò 100. La vincita del secolo. Ma i bookmakers ne persero 35.000, e se la legarono al dito. Non fu quella l'unica partita truccata; l'unica, tuttavia, nella quale risultò coinvolto Tony Kay. Tre anni dopo, a conclusione del processo, venne radiato dalla Football Association; di lì in avanti, la sua vita fu una sequela di guai. "Jimmy Greaves once said that he had stopped playing too early. I understand what he means. I loved playing football; it was all I knew, and all I wanted to do".
Svizzera-Inghilterra: tabellino | Outing di Tony Kay (The Observer, 4 VII 2004) | The Tony Kay Scandal (BBC Radio 4)


1971
Budde and the chocolate box

Lezioni di Bundesliga. Stagione 1970-71. Letzer Spieltag: sono in cima, appaiati, Bayern e Borussia M'gladbach, detentore del piatto. Hanno incassato gli stessi gol (33 in 33 partite), ma il Bayern ne ha fatto uno in più (74 a 73). Entrambi gli XI sono in trasferta: i bavaresi a Duisburg, i Puledri a Francoforte. Per quasi tutto il primo tempo non succede nulla; poi si sveglia Netzer, ma i suoi si riaddormentano subito, e il gong suona sull'uno a uno. Nel piccolo stadio di Duisburg si traccheggia, in attesa di qualche evento. Riprende il gioco, ed entro dieci minuti arriva in dono ai pedatori del Borussia, direttamente dal Wedeaustadion, una scatola di cioccolato, firmata da Rainer Budde (foto), onesto mestierante dell'area di rigore. Poco dopo, ne arriva un'altra. Maltrattato e affranto, il Bayern abbandona ogni ambizione, mentre i satanassi della Westfalia improvvisano una danza trionfale, conclusa in allegra goleada dal solito Jupp Heynckes.
Tabellini: Duisburg-Bayern | Eintracht-Borussia


1986
La gita di Fernandez

Quei furbacchioni della Dinamo Sovietica si sono sfiancati per umiliare l'Ungheria, e ora contro i campioni d'Europa hanno perso un po' di brillantezza. Anzi, dice il guru, si è giocato con il freno a mano tirato, mica si deve vendemmiare in tutte le partite. Bella sfida, però, Le Roi Michel dice che sensazioni così non le avvertiva da parecchi mesi, si è esercitato un po' sui calci di punizione, insomma lui sarebbe anche pronto per gli ottavi contro (si presume) l'Italia. Intanto, tutti tirano qualche sospiro di sollievo, la macchina di Lobanovski può anche incepparsi se si è tatticamente accorti, e dietro non erige un muro impenetrabile. Riguardate il gol di Fernandez: in gita senza meta, trova il casello d'accesso all'area sovietica completamente sgombro, e trova tutto il tempo di programmare un buon controllo del pallone e piazzarlo di giustezza in rete (foto). E' il gol dell'uno a uno, poco prima un proiettile di Rats si era spento all'incrocio dei pali difesi da Bats. Insomma, è finita così, il pareggio era quotato a uno, e tutti quelli che hanno scommesso su questo esito vanno soddisfatti alla cassa.



- Vedi anche le partite del 5 giugno in Cineteca

2 giugno


1959
Lo Schiaffino di Alessandria

Domenica mattina. In questa città di provincia del Piemonte un signore di età piuttosto avanzata è uscito presto di casa, quattro passi nella frescura e prima di tornare si ferma in edicola e acquista il giornale. Lo sfoglia rapidamente, si ferma solo alle pagine dello sport. E' vero, oggi finisce il campionato, pensa. In verità è già finito, lo ha vinto il Milan. Scuote la testa, ci dev'essere un pensiero che lo rattrista. Eccolo: il Toro va in serie B, la matematica non è un'opinione, e i punti sono quelli: tre meno della terz'ultima. Nella città in cui vive il signore in questione spesso il Toro veniva a giocare, e qualche volta persino buscava. Lui andava allo stadio, erano bei tempi. Dieci, quindici anni fa, non il secolo scorso. Poi si sa com'è finita, lasciamo perdere. Quasi quasi. Ecco, sarebbe la giornata buona per andare alla partita, c'è il sole ma non fa ancora troppo caldo. Il giornale è rimasto aperto sulla pagina delle cronache sportive. L'uomo inforca gli occhiali. "Anche ad Alessandria incontro di cartello per l'ultima gara casalinga dei grigi. Di scena sarà l'Inter e la partita non dovrebbe riservare molte emozioni poiché le due squadre sono in posizione tranquilla di classifica. Gli ultimi cinque incontri positivi hanno definitivamente salvato l'Alessandria dalla retrocessione". Almeno questo, sospira. "Tra le file dei grigi è annunciato l'esordio del più giovane giocatore d'Italia della massima divisione, Gianni Rivera, nato il 18 agosto 1943 nel sobborgo di Valle San Bartolomeo". Ah, gioca il ragazzino? "Rivera non ha ancora sedici anni e già lo si vedrà alle prese contro fortissimi avversari. E' tempestivo il lancio del ragazzo a fine campionato, impegnato in una prova molto severa, senza una adeguata preparazione e acclimatazione alle gare di responsabilità? " Mah. "Certo l'attesa è vivissima tra le file degli sportivi locali che, con esagerata euforia, hanno definito il sedicenne debuttante niente meno che lo Schiaffino alessandrino". Mah. Ecco il portone di casa. Fine della passeggiata. L'uomo avvolge pensieri e giornale da qualche parte, e chissà se dopo pranzo deciderà di andare alla partita.



1971
Totaalvoetbal

Un gruppo di pedatori olandesi schierato con la grande coppa per le foto-ricordo non regalava immagini assolutamente inedite al continente calcistico. Detentore era il Feyenoord, e aveva trovato un posto nell'albo d'oro sgominando il Celtic, che aspirava alla seconda nicchia. E ancora due anni prima, in fondo, i lancieri avevano pure e appunto già lanciato la loro sfida, respinti dall'esperta (è un eufemismo) truppa rossonera. Exploit che molti superficiali osservatori ritenevano casuali, nell'epoca in cui il calcio praticato dalle nazionali rifletteva ancora la tradizione dei club (e viceversa); e nessuna pagina rimarchevole avevano mai scritto, dalle origini del gioco, la terra dei mulini a vento e le squadre delle sue maggiori città. D'altra parte, che significativi e irreversibili mutamenti fossero in atto è testimoniato anche dallo sparring-partner dell'Ajax sul sempiterno prato di Wembley. Nessuno più dell'uomo che sbucava dal tunnel, guidando i verdi del Panathinaikos all'inevitabile sacrificio, poteva rappresentare il passato, quale testimone di un football definitivamente consegnato a storie e leggende. Ferenc Puskás non era solo l'Aranycsapat o il grande Real: simboleggiava il calcio della mitteleuropa che era stato sempre avanguardia, sin dagli anni '20, calcio di grandi e inutili vittorie e di inattese e importantissime sconfitte. A lui il compito di testimoniare l'avvio di una nuova epoca, perché l'antica non venisse del tutto dimenticata.
Fu dunque alla sacerdotale presenza di Puskás, estemporaneo allenatore del Panathinaikos, che il ventiquattrenne Johann Cruijff, l'Ajax disegnato da Rinus Michels e il suo rivoluzionario Totaalvoetbal, poi replicato con maglie di colore diverso nella competizione fra le nazioni, si presero la Coppa, avviando un'egemonia tecnica e soprattutto culturale che, per molti aspetti, perdura.
Cineteca



1978
Il girone de la muerte

A distanza di poche ore l'una dall'altra, Italia e Argentina - sorteggiate insieme nel girone de la muerte - debuttano alla coppa del mondo. Los italianos nell'assolato pomeriggio di Mar del Plata; l'albiceleste tra i coriandoli del Monumental. L'inizio è, per entrambe, nefasto. Gli azzurri vanno sotto dopo pochi secondi, praticamente senza mai sfiorare la pelota; l'Argentina dopo nemmeno dieci minuti (foto). Il discorso intavolato da Francia e Ungheria è di fondo abbastanza semplice: non hanno attraversato l'Atlantico solo per abbuffarsi di parillada. Furente e sgarbata la reazione degli ospitanti, serena ed elegante quella italiana. Entrambe vincono di rimonta, e agli osservatori più sgamati tutto appare chiaro sin da queste due prime partite: gli azzurri giocheranno il miglior calcio del torneo; gli argentini non si concederanno alcuno scrupolo, pur di vincerlo.
Cineteca: Italia-Francia | Argentina-Ungheria


1993
Anche a Oslo gli inglesi subirono una dura lezione

A ben guardare, il pallone degli inglesi, quando attraversa la Manica o lo portano su terre aliene varcando i mari e gli oceani, si sgonfia subito. Gli amici americani stravedono per loro - o fingono di stravedere -, e certo avere al mondiale la Norvegia invece dell'Inghilterra non sarebbe una bella cosa. E invece andrà esattamente così. A Oslo, la truppa albionica - maldiretta da Graham Taylor, che improvvisa soluzioni e strategie per rimediare strategicamente a soluzioni che improvvisamente non funzionano più - sbanda e incassa un due a zero che comporta la necessità di andare a vincere in Olanda, il prossimo 13 ottobre. Certo, come no. La stampa britannica ha capito l'antifona e asseconda gli umori dei followers: "We're so bad, it's unbelievable". Vuole la testa di Taylor, che ha scommesso tutte le sue carte su un cerebrale 3-4-1-2: "era un piano di gioco coraggioso e immaginifico, ma preparato con una sola sessione di allenamento, e mentre l'Inghilterra cercava di disporsi ordinatamente in campo, la Norvegia aveva già vinto la partita" (Joe Lovejoy, The Independent).

27 maggio

1952
I Moscoviti stendono l'Aranycsapat

La rappresentativa di calcio delle repubbliche sovietiche è stata allestita con una missione politico-rivoluzionaria ben precisa: vincere la medaglia d'oro alle Olimpiadi di Helsinki. Sotto vario nome, gioca alcuni incontri di preparazione al torneo. Uno, in particolare, va ricordato, poiché non è riconosciuto ufficialmente dagli organi internazionali: quello che vide sbucare sul prato del Dynamo Stadium, per incontrarvi una 'selezione moscovita' (in realtà la nazionale dell'URSS), nientemeno che l'Ungheria. E' la seconda volta in pochi giorni: la prima finì pari, uno a uno. Stavolta, i padroni di casa hanno la meglio (due a uno), sicché questo match costituirebbe una soluzione di continuità nella striscia vincente della grande Ungheria – ufficialmente, appunto, interrotta solo dalla Germania nella finale di Berna.
Eupallog Storie e microstorie


1961
La coppa della Viola

Triste coppa, la prima Coppa delle coppe. Non è ufficialmente riconosciuta - lo sarà a distanza di tempo, su pressione di Giuseppe Pasquale, presidente della F.I.G.C. Partecipano solo dieci squadre, poiché la maggioranza delle federazioni calcistiche europee non vanta ancora una competizione simile alla FA Cup. In fondo a quella sfiancante maratona di partite, in vista del traguardo, si presentano con pari chances i Rangers di Glasgow e la Fiorentina di Nándor Hidegkuti. La formula, allo scopo di rendere ancora più massacrante il torneo, prevede si disputino gare di andata e ritorno. La Viola sbanca Ibrox Park, il 17 maggio, con una doppietta del Milan (sì, Luigi Milan: figurina); al Comunale, quindi, dove è fissato il traguardo finale, si staglia con un distacco pressoché incolmabile. Segna ancora il Milan (eddai!), poi i Gers pareggiano, ma alla fine Kurt Hamrin mette il cappello e dà a tutti la buonanotte.
Tabellino | Frammenti (con il gol di Hamrin)


1964
La capitale d'Europa

Subentrato al Milan come campione d'Italia, l'Inter si posiziona subito dopo i rossoneri anche nell'albo d'oro della Coppa dei campioni. L'Europa del football è Milanocentrica, grazie a questa sana competizione infracittadina. Al Prater la maramalda masnada herreriana trova di fronte a sé l'antico e cigolante colosso madridista, nel quale i vecchi titani stanno ormai cantando le loro ultime canzoni. E' un repertorio ormai superato, va da sé. Sandrino Mazzola è l'uomo del match, con i suoi due gol; la sua agile freschezza propone al continente una nuova stella da ammirare. E l'Inter sarà ammirata per qualche anno; più per il suo tremendismo che per la bellezza del gioco. Esattamente un anno dopo (il 27 maggio 1965) i nerazzurri si confermeranno sul trono, battendo il Benfica in una fradicia serata milanese, mostrando la coppa nel cielo di San Siro.
Inter-Real: cineteca
Inter-Benfica: cineteca


1971
Capitano, mio capitano

Si spegne, a Sanremo, Armando Picchi. A soli trentacinque anni, quando aveva smesso di giocare da poco, avviandosi a una carriera di allenatore che l'avrebbe portato di sicuro molto lontano. Per andarsene, colpito da una grave malattia, ha atteso il giorno che aveva sottolineato sul calendario, perché coincideva con i suoi ricordi migliori: era lui il capitano dell'Inter nel 1964 e nel 1965; fu lui che alzò la coppa dopo i trionfi sul Real e sul Benfica. "Aveva il volto incavato già a venticinque, trent'anni. E in mezzo ai solchi profondi, appena sotto le rughe della fronte lignea, muoveva occhi di castagna scintillante. Occhi rassicuranti, occhi da far paura; a seconda che il guerriero li usasse, come lui solo sapeva, per dire amicizia o per scagliare addosso l'ira del giusto" (Nando Dalla Chiesa).
In mortem (Giovanni Arpino)


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21 maggio

1969
Se repitiò la historia de Berna

Avevo sì e no una dozzina d'anni, e il mio amico fanatico di football, quello che non perdeva una sola partita in tivù, si presentò al campetto con una maglia bianca divenuta per l'occasione ad ampie, non geometriche strisce blu e granata. "Eh eh eh!", rise da solo, quando si accorse che lo guardavamo straniti. "Stasera vince il Barcellona!", aggiunse. Tutti fingemmo di capire, ma nessuno in realtà sapeva che quella sera, al Sankt Jakob di Basilea, c'era la finale di Coppa delle coppe. Forse la trasmettevano sulla tivù della Svizzera italiana, che il mio apparecchio non captava. "Con chi gioca il Barcellona?", chiese qualcuno. "Contro i luridi brocchi comunisti dello Slovan di Bratislava!", disse subito quel nostro amico disinformato e male indottrinato da chissà chi. E quindi, aggiunse, "evviva il Barça!". Sono trascorsi innumerevoli anni, mi sono ricordato di quella circostanza e ho fatto le mie ricerche. Come nel 1961 a Berna - ma si trattava allora della finale di Coppa dei campioni, e avversario era il Benfica - i catalani persero, e con identico risultato: tre a due."Decididamente, los estadios suizos son gafes para el Barcelona", scriveva el director-adjunto del Mundo Deportivo.
Cineteca


1971
Ole! Ole! Chelsea

Finale di coppa delle coppe. Per colpa di Ignacio Zoco, che al 90° della prima partita si era divorato il match-ball a due passi da Bonetti, tocca ricominciare da capo. Chelsea versus Real Madrid, al Karaiskakis di Atene. I Blancos sono ancora sotto shock. E vengono messi sotto dai Blues. Due a zero alla mezzora del secondo tempo. No: due a uno, Fleitas accorcia. Ora sono gli inglesi a vivere nell'ansia. Muñoz butta dentro anche il vecchio campione, Francisco Gento: ha quasi quarant'anni, ne ha viste di tutti i colori, è una leggenda vivente, il suo ingresso è una mossa soprattutto psicologica. Ma non succede più nulla. "Ole! Ole! Chelsea", titola il Daily Mirror di sabato 22 maggio.


1975
Il nome del Borussia

Al piccolo Diekman di Enschede si respira un certo ottimismo. Il Twente Football Club sta vivendo buone stagioni; è al vertice di un calcio che è al vertice in Europa e nel mondo. Non solo: nella finale di andata della Coppa Uefa ha inchiodato il terribile Borussia di Mönchengladbach - un'autentica macchina da gol - sullo zero a zero. Batterlo in casa è possibile; è possibile entrare - come l'Ajax e il Feeyenoord - nelle tabulae del paradiso. Illusioni. Die Fohlen  sono in serata di vena (e non è che gli capiti di rado). Jupp Heynckes, dal canto suo, è una furia scatenata, fa tripletta, e trascina l'allegra banda teutonica a un fragoroso 5-1. Nelle tabulae del paradiso si scrive il nome del Borussia. Finalmente. 


2008
La pensierosa rincorsa di John Terry

"Non ci credo: se faccio gol, alzo la coppa.
Vero: non che sia abituato a battere penalties.
Li tirano sempre Ballack, Drogba, Lampard.
Ma sapevamo che poteva finire così, dunque mi sono esercitato e non poco.
Accidenti.
Pensavo sarei stato tranquillo.
Cristiano ha sbagliato il suo, quindi possono sbagliare tutti.
Van der Saar, eccolo lì.
Non ne ha preso nemmeno uno, finora.
Perché dovrebbe toccare proprio a me?
Vai John, non farti impressionare.
Se hai paura tu, figuriamoci lui.
Però è vero.
A questo punto lui non ha nulla da perdere, perché ha già perso.
Accidenti.
No, sarebbe una beffa".
John Terry, capitano del Chelsea, prende la rincorsa. L'Europa trattiene il fiato. Prima dell'impatto con la sfera, scivola. Colpisce male, in coordinazione precaria. La palla vola oltre la rete, nello spazio che separa il campo dalle tribune del Lužniki, affollato di fotografi.


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28 aprile

1902
Red Devils

Messo in liquidazione a gennaio il Newton Heath Football Club, alcuni imprenditori di Manchester non si rassegnano a vedere la città rappresentata solo dal City, destinato in quella stagione peraltro a tornare nella Second division. Nasce così il Manchester United Football Club: una nuova storia, con nuovi colori. E nuove prospettive. Diventerà uno dei club più famosi, importanti e seguiti del mondo.

1971
Ajacidi con la suerte de fronte

"L'Ajax non è quella terribile squadra di cui si dice. Non mi è piaciuta particolarmente"; i tre gol "sono stati dei regali", il terzo poi "era chiaramente viziato da una posizione di fuorigioco", segnalato dall'assistente ma ignorato dall'arbitro (Sbardella); negli altri due "el Ajax se ha encontrado con la suerte de fronte". Opinioni di Marcel Domingo Algara (foto), entrenador del Club Atlético de Madrid, al termine della semifinale di ritorno di Coppa dei campioni. Largamente incompleti, gli spagnoli non erano stati in grado di difendere il gollettino rimediato al Manzanarez. "Estoy muy satisfecho de mis muchachos", replicò Rinus Michels. Com'era normale che accadesse, l'Ajax poteva prenotare un albergo nei dintorni dell'Empire Stadium, dov'era in programma la finale.

1976
Raoul Lambert e le lunghe partite di Anfield

Non c'è dubbio che Raoul Lambert preveda spesso con un certo anticipo lo sviluppo dell'azione. La sua posizione in campo è sempre quella giusta. E anche quando la palla è in possesso degli avversari, non si deconcentra. Anzi: fiuta l'errore. Ora, per esempio. Sono trascorsi cinque minuti, il Liverpool sta organizzando il suo assalto. Tommy Smith appoggia di testa verso Clemence, ma sbaglia la misura, o semplicemente non si è accorto che Lambert è lì, è in agguato, con quella sua tipica espressione, un po' svagata e un po' sarcastica, dissimulata da un'acconciatura che sembra una maschera non calata del tutto a copertura del volto. I suoi riflessi sono rapidi: anticipa il portiere e con un pallonetto ammutolisce la Kop (foto). Trascorrono altri dieci minuti e i belgi raddoppiano, al termine di un elegante fraseggio, e il penultino tocco è sempre di Lambert, è lui la torre che spizza e mette Julien Cools in condizioni di punire ancora l'incolpevole Clemence. Dunque, fatto un rapido calcolo, dopo un quarto d'ora circa, ad Anfield, il Bruges sopravanza il Liverpool di due reti, nella finale di andata della Coppa Uefa. Trofeo in cassaforte? Beh, le partite su quel campo sono sempre molto lunghe. Lunghe e intense. Interminabili, per chi si deve difendere.


2004
L'ultima maglia

Non la indossava da cinque anni. Era la sua maglia, essendo quella di tutti. Quando giocava, Baggio era di tutti, e nessuno poteva pretenderlo a simbolo di una storia o di una squadra. Aveva girovagato per società grandi e piccole, lasciando ovunque ricordi di giocate geniali e improvvise, come accecanti bagliori. La sua maglia era azzurra, la maglia della nazionale. Non l'ha indossata tantissime volte; talora è stato messo da parte, a favore di altri che valevano meno di lui. Fu giusto chiamarlo per un'ultima partita, un'amichevole contro la Spagna, anche se contava poco. Maglia numero dieci, fascia di capitano all'uscita di Cannavaro. Meritava la festa, e l'abbraccio di tutti.  "La vita è un'emozione, Baggio i suoi brividi", si leggeva su uno dei tanti striscioni di Genova.

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18 aprile

1971
Paella valenciana

Per tutti i 1960s il piatto della Primera División ispanica rimane a Madrid, più spesso nella bacheca della Casa Blanca, talvolta in quella dei Colchoneros. In Catalogna quel decennio è sostanzialmente opaco: qualche Copa del Rey e una tacca fieristica, nulla più. All'ultima della temporada 1970-71 il Valencia (foto) è al Sarriá, ospite dell'Español, e vanta un punto di vantaggio sul Barça. I blaugrana sono a Madrid, a casa dell'Atletico. E' un pomeriggio carico di tensione. Al 59' Duenas porta in vantaggio i catalani; passano quattro minuti e i Colchoneros pareggiano. Ne trascorrono altri due, e l'Español riapre tutti i discorsi, servendo un match-ball per i rivali e cugini. Se il Barça vince è campione. Non ce la fa. In classifica le due squadre finiscono alla pari, ma gli scontri diretti sorridono ai merengots. Festa grande, e paella valenciana per tutti in Plaza de Toros. Fine del Regno di Madrid.
Tabellini: Manzanares - Sarriá | Mundo Deportivo



1988
L'uomo dell'incubo dissolto

Si spegne, a Praga, Antonín Puč. Un ottimo centravanti, leggendario fromboliere dello Sportovní Klub Slavia Praha. Fu anche, e fino a tempi recenti, il principale goleador della nazionale cecoslovacca. Non per caso, fu lui che, nella finale del '34, aprì le danze, rischiando di rovinare la festa all'Italia e al regime. Gli azzurri rimediarono, e perciò Antonin può essere ricordato semplicemente, per ciò che è stato: un grande pedatore della sua epoca. L'artefice di un sogno svanito, per la Cecoslovacchia; l'incubo rapidamente dissolto, per la nazione italiana.