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31 gennaio

1915
Il giorno dei fratelli Cevenini

Aldo e Luigi (nella foto), entrambi del Football Club Internazionale Milano, giocano insieme per un'unica volta in maglia azzurra. Luigi è all'esordio, Aldo ai saluti - la nazionale italiana tornerà al calcio solo nel 1920. La partita è in programma allo Stadium di Torino, avveniristico ma per l'occasione semi-deserto. Test-match gelido contro la Svizzera, l'arbitro è un genoano, componente della commissione tecnica italiana. Agevole tre a uno. Il tabellino è uno stato di famiglia: due gol Luigi, uno Aldo.
Tabellino

1932
La fretta di Peppino

Serie A, 18ma giornata. Il Casale si reca all'Arena con l'animo leggero di chi galleggia nelle placide acque del centroclassifica. L'Ambrosiana, invece, ha parecchio terreno da recuperare rispetto a Juve e Bologna, e ambizioni quasi ridimensionate. Meazza, pur rinvigorito da due settimane di vita sana sui monti, non è in condizioni brillanti, ma sgomma e infierisce. Tripletta nel primo tempo, poi cala: malinconico pomeriggio per il portiere dei nerostellati, Vincenzo Provera (foto).


1944 
Dallo scudetto ad Auschwitz

"Mi sembra si chiamasse Weisz, era molto bravo ma anche ebreo e chi sa come è finito" (Enzo Biagi). L'allenatore pluriscudettato dell'Ambrosiana-Inter e del Bologna finisce i suoi giorni ad Auschwitz; muore della morte di cui lì si era soliti morire. Morte e oblìo; solo di recente, e giustamente, ci si è ricordati di lui. Era ungherese, di Solt: "sapeva e capiva di calcio come pochi" (Gianni Brera).
Profilo | Il libro di Marani 



1954
Il capitano olimpico

Si spegne, a Ealing, Vivian Woodward. Chi era? Semplicemente il capitano del football team britannico alle Olimpiadi del 1908 e del 1912. Le due sole competizioni internazionali (escludiamo ovviamente dal novero la British Championship) che gli inglesi potevano rivendicare prima del '66. Giocò nel Chelsea e nel Tottenham, ma con la casacca albionica fece davvero parecchi gol. Così tanti, che si dovette aspettare l'epoca di Lofthouse e di Finney per espungere il suo nome dagli albi statistici correnti.


1965
Oronzo ammutolisce HH

Il Mago porta la truppa in gita in Puglia, e Oronzo Pugliese (nella foto) imbandisce un'accoglienza festosa. Non è solo folklore, al Zaccaria. I bravi mercenari veneti e toscani reclutati dal Foggia fanno vedere i sorci verdi ai bauscia. Abbuffata di gol nel secondo tempo, l'Inter perde e va a meno sette dal Milan. Campionato in archivio, si pensava. Però ci sono ancora quindici partite in cartellone, il thriller è solo alle battute iniziali.
Tabellino


1987
Lineker cortó tres orejas

La stampa catalana inorgoglisce, il Barça ha insegnato calcio alla scolaresca madridista. La stagione di Gary Lineker (foto), la prima in blaugrana, ne conferma le abilità di gran scorer: insacca due palloni all'inizio del primo e un altro all'alba del secondo tempo. Poi Valdano e Hugo Sanchez mettono un po' di zucchero sul risultato. Tre a due, barcellonisti a più tre in classifica. "Victoria epica" (Mundo Deportivo) e illusori progetti di fuga.

15 dicembre

1954
L'azzardo di Hanot

L'unica vittoria prestigiosa del football britannico nei 1950s fu quella conseguita dai Wolverhampton Wanderers nei confronti della Honvéd il 13 dicembre 1954 [Cineteca]. Tre a due - in rimonta, come i tedeschi a Berna, certo non sfavorita (anzi) dall'arbitro inglese. Sul Daily Mail, il giorno dopo, i Wanderers venivano proclamati campioni del mondo. Una barzelletta, insomma. La risposta arrivò dalla neutrale Francia, con un articolo di Gabriel Hanot passato alla storia, pubblicato su L'Équipe del 15 dicembre. Intanto, sostenne Hanot, prima di asserire l'imbattibilità degli inglesi aspettiamo di vederli giocare a Budapest e a Mosca. "Et puis y li a d'autres clubs de valeur internationale, Milan et Real Madrid pour ne citer que ceux-là. L'idée d'un Championnat du monde, ou tout au moins d'Europe des clubs, plus vast, plus expressive, moins épisodique que la route de l'Europe centrale, et plus original qu'un Championnat d'Europe des équipes nationales, mériterait d'être lancée. Nous nous y hasardons". E il dado fu tratto.

5 dicembre

1909
Rissa alla Cajenna

Il 5 dicembre 1909 si giocò la quinta giornata del campionato di Prima Categoria, e il Milan se la vide con l'Andrea Doria, a Genova, sul campo (la 'Cajenna') contiguo allo spazio nel quale stava per sorgere l'impianto di Marassi. La partita finì 4-4, ma non fu omologata per incresciosi incidenti occorsi sul campo di gioco. Un "vivacissimo incidente" anzi, riportò il 'Corriere della Sera'. Cosa accadde? Verso la fine del primo tempo, sul 3-1 per il Milan, Bosshard, "del Milan Club, ebbe cadendo a lussarsi una spalla. Quindi, ripresosi il gioco, Merli, ala destra dell'Andrea Doria, diede un calcio all'half-back Diment del Milan Club. Il calcio, secondo alcuni, fu involontario; ma secondo altri fu dato proprio nell'eccitazione rabbiosa del gioco, poiché il Merli non aveva nemmeno vicina la palla. Il Diment, che è inglese e boxeur di prima forza, ebbe a risentirsi e vibrò un terribile pugno al viso del Merli, producendogli una larga ferita, guaribile in una diecina di giorni. Il pubblico invase il campo e si strinse intorno ai milanesi, prendendo parte alla disputa. Occorsero per lo meno venti minuti perché la calma seguisse il deplorevolissimo incidente e al conflitto tra pubblico e giocatori". Poi la partita finì con il risultato che si è detto. "Inutile dire che l'incidente odierno è assai commentato nel nostro mondo sportivo", concluse colui che raccolse telefonicamente, nella notte del 5, la testimonianza di quanto accaduto a Genova.
Nella foto (recuperata da magliarossonera.it), il Milan di quella infelice stagione. Diment è l'ultimo a destra della fila di mezzo.


1954
Largo Argentina

Doppia coincidenza. All'Olimpico incrociavano incestuosamente i bulloni (come mai era accaduto sino ad allora) le nazionali d'Italia e d'Argentina; sulla panchina azzurra debuttava Alfredo Foni (foto), cioè colui che applicando il catenaccio aveva appena portato l'Inter a due scudetti consecutivi, fra il disprezzo generale della critica e i mugugni del pubblico (quello di fede non interista, va da sé). D'altra parte, la nazionale era reduce dall'inattesa scoppola subita in terra elvetica, e la federazione aveva a lungo esitato prima di assumere decisioni e rimettere in pista una nostra rappresentativa. Anni bui per il football nostrano, si sa. Non che gli argentini, all'epoca, vivessero giorni felici e producessero risultati brillanti. Loro, per il mondiale svizzero, non avevano neppure provato a qualificarsi; e, in Sudamerica, un torneo continentale non si svolgeva dal 1947. Hanno ora in panca un'antica gloria, niente meno che Guillermo Stábile, il che non li garantisce dai propri antichi 'vizi'. Giochicchiano gradevolmente, come da tradizione, ma si lasciano infilare senza opporre grande resistenza. L'Italia vinse così il primo derby, ma certo il futuro non le apparve improvvisamente più roseo.
Cineteca

27 ottobre

1954
Uno strano mercoledì

Si gioca, a Firenze, un'amichevole infrasettimanale tra la Viola e la Pistoiese. "Verso la fine del primo tempo la partita è stata temporaneamente sospesa perché pubblico, giocatori e allenatori se ne stavano col naso in aria ad assistere al passaggio di due presunti dischi volanti" (Corriere dello sport, 28 ottobre).
Contemporaneamente, a Casteggio, il Milan giocava una partitella senza schierare però alcuno dei suoi assi. Per ritorsione, il pubblico sequestrò tutti i palloni e l'amichevole venne sospesa all'inizio del secondo tempo (La Stampa, 28 ottobre).



1982
L'impresa mai immaginata

Zoff, il Vecio e la gloriosa compagnia che vinse in estate il Mundial si presentano all'Olimpico (semi-deserto, vai a sapere) per esporre all'adorazione dei fedeli il sacro bottino. Scende in campo la formazione-tipo - età media abbastanza avanzata, ma gli eroi (si sa e si crede) non invecchiano mai. C'è anche Arnaldo Coelho, l'arbitro del Bernabéu. Insomma, tutto è studiato nei minimi particolari. Accettano di fare una scampagnata a Roma per giocare a pallone con noi gli elvetici, che non ci battono da millenni, per la precisione dal 1954, quando avevano organizzato la Coppa dalla quale - assai gentilmente - si erano incaricati di estrometterci. Tieh! Eccola qui la coppa, almeno la potete vedere, se volete potete anche toccarla, tanto di alzarla non vi capiterà mai e poi mai e poi mai, never never never. Insomma, non è una cosa seria. La nazionale disputa la sua partita numero quattrocento. Ma la festa è finita, si torna sulla terra. Con grande orgoglio e soddisfazione, i rossocrociati riescono nell'impresa che mai avevano osato immaginare: vincere in Italia. Il giustiziere è Rudolf Elsener (foto), un centrocampista esterno, un'ala, gioca in qualche squadra di Zurigo. Non conta niente il risultato, d'accordo, non ci sono punti in palio. Ma il prestigio sì. Il solidissimo undici che Bearzot aveva pazientemente assemblato, portandolo a disputare due fantastiche coppe del mondo, inizia a mostrare larghe crepe.
Tabellino | Highlights


1999
La presa di Wembley

Da tre decenni la Fiorentina non calcava i prati della Coppa dei campioni. Ora è cambiata la formula, le è bastato un terzo posto in campionato nella stagione 1998-99, ha superato il turno preliminare, ma poi finisce in un girone di ferro, con Barça e Arsenal. Con qualche (poca) speranza ma a parità di punti in classifica i Viola raggiungono Wembley. Resistono con tenacia, finché, a un quarto d'ora dalla fine, Batistuta avvia un'azione ancora da dentro la propria metà del campo. Il pallone viaggia rapido, i giocatori si muovono chi di qua chi di là, sembrano uno sciame di vespe nervose che punta l'area dei Gunners. Il Re Leone resta defilato sulla destra, ma è per lui l'ultimo passaggio. Con la forza della disperazione, di sinistro si porta in avanti la sfera, quel tanto che basta per tenerla lontana da Winterburn e caricare il destro (foto). La posizione è angolata, ma potenza e precisione del tiro sono ancora negli occhi di tutti. Il pallone finisce all'incrocio dei pali, quello più lontano. Un capolavoro.


8 settembre

1954
La nouvelle vague sovietica

Al Dynamo Stadium di Mosca (foto), dopo la sospensione delle attività a seguito della deludente prestazione ai Giochi Olimpici di Helsinki - e soprattutto passato a miglior vita Baffone -, torna a giocare un undici che rappresenta l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. A guidare la squadra, per queste prime partite, c'è Vasiliy Nikolaevich Sokolov, coach ed ex capitano dello Spartak. Disertata la Coppa Rimet in Svizzera, l'obiettivo è ora costruire una squadra che vada a Melbourne nel 1956 sorretta da una competitività pari alle ambizioni del Cremlino. Sokolov punta sul blocco dei suoi: ben sette della formazione schierata inizialmente contro la Svezia giocano nello Spartak. Fra le poche eccezioni, il portiere. E' il portiere della Dynamo, si chiama Lev Ivanovič Jašin, uno dei sette esordienti. Sokolov è precario, Jašin diventerà inamovibile. Diventerà il simbolo del calcio sovietico. E il buongiorno si vede dal mattino: gli svedesi oppongono ben poca resistenza, e il test-match consegna alle tabulae un roboante sette a zero per i rossi.
Tabellino | Highlights

4 luglio

1954
La nascita della Germania

L'istante che cambia la storia del mondo cade quando gli orologi del Wankdorf segnano le 19:42. Disponiamo solo di immagini non chiare, incomplete e comunque prese da angolazione insufficiente a una valutazione puntuale e condivisibile. Ecco Ferenc Puskás, ha appena ricevuto il pallone - dicono le cronache - grazie a una deviazione di testa di Kocsis; si vedono alcuni difensori tedeschi, più al largo, in fase di ripiegamento, e uno solo che insegue l'ungherese, ma non riesce a raggiungerlo prima che, in scivolata, egli spedisca la sfera sul palo più vicino, beffando Turek. Tre a tre, la finale a due minuti dalla fine non è ancora finita, anzi sembra stia per ricominciare. Biró esulta, ma i bianchi alzano le braccia, dicono di no (foto). Gol annullato per offside, conviene la terna arbitrale. Giustamente o no? I resoconti della stampa non sono concordi, e sembrano dettati soprattutto da considerazioni di 'simpatia' politica: per taluni il fuorigioco era dubbio, per altri assai netto. La partita volge all'epilogo, il risultato rimane quello: tre a due per la Deustsche Fussball-Nationalmannschaft. Muore l'Aranycsapat, e nasce la Germania contemporanea.
Cineteca | L'azione del gol non convalidato



1990
Elementare, Watson

Che prestazione! Non avevano mai giocato così bene, gli inglesi, dai tempi delle prime British Home Championship, sullo scorcio del XIX secolo. Nemmeno al mondiale domestico del '66, quando vinsero senza dare grande  spettacolo. Tuttavia hanno perso, e le lacrime di Paul Gascoigne dopo l'ammonizione che gli avrebbe precluso la finale non commuovono più nessuno, dato che per i Leoni non vi sarà alcuna finale. Inizia per loro in questa notte di Torino, contro la Germania, una storia infinita: la storia delle partite che l'Inghilterra perde dopo averle pareggiate. C'è da giurarci: capiterà ancora, e dovremo tenere l'inventario aggiornato. E' un fenomeno che periodicamente produce in loro un sentimento di cupa disperazione. Perché Lady Luck ci volta sempre le spalle, anche quando avrebbe buoni motivi per stare dalla nostra parte? "Elementare, Watson. Semplicemente perché non sappiamo tirare i calci di rigore". That's it.

1999
Momentos inolvidables

Ho letto da qualche parte che l'Argentina ne avrebbe (condizionale d'obbligo) presi tre (a zero) dalla Colombia. In Copa América. "Confermo, e fin qui ci sarebbe (condizionale d'obbligo) nulla da dire, dev'essere l'effetto funesto e combinato degli interisti - peraltro, gli unici ad emergere in una squadra di rattristante modestia". La cosa esilarante è che in questo match del secolo sarebbero (il condizionale è sempre d'obbligo) stati assegnati cinque rigori, tre all'Argentina e due alla Colombia. "Confermo: l'ho vista fino al terzo rigore calciato da Palermo, poi sono andato a letto ma confermo soprattutto che tale Palermo, cognome del bomber del Boca e sostituto in nazionale di Batistuta, li ha (qui il condizionale finalmente sparisce) sbagliati tutti e tre". Palermo? Martin Palermo? "Confermo, osserva questa foto, i colombiani lo guardano e sghignazzano, lui sta cercando di sparire dalla partita, con l'espressione di uno che vorrebbe essere cancellato dall'indice dei nomi della storia del futbol, perché di questo suo exploit si parlerà e scriverà sicuramente per saecula saeculorum". Così è stato, così è, così sarà. Momentos inolvidables.


2004
Il terzo jolly di Angelos Charisteas

Fate vobis: il centravanti del Portogallo non ha segnato lo straccio di un gol in tutto l'europeo, ma è il bomber del Paris Saint-Germain; il centravanti della Grecia ammuffisce tra le riserve del Werder Brema, ma ha già castigato la Spagna e la Francia. Non c'è due senza tre. Charisteas pesca il suo terzo jolly nel torneo (foto), e la Grecia festeggia la terza vittoria consecutiva, tutte e tre con il medesimo risultato: uno a zero. Entra nell'albo d'oro del campionato europeo per nazioni: "it is an event to stun the whole football world into silence" (Kevin McCarra, The Guardian). Certo, ai portoghesi ha detto molto male: organizzare la coppa e poi perderla in finale, a Lisbona, contro la Grecia (con tutto il rispetto) sembra, più che una beffa, un accanimento di Eupalla: "prima dovete capire che a pallone senza qualcuno che faccia i gol è inutile giocare, poi magari organizzate anche la coppa del mondo". A dire il vero, in questa memorabile finale la porta dei greci non è rimasta inviolata. Manca pochissimo alla fine, un tifoso del Barça invade il campo, raggiunge Luis Figo e gli 'consegna' una sciarpa blaugrana. Poi corre, corre, corre, e va "a schiantarsi come una falena nella rete di Nikopolidis" (Gianni Mura). E' l'ultima emozione regalata dalla notte di Lisbona. I cancelli dell'Estádio da Luz si chiudono, e la Lusitania si addormenta sapendo di dover restare là dov'è sempre stata, avvinghiata all'oceano su cui l'Europa tramonta.
Cineteca


2006
Nel solco della tradizione

Chiaramente, per noi e per loro questa è la finale. Chi vince questa partita, vincerà per inerzia la coppa del mondo. Come tutti sanno, l'Italia, verso la fine del secondo tempo supplementare, segna due gol, espugna il Westfalestadion e muove verso Berlino. "Quei due gol, signore e signori, sintetizzano e rappresentano e tramandano alla memoria del XXI secolo cosa sia il cosiddetto 'calcio all'italiana': una miscela di ingredienti irriducibili alla formula del catenaccio, come ancora oggi spesso si sente dire. Guardate Andrea Pirlo. Raccoglie la sfera al limite dell'area dopo un corner, e immediatamente davanti a lui si parano quattro tedeschi. Finge di tirare, lentamente si sposta in orizzontale. Improvviso e beffardo, il colpo di tacco che nessuno immaginava, un invito per Fabio Grosso che, di prima intenzione e di interno sinistro, scolpisce un pallone che gira e gira e gira con rotazione perfetta, e imprendibile muore là dove per Lehmann è impossibile arrivare. Astuzia e doti tecniche sopraffine, ecco il primo ingrediente. Passiamo al secondo gol, occorso a distanza di un solo minuto, quando la vostra furente Fussballmannschaft si era rovesciata disperatamente nella metà campo italiana. Podolski esibisce tutta la sua mesta broccaggine con un controllo di palla amatoriale; Fabio Cannavaro ha capito benissimo l'antifona. Lo aggredisce, rubargli la sfera è un gioco da ragazzi. Pochi metri più avanti c'è Totti, che allunga in profondità per Gilardino. Situazione di uno contro uno, siamo già al limite dell'area. Gilardino rientra sul destro, finge il tiro ma sa che da dietro, alla sua sinistra, sta arrivando a tutta velocità Alessandro Del Piero. L'appoggio è calibratissimo, e Del Piero, ancora di prima intenzione ma di interno destro, indirizza il pallone all'incrocio dei pali, quello alla sinistra del vostro incolpevole Lehmann. Il tutto in una dozzina di secondi, molto meno di quanto è stato necessario per descrivere l'azione. Contropiede fulmineo, razionale e maligno, ecco il secondo ingrediente. Signore e signori, le due azioni appena rievocate hanno un contenuto artistico ed emotivo immisurabile. Sono due capolavori esposti nel museo del football di questo secolo appena nato, prodotto di quella scuola che, da Meazza in giù, non ha mai cessato di reinventarsi, sempre nel solco della sua alta tradizione". 

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30 giugno

1954
Una fantastica battaglia

A ben pensarci, il match disputato all'Olympique de la Pontaise andrebbe considerato tra i più importanti del '900; in tal senso, la sua mistica è penalizzata dai tempi delle tecnologie: l'Aranycsapat valeva almeno il Brasile del '70 e l'Olanda del '74, squadre archetipiche ammirate da un universo già intasato di antenne e televisori. I detentori del titolo, mai battuti in una partita di coppa del mondo, contro i legittimi e potenziali successori, imbattuti da anni e anni. Agli uni mancava Varela, agli altri Puskás, simboli e anime acciaccate. I rioplatensi conoscevano l'arte della difesa, i danubiani erano davvero come un fiume in piena; fu una fantastica battaglia, di cui l'Aranycsapat parve assumere il dominio all'inizio del secondo tempo, quando Hidegkuti inzuccava in tuffo il due a zero (foto). Ma La Celeste non era solita perdere la testa e accettare passivamente la sconfitta, come tutti avevano visto o saputo nel 1950; nell'ultimo quarto d'ora Juan Hohberg, centravanti del Peñarol, riassestava equilibri e prospettive, infilandosi due volte fra le larghe maglie della rete difensiva magiara. Qui fece capolino Eupalla, negando a Hohberg la tripletta e la finale e incarnandosi in Sándor Kocsis per rifinire la partita e accompagnare l'Ungheria al suo destino. 
1974
La resistenza svedese e i capricci di Netzer

Molte sono le partite indimenticabili disputate alla Coppa del mondo del 1974. Tra le meno evocate, vi è quella che oppose la Germania alla Svezia. Match delicato: se i tedeschi vincono, hanno un buon vantaggio sulla Polonia, e basterà loro un pareggio nello scontro diretto per accedere alla finale. Gli scandinavi non sono da sottovalutare, hanno già mandato in bianco l'Arancia meccanica. Qui al Rheinstadion di Düsseldorf, sotto il diluvio universale, il pallone schizza sul prato a velocità folli, la Fussballmannschaft ha un avvio tremendo ma non passa, e i gialli sono sempre pericolosi. Infatti è loro l'unico gol del primo tempo. Edstroem, un magnifico bolide di sinistro e al volo dal limite dell'area. La ripresa vive un picco emotivo quando, nel giro di tre minuti, la Germania pareggia (Overath), passa in vantaggio (Bonhof), viene nuovamente raggiunta (Sandberg). Due a due, rimane mezz'ora. Sfibrati alla lunga dall'incessante e potente offensiva dei bianchi, gli svedesi schiantano. Quattro a due (Grabowski e Hoeness). L'atmosfera del Rheinstadion muta da lugubre in festosa. L'unico incupito è Gunther Netzer. Il 'lupo solitario' ha mandato al diavolo Beckenbauer e Schön, che gli preferiscono Overath. Ha fatto le valigie e vuole tornare a casa, cioè a Madrid. Il Kaiser se la ride. Schön promette promesse che non manterrà, Netzer disfa le valigie e si accomoda in tribuna; e i pochi minuti contro i fratelli dell'est resteranno i soli da lui mai giocati in un mondiale.
1996
L'era del golden goal

Signori, siamo nell'era - breve, per fortuna - del golden goal. Un fantastico jackpot. Se lo assicura la squadra che riesce a spareggiare il gioco dopo il novantesimo, in un match a eliminazione diretta. La partita, in tal caso, muore all'improvviso, come colta da infarto fulminante. E tra le finali interrotte da repentino e letale malore vi è quella europea del 1996. L'incidente accade sul prato di Wembley. Vent'anni dopo, il titolo europeo è ancora un affare tra cechi e tedeschi, e certo non è un bel vedere. Squadre prudenti. Attendiste. Corte. Trascorrono i minuti, e per la Regina resistere al sonno è un'autentica tortura. Ci vuole un episodio. Eccolo: l'arbitro inventa dal nulla un calcio di rigore. Come infilare di nascosto la volpe in un pollaio: le squadre si allungano e gli spazi si allargano. La Germania trova il suo eroe, e si chiama Oliver Bierhoff. Agguanta il pari e si va all'overtime. Sempre lui, il brutto anatroccolo che aveva giocato poco e male nelle partite precedenti, trova la coordinazione giusta per steccare di sinistro (foto) una boccia che, deviata, sfugge alla presa di Kouba e lenta lenta rimbalza prima di decidere di andare ad addormentarsi definitivamente là, vicino al palo sinistro della porta dei cechi.  E' così che la partita in un istante defunge: pace all'anima sua.
2002
Il chirurgo

Brasile-Germania, a Yokohama la coppa del mondo mette in cartellone la finale che non c'era mai stata e che prima o poi doveva arrivare. Ronaldo Luís Nazário de Lima: a Yokohama si prende ciò che non aveva conquistato a Parigi, e che prima o poi si doveva prendere. Non è più quel centravanti senza paragoni possibili che tutti avevano ammirato nella seconda metà dei 1990s. I guai al ginocchio destro l'hanno reso più umano e assai meno devastante; sa benissimo che a ogni cambio di direzione rischia la carriera, e che a ogni contrasto portato dall'avversario con dissimulato cinismo quel ginocchio potrebbe cedere ancora una volta. Si è fatto meno generoso e più scaltro, bada al sodo, usa il cervello. Tocca meno palloni di un tempo, li tiene solo per il tempo che è necessario tenerli. Non gli interessa più dare spettacolo, incendiare gli stadi, fornire spunti ai designer del calcio virtuale. Gli interessa vincere. E' diventato un attaccante chirurgico. Grazie a lui, la prima finale del nuovo millennio è una formalità. La sua doppietta assassina arriva nell'ultima mezz'ora, e non a caso. Arriva quando l'avversario pensava di potercela fare. Quando, se vai sott'acqua, non hai più la forza di tornare a galla.

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27 giugno

1954
Alla discoteca del Wankdorf

Novanta minuti di gol e botte da orbi. Finisce in rissa, come all'uscita da una discoteca. Alla discoteca del Wankdorf, i magiari hanno portato la loro musica e alcuni buttafuori; i brasiliani  sono annebbiati dalle molte vendette che vorrebbero consumare, sono depressi e arrabbiati, e ancora una volta senza spartito cantano e picchiano ciascuno per conto suo. E dunque vengono cacciati brutalmente, come fossero bulli di periferia venuti per molestare fanciulle. Hanno trovato pane per i loro denti. Per dire: Puskás non ha giocato (i tedeschi l'avevano conciato per bene), ma non è uno cui piace starsene in disparte a guardare gli altri ballare. E' per questo che, prima che arrivasse la polizia, ha spaccato una bottiglia in testa a Pinheiro. In sua absentia, Hidegkuti e Kocsis si sono presi la ribalta, e com'è noto sono anche loro tipi da prendere con le molle. Alla prossima festa organizzata dall'Aranycsapat, stando a quel che si dice, dovrebbe far capolino una terribile banda di Montevideo: la Celeste. Il loro boss, Obdulio Varela, è acciaccato, ma una cosa è sicura: non perdetevi lo spettacolo.
Cineteca

1965
L'esordio oscurato di Gigi Riva

Lo sapevo, l'Italia gioca in Ungheria - una super, super-classica del football europeo -, e cosa fanno gli austriaci? Bloccano la trasmissione delle immagini. Spengono i loro impianti. Ci avrei scommesso! Niente partita ma tengo accesa la tivù, non si sa mai. Peccato, però. Vorrei godermi il momento in cui Gigi Riva sostituisce Pascutti, che s'è fatto male dopo pochi minuti di gioco. Riva esordisce dunque in quell'autentico santuario che è il Népstadion, mezzo vuoto per l'occasione. Gli ungheresi, chissà perché, lo ritengono troppo piccolo; Monsù Poss ha preso informazioni: ci stanno lavorando, a breve conterrà duecentomila spettatori. Mah.
Dicevo di Riva. Pare stia giocando bene. Energico. Dinamico. Si capisce che è molto più forte di Pascutti. Chiaro: se andiamo in Inghilterra, il titolare dev'essere lui. Titolare fisso, anche se non gioca nel Bologna.
Oh ecco, finalmente ci si ricollega. Toh, a Budapest piove. Li vedo, rientrano in campo. Lodetti ha sostituito Rivera. Pazienza. Godiamoci almeno il secondo tempo.


1984
Viva la cara vecchia zia Francia

Metti in conto: il fallo non c'era. Frutto di pura immaginazione arbitrale, Bellone arrancava ed è scivolato. Scrivi anche che il povero Arconada ha preso una topica colossale, l'effetto era velenoso ma non si trattava certo di una patata bollente. La terza cosa che devi ricordare è altrettanto importante: Camacho ha cancellato dal campo Platini, come fosse un pisquano qualsiasi. E prendi nota pure di questo: il pallone inzuccato da Santillana sullo zero a zero forse aveva superato la linea. Dunque nessuno si stupirà nel sapere che anche i francesi hanno fischiato i francesi. Capita di frequente, nelle partite importanti, è vero. "Il tono tecnico-stilistico dell'incontro non era affatto degno di una finale europea ma, a ragion veduta, così doveva finire. La Francia doveva vincere, a furor di pronostici, e puntualmente ha vinto. Viva la cara vecchia zia Francia. Giorno verrà che giocherà anche un bel calcio. Per ora, si accontenti di essere campione così come noi ci accontentiamo di tornare a casa" (Gianni Brera). E così sia.
Cineteca

2010
Quel confine incerto e conteso

E' soprattutto quando incoccia la parte interna della traversa che la sfera assume traiettorie bizzarre. La potenza e l'effetto del tiro, la stessa forma della barra (tonda o spigolosa) definiscono varianti che nessuno ha provato a misurare, ma poi la sostanza non cambia. Finisce sempre - il pallone - per toccar terra in una zona grigia, un'area di confine incerto e conteso. Una zolla dalle dimensioni insignificanti, la cui identificazione può decidere l'esito della partita. Ciuffi d'erba, terra e gesso schiacciati, e la palla risale con un nuovo rimbalzo - inclinato o verticale - in mezzo a uomini che alzano le braccia e si voltano a cercare lo sguardo di colui che deve dirimere in un istante l'imprevedibile controversia. E' gol! No, non è gol! Pressato da istanze contrarie, il giudice prende quasi sempre la decisione sbagliata. E' la fallibilità della giustizia umana. Non era gol, quello di Hurst a Wembley; era gol, quello di Lampard al Free State. Il primo fu assegnato, il secondo no. "England leave the World Cup and should take up immediate residence in a museum of football history" (Kevin MacKarra, The Guardian). Commento malevolo, perché Lampard aveva segnato il gol del due a due. Chissà come sarebbe finita, con un altro arbitro, su un altro campo, senza conti da regolare con il passato di una partita rimasta negli occhi del mondo. Tante rivincite si era già regalata la Germania, mai più battuta dai Leoni in un match davvero importante. Ora, tuttavia, il debito è saldato, e l'eterna sfida può ricominciare. Purtroppo per gli inglesi: "the World Cup is every 4 years, so it's going to be a perennial problem", come ha sentenziato l'ultimo grande footballer albionico, Gary Lineker.


  • Vedi anche le partite del 27 giugno in Cineteca

26 giugno

1954
La patetica dissoluzione del 'verrou'

"Attenzione... e la sfera va a terminare in rete. Prendo ora la linea, gentili radioascoltatori, dallo stadio di Losanna, dove Svizzera e Austria stanno disputando il loro quarto di finale della Coppa del mondo. Ha segnato Wagner. Risultato nuovamente in parità. Non è ancora scoccata la mezz'ora. Dunque siamo uno a uno. No, due a due. Scusate, gentili ascoltatori. Tre a tre. Sì, mi dicono che il risultato è ora questo: tre a tre. Come? Certo certo. E pensare che la Svizzera al minuto diciannove conduceva per tre a zero. Evidentemente, prendendo nota delle migliori azioni, mi sono perso qualche gol, e ... Attenzione:  la sfera va a terminare nuovamente in rete! Quattro a tre per l'Austria, gol di ... Come? Scusate, gentili ascoltatori: cinque a quattro per l'Austria, e manca ancora un'eternità alla fine del primo tempo". Il match finì sette a cinque; il verrou di Rappan si era dissolto improvvisamente nel nulla, complicando e non poco la radiocroncaca di Giuseppe Albertini (foto). Purtroppo, dell'evento non fu testimone Monsù Poss, che aveva preferito osservare gli inglesi alle prese con la Celeste. La chiusura del suo resoconto da Basilea è tuttavia magistrale: "ciò [l'abbattimento di un uruguagio] mentre l'altoparlante continuava a narrare in dialetto svizzero la interminabile e patetica storia delle dodici reti della partita di Losanna che terminava con la eliminazione degli elevetici".
Cineteca
Tratto da Michele Ansani, Lenta può essere l'orbita della sfera


1992
La beffa danese

Mettetevi nei suoi panni. Ha lavorato giorno e notte per mesi, viaggiato per tutti gli stadi d’Europa, studiato - dal vivo e in videocassetta - centinaia, migliaia di partite. Finisce la stagione, i club delle leghe a calendario allineato (le maggiori) hanno mandato in vacanza i propri giocatori, e anche i commissari tecnici delle rappresentative nazionali non qualificate per l’europeo hanno messo in archivio gli appunti presi nelle ultime, inutili amichevoli d’inizio estate. Sono i momenti ideali per riprogrammare l’esistenza: per esempio, arredando la casa acquistata da tempo, dove finalmente trasferirsi, ora che non ci sono più in  agenda impegni istituzionali e voyeuristici. Ed è esattamente di questo che si stava occupando il signor Richard Møller-Nielsen; passata la cinquantina da un po', una modesta carriera di pedatore e addestratore di pedatori alle spalle, può anche darsi che avesse deciso di tirare i remi in barca. La sua vita, invece, fu travolta dall’implosione della Jugoslavia, dalla risoluzione ONU 737 del 1° giugno 1992, da una delibera UEFA del giorno prima. Per la Danimarca, che il signor Richard Møller-Nielsen guidava senza infamia e senza lode da un paio d’anni, s’era trovato un volo last-minute per il villaggio vacanze degli europei di Svezia, disdetto dagli slavi. Per molti pedatori danesi quell’inatteso cambio di programma dovette sembrare un’autentica beffa. L’unico a non volerne sapere fu Michael Laudrup; così, disfatte le valigie e disdette le prenotazioni per esotiche mete, Schmeichel & Co. decisero che la beffa doveva essere restituita con gli interessi. Neutralizzati gli albionici e concesso un golletto ai padroni di casa, si scatenarono ai danni di francesi e olandesi. Poi schiantarono in finale la Germania e si presero il titolo europeo. Roba da non credere. Il signor Richard Møller-Nielsen, due mesi dopo, a Riga per visionare la Lettonia, è circondato da un nugolo di giornalisti. Vogliono sapere di Laudrup e dei lavori di casa. Su Laudrup un’alzata di spalle e nessuna risposta. Sui lavori, una risatina seguita dalla “giusta versione dei fatti”. Si trattava solo di montare una cucina nuova, e c'è voluto del tempo. Ikea o Poggenpohl? Un sogghigno, nessuna risposta.
1996
He missed the fucking penalty

Stuart Pearce e Paul Gascogne indossano l'elmetto: il Daily Mirror ha dichiarato guerra (football war, ovviamente) alla Germania, e ha scelto i propri eroi. "Achtung!", per te Fritz la Championship '96 is over. Passi per Pearce, ma è difficile immaginarsi Gascoigne in assalti alla baionetta. D'altra parte, l'aggressività e il sarcasmo mediatico rivelano il timore di fondo, uno stato d'animo che alla vigilia della semifinale europea contro la Nationalmannschaft accomuna tutti i sudditi di Sua Maestà. A ben vedere, è una partita - pardon, una guerra - persa in partenza. Chi ha voluto che sul tabellone di Wembley, prima ancora che le bande sparassero i santi inni, apparisse la frase "So che è accaduto una volta, ma si potrebbe ripetere"? Sì, era accaduto in Italia, al mondiale. Semifinale, grande partita, gli albionici meritavano ma si sono dovuti accontentare di un consolatorio picnic con gli azzurri, come loro sconfitti ai rigori. E ai rigori finisce anche questa volta. Siamo al penultimo, e tocca a Gareth Southgate. Lo tira alla destra del portiere, ma sarebbe stato meglio se avesse scelto l'angolo sinistro. "He missed the fucking penalty", canterà una punk-rock band di Lewisham (South London). "Dance now whatever you will be / but he missed the fucking penalty / so we smashed up the town / wherever we may be / coz he missed the fucking penalty".

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23 giugno

1954
La disfatta del Saint-Jakob

Molto bene. Abbiamo spezzato le reni al Belgio e ci giochiamo al Saint-Jakob di Basilea contro la Svizzera lo spareggio per essere ammessi al tabellone dei quarti. Eravamo una 'testa di serie', e così invece di affrontare l'Inghilterra ci toccano due volte gli elvetici padroni di casa e sornioni. Molto bene. Abbiamo già perso la prima, ma era l'esordio, dovevamo acclimatarci. Acclimatati, perdiamo anche la seconda. Anzi, la seconda è una autentica disfatta. Contro il truculento verrou di Karl Rappan (foto) schieriamo le pulci, e la squadra è lanciata a un dissennato arrembaggio. Ne busca quattro, in ovvie azioni di contropiede. "Se gli italiani disponessero ancora di giocatori del calibro di un Meazza, le cose sarebbero andate diversamente", scrive un quotidiano di Berna. Già, tutti ronzini i nostri, con l'eccezione di quelli rimasti a casa. Come che sia, "i mondiali del '54 perdono gli italiani ... e ci guadagnano in qualità" (Brera). Purtroppo, nei nostri favolosi 1950s il peggio deve ancora venire.
Cineteca


1965
Il veterinario

Máté Fenyvesi esordì con la maglia numero undici dell'Ungheria nella prima partita giocata dai magiari dopo l'incredibile sconfitta di Berna. Compiva ventuno anni proprio in quel giorno (era il 19 settembre del 1954), e per dodici lunghe stagioni, fino al 1966, quella maglia fu ininterrottamente sua. Lui non abbandonò il paese dopo i tristi eventi del '56; Máté non prese il volo, anzi: studiò da veterinario, giocò centinaia di partite per il Ferencváros, e poi si diede alla politica. In Italia fece capolino un paio di volte, nel 1965, prima a Roma e poi a Torino, per due partite di Coppa delle Fiere. Segnò a Roma, e segnò anche a Torino. Ma il gol di Torino contava molto: fu il solo della finale (finale in partita unica), e dunque la decise, e di conseguenza rovinò la festa alla Juventus di Heriberto Herrera, sottolineandone già alla prima occasione una carente vocazione europea. Triste serata, per i bianconeri; e triste giornata, vissuta nel lutto per la morte di Carlo Carcano, l'uomo che, prima della guerra, li aveva guidati alla conquista di svariati consecutivi scudetti. Fu la prima e unica competizione continentale conquistata da un club ungherese nell'età moderna. Un barlume di luce, nella tristezza.


1974
Come una montagna di ricotta

L'ultimo giorno della vacanza pallonara italiana in Germania è arrivato. Si gioca a Stoccarda, contro la poderosa Polonia già qualificata al secondo girone. Basta un pareggio. Sarebbe bastato, ma alla fine del primo tempo siamo sotto di due gol. Perché abbiamo sprecato, perché l'arbitro non ci ha assegnato un sacrosanto rigore. Per via delle beghe politiche e tattiche, i dissidi, i litigi, il declino dei nostri campioni. "In sostanza, ci eravamo comportati come potrebbe un generale che, non avendo esercito, decida di affrontare il nemico mostrandogli le foto dei suoi defunti eroi. Molti erano i morti nella piccola armata azzurra. Valcareggi o chi per lui non ha voluto accorgersene" (Gianni Brera). Così, si torna a casa. Mestamente. "La spedizione è fallita su tutti i piani: partita con la maestosità organizzativa di una flotta che non teme alcuna corazzata nemica, la tribù azzurra si è sgretolata per strada come una montagna di ricotta" (Giovanni Arpino).


1984
Verbum Regis

C'è un motivo per cui il Portugal, inteso come Selecçao das Quinas, non aveva mai vinto nulla. E questo motivo era da tutti gli osservatori individuato nell'inclinazione a costruire giocatori raffinati ma che detestano il principale senso del gioco: fare gol. Unica, storica eccezione: Eusébio - ma, appunto, portoghese non era. Oggi, finalmente, c'è Cristiano Ronaldo. Tuttavia, vi sono state circostanze in cui la sfortuna e altri fatti imprevedibili e imprevisti hanno fatto capolino e messo a soqquadro il corso degli eventi. Per esempio, nella semifinale europea del 1984, che oppose il Portogallo alla Grande Francia di Roi Michel. Già. A sei minuti dalla fine del secondo tempo supplementare i galletti sono virtualmente spennati, e messi fuori dal loro campionato in semifinale. C'era un centravanti a Lisbona, giocava nello Sporting e si chiamava Rui Manuel Trinidade Jordão. Anzi,  Jordão e basta: Doppietta. Purtroppo per la Lusitania, c'era un difensore a Touluse, si chiamava Jean-François Domergue, aveva un tiro mancino apprezzabile. Doppietta, due a due. Naturalmente, il re sbadigliante si destò giusto in tempo per emanare il decreto che portava la Francia in finale. Promulgò la legge (foto) a un minuto dal termine, nella sovrana solitudine cui fu abbandonato vicino all'area del portiere, con la porta spalancata.
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20 giugno

1954
Un'apparente umiliazione

Josef 'Sepp' Herberger, trainer della Deutsche Fußballnationalmannschaft (foto), era consapevole di una certa qual inferiorità. Si trattava di affrontare l'Aranycsapat nel pieno del suo splendore; le speranze di batterla erano praticamente nulle. All'esordio, i tedeschi avevano teutonicamente prevalso sulla Turchia; logica pretendeva che i turchi sbaragliassero i coreani e che fosse necessaria, tra Germania e Turchia, una gara di spareggio per l'accesso ai quarti - come stabiliva un regolamento pazzesco varato per l'occasione. E così, Herberger schierò contro i magiari una formazione destinata all'utile sacrificio, risparmiando molti pedatori titolari per i confronti più abbordabili. Così, Puskás e i suoi compagni di merende organizzarono un sontuoso pic-nic, sul prato del Sankt-Jacob. Tutti si divertirono, con la sola eccezione di Kwiatkowski (portiere subentrante ed esordiente; carriera internazionale non fortunata la sua: quattro caps e diciotto palloni rotolati alle sue spalle). Finì otto a tre. Poi i teutonici si rifecero coi turchi, e arrivarono sino in fondo, assai più freschi dei maramaldi magiari. Col senno di poi, si può senz'altro dire che la grande epopea del calcio tedesco contemporaneo iniziò proprio in quel pomeriggio di Basilea, con una sconfitta solo in apparenza umiliante.
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1976
Lenta può essere l'orbita della sfera

Qualcuno ha pensato: lo tira in curva. La curva, praticamente vuota, è quella del Marakana di Belgrado. La partita - lunga, bellissima, estenuante - è una finale. Si stabilisce tra le nazioni il primato europeo nel gioco del football. Ogni tanto capitano sorprese, e una c'è già stata. A Zagabria, la Cecoslovacchia aveva eliminato la nervosissima comitiva degli olandesi. Ora naturalmente i cechi se la devono vedere con quelli che, due volte su tre, stanno sul palcoscenico fino all'ultimo atto, e che naturalmente pretendono la battuta conclusiva. Stavolta, però, la sceneggiatura ha assegnato l'ultimo discorso ad Antonín Panenka (foto), semisconosciuto pedatore del Bohemians 1905 di Praga. Se trasforma il penalty, ai tedeschi non sarà concessa un'ulteriore chance. La rincorsa fa credere a tutti che abbia deciso di tirare alla cieca, di pura potenza; è la scelta che di solito prediligono, in queste situazioni, giocatori poco sicuri di sé, non sufficientemente 'freddi', dotati di tocco modesto. E invece è solo un'impostura. Quando Panenka lo colpisce, il pallone si alza molto lentamente, senza fretta si dispone in quota, poi si abbassa ancora più lentamente. Sembra l'orbita di un pianeta; e sembra siano trascorsi anni luce quando finalmente la sfera si adagia, spossata dal proprio viaggio, alle spalle di Sepp Maier, che l'aspettava là dove non sarebbe mai arrivata.

1984
En el fútbol todo es posible

La Franza va per conto suo, Roi Michel recita tutte le parti in commedia. L'esito finale del Championnat d'Europe de football è scontato. Si gioca a pallone solo per stabilire chi farà il paggio del re al Parc des Princes. In quest'ottica si misurano España e Alemania nell'ultima del loro girone. Ovviamente sono favoriti i teutonici, anche perché la Roja vive tempi grigi e vanta pochi campioni. Anzi, nessuno. Quando è in serata, tuttavia, Luis Miguel Arkonada Etxarri è un portiere coi fiocchi. Se lo aiutano pali e traverse, diventa insuperabile. Il match è senz'altro avvincente, gli spagnoli sono obbligati a vincerlo. Carrasco calcia un rigore addosso a Schumacher; Allofs sparacchia tiracci addosso ad Arkonada, come fosse l'orso da colpire in un padiglione del luna-park. Immaginate allora, provate a immaginare la potenza dell'urlo salito al cielo da ogni angolo della vecchia Spagna quando, al novantesimo minuto, Juan Antonio Señor Gomez - stella del Real Zaragoza - mette nel cuore dell'area un pallone che i due Förster e Uli Stielike osservano disgustati, mentre sbucato da chissà dove piomba sull'arcuata traiettoria Antonio Maceda Francés (figurina) - difensore centrale dello Sporting Gijon, ma implacabile predatore delle aree altrui -, il quale inzucca come sa fare, imprimendo alla pelota una forza tale da piegare i guantoni del portiere alamanno, esaurendosi beffarda oltre la linea di porta.
2010
La vigoria atletica e morale degli All Whites

Mi telefona un amico, è sempre e parecchio su di giri negli anni pari, all'inizio dell'estate, quando si giocano le coppe del mondo e i campionati d'Europa. "Ah ah ah! Sai cosa c'è stasera?" Una partita, immagino. "Una partita? Secondo te esiste una partita quando in campo ci sono da una parte i campioni del mondo e dall'altra tipacci convinti che la forma naturale del pallone sia ovale, e che sia diventato rotondo solo per colpa di europei e sudamericani che si accaniscono nel prenderlo a calci? Non scherziamo. Ci tocca perdere tempo contro la Nuova Zelanda, e i nostri rischiano di farsi male: quelli placcano e sgomitano che è un piacere, ti rompono le ossa se non stai attento. A ogni modo, le cose andranno come devono andare, e vinceremo con trenta o trentacinque punti di scarto. Tu cosa pensi? Ci sentiamo domani". Non penso nulla di particolare. Accendo la TV e guardo la partita perché so che alla fine mi toccherà discuterne con lui. I nostri giocano un football orrendo, prendono un gol da polli, pareggiano su rigore. Trascorrono i minuti e lentamente cedo, sopraffatto dalla vigoria atletica e morale degli All Whites.

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19 giugno

1954
Quando nemmeno tieni la palla abbastanza per poter sbagliare qualcosa

A Basilea fa molto caldo, ci saranno quindici, sedici gradi centigradi. E inoltre, gli scozzesi sono virtualmente senza team manager, perché dopo la sconfitta subita contro l'Austria nella prima partita Andrew Beattie (foto) ha detto che presto farà le valigie, indignato - "ma sì, che se ne torni pure a Huddersfield", pensano le stelle dell'Hibernian e del Partick Thistle. Povero Beattie. Non gli era stato possibile convocare i giocatori dei Rangers, impegnati a girare l'America per fare su un bel gruzzolo; in Svizzera, ha dovuto portare solo tredici uomini, misura di spending review varata dalla Scottish Football Association.  Così nel tardo pomeriggio, al San Giacomo, "sotto il sole dardeggiante" (Monsù Poss), dopo nemmeno mezzora di gioco la Tartan Army è già allo sbando. Uomini sulle ginocchia, in preda alle allucinazioni. La Celeste ha vita facile. Allenamento agonistico. Come finisce? Finisce sette a zero. Mai la Scozia aveva subito una così larga, pesante, umiliante sconfitta. "We got the run-around but had absolutely no knowledge of our opponents. Nobody had thought to watch them. But I wouldn't say it was one of my worst games. We never had the ball enough to do anything wrong", disse Tommy Docherty, terzino destro del Preston North End. Il football delle terre madri conosceva i suoi anni peggiori.
Cineteca | The Guardian: retrospettiva


1974
I simboli mortificati

Nel tardo pomeriggio di Stoccarda, quando entrano insieme sul prato del Neckarstadion, i due simboli viventi del football italico ancora non sanno che il loro tempo è finito. Sono due vecchietti? No, viaggiano intorno alla trentina. La loro prestazione è - volendo essere benevoli - anonima. Le immagini che tornano alla memoria sono sconfortanti: Rivera che inciampa nelle margherite, Riva in preda a pura disperazione perché nonostante corra indemoniato a dettare possibili lanci, il pallone non gli arriva mai, e "si demoralizza fino al pianto" (Brera). L'Italia non riesce a sopraffare un'Albiceleste che qualcuno aveva reputato scarpona e imbrocchita. "Pareggio mortificante", è il commento unanime; e loro due, Riva e Rivera, sono additati dalla critica come i maggiori responsabili del disastro. Contro la Polonia - basterà un altro pari per andare avanti nel mondiale - resteranno fuori. Perderemo ugualmente, ma loro non indosseranno mai più la maglia azzurra. E' certamente la fine di un'epoca.


1990
Qualcuno ha rivisto Meazza

Il match è utile solo per designare la vincente del girone, ma non c'è dubbio che Italia-Cecoslovacchia, visti i trascorsi, abbia un certo fascino. Vicini rinuncia al turn-over, però schiera di punta e insieme, per la prima volta, Schillaci e Roberto Baggio. Il siculo è posseduto da Eupalla, nelle notti dell'Olimpico sfodera prestazioni sempre e molto al si sopra delle sue reali possibilità; il 'codino' fa il suo esordio nella coppa del mondo. Ed è, per molti, una rivelazione. Segna un gol (foto) che tutti si ricordano, anche quelli che non l'hanno mai visto. "Ahimé, se quest' è amor, com'ei travaglia! Sono sicuramente vivo e non poco stupito di esserlo ancora. Ho fatto il matto, perché nasconderlo? Sono balzato in piedi e mi sono sentito intorno al collo le braccia di un vicino amico e un po' fuori di senno come me. Aveva appena segnato Baggio. Avevo gridato dopo averlo puntualmente scritto di aver rivisto Peppin Meazza: lo aveva puntualmente gridato anche il mio vicino amico!" (Gianni Brera).
Cineteca


1996
Italy comes home

Mi telefona un amico, è su di giri. Stasera c'è in cartellone The Match of the Century, dice, e si gioca al Theatre of Dreams, aggiunge. Cosa c'è oggi pomeriggio?, gli chiedo. "Italia-Germania, eh eh eh. Senti un po'. Credono di passarla liscia, ma si sbagliano. Hanno una squadra ridicola: te li ricordi in America, due anni fa? E ti ricordi quattro anni fa, come furono scherzati dalla Danimarca? Qualcosa significherà. Ecco. Noi siamo i vice-campioni del mondo, e qualcosa significherà. Partita? Di quale partita parli? Non c'è partita. Tieni conto che: primo, non ci hanno mai battuti, e qualcosa significherà. Secondo, hanno giocatori che non sarebbero titolari in una squadra austriaca di seconda divisione, e anche questo significherà qualcosa. Quindi stai tranquillo. Punterei su un tre a zero: Zola su rigore, e poi doppietta del Rava". Chi è il Rava? "Ravanelli, do you know? Penna Bianca per gli amici. Ci sentiamo, magari ci mettiamo d'accordo per vedere la prossima: quarti di finale contro Portogallo o Croazia". Mi sento risollevato, e soprattutto ho trovato un modo per trascorrere la serata. Come spesso capita, mi addormento poco dopo il calcio d'inizio. Sogno che Zola sbaglia un calcio di rigore, che la partita finisce zero a zero, che l'Italia viene eliminata dal campionato d'Europa nella fase a gironi. "Italy comes home", dice il commentatore della BBC.


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17 giugno

1954
Il pallottoliere

Misteriosamente qualcuno regalò a Eupalla un pallottolliere, vai a sapere chi (forse l'inventore) e perché. Accadde poco prima che, sugli altipiani elvetici, gli uomini si sfidassero nel gioco del pallone per vedere di quale nazione fossero i più bravi del mondo. Dopo tanti anni, quel campionato tornava ad essere disputato in Europa, nascosto dalle Alpi ma con trasmissioni in diretta delle partite, alle quali si poteva assistere acquistando un apparecchio televisivo o recandosi in visita - all'ora giusta - presso lo possedeva già. Ma torniamo alla storia del pallottolliere. "A cosa servirà mai?", si domandava Eupalla. A un certo punto capì: serve per contare i gol e tenere il conto di quelli che vengono segnati in ciascuna partita. E' uno strumento molto utile, ma certo: ai portieri non piace.  "Che meraviglia!". Lo sperimentò durante la prima partita in programma al Saint-Jakob di Basilea, dove scendeva in campo una delle squadre più forti che siano mai esistite: l'Inghilterra, che credeva di mangiarsi il Belgio in un solo boccone (come sempre era accaduto). Funzionò davvero alla perfezione, perché a Gilbert Merrick (foto) - portiere albionico in forza al Birmingham City, club di seconda divisione - quel pomeriggio si appannarono i riflessi e la vista. Finì quattro a quattro dopo i tempi supplementari. Altri, nei giorni successivi, manifestarono lo stesso problema di Merrick. Infatti, durante la Coppa Rimet del 1954 si disputarono in tutto ventisei partite, e furono realizzati centoquaranta gol.
Inghilterra-Belgio: cineteca


1986
L'inutile mordacchia

Un amico mi telefona prima della partita, è su di giri. "Cosa pretendono i francesi? E va bene, sono campioni d'Europa. Bella forza, hanno giocato in casa e noi non c'eravamo. Ma ora che mi viene in mente: noi non siamo campioni del mondo? Yes,oui, ja, da. Lo siamo. C'è Platini? Bene: lo francobolliamo. Non gli si fa toccar palla, e se serve gli facciamo passare la voglia di riceverla. Chiedi ragguagli in proposito a Zico e a Diego. Come? Gentile? Certo che gioca, sì è probabile che sia lui l'eliminatore ... pardòn, il marcatore. Come? Ah, credevo che il Vécio l'avesse convocato. Allora ricorreremo a una gabbia e se serve al disco di Norimberga; gli metteremo la mordacchia, stai tranquillo. E comunque, non ci battono dal 774 dopo Cristo, qualcosa significherà. Ci sentiamo per i quarti di finale". Roi Michel, dopo un quarto d'ora, ha già fatto servire le paste: significa che tra poco l'Universitario della Ciudad chiude i cancelli. Con un'alzata di spalle, spengo la TV: le cose vanno esattamente come immaginavo. Abdichiamo mollemente: non me ne rallegro, ma è il naturale corso degli eventi. Il giorno dopo apro il giornale, e scopro che il mio amico, almeno in parte, aveva ragione. "Italia-Francia inizia e finisce con la caccia irrefrenabile a Michel Platini. Prima in campo, poi negli spogliatoi. La gente lo ascolta come si guarda una stella cadente che è splendida e che lascia sgomenti".


2000
L'inutile eccezione alla regola di Lineker

Allora, avranno pensato i sudditi della Regina, l'unica cosa da fare è giocare con la maglia rossa, come nella finale del 1966. A mitigare l'entusiasmo sono le notizie in arrivo dal Belgio: gli hooligans hanno messo a ferro e fuoco la bella Carloré, Vallonia. Colpa loro se, nel 2006, i mondiali si giocheranno in Germania e non in Inghilterra. A onor del vero, una certa sfortuna non se la sente di abbandonare gli inglesi. Sarà un effetto collaterale di altre magagne, non discuto. Per una volta che la legge di Lineker non viene applicata, per la santa volta (c'è sempre, ed è appunto santa) che l'eccezione conferma la regola, per una maledettissima volta che riescono a spuntarla con i tedeschi, finiscono tutti insieme (inglesi e tedeschi) nelle immaginarie e sulfuree paludi di un girone che non c'è più nemmeno ai tornei olimpici dai tempi dei Giochi di Amsterdam: quello di consolazione. Già. Inghilterra Germania uno a zero (Alan Shearer: foto), ma nei quarti del campionato d'Europa ci andranno Portogallo (passi) e Romania. Bella roba. "Troppi giocatori che la nazionale dovrebbero vederla in televisione" (Gianni Mura) schierano le due gloriose rappresentative.
Tabellino | Highlights

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