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30 dicembre

1975
Gaetano e Kritikopoulos

Fossi in te, Gaetano, incrocerei le dita. Già ti tocca prendere il posto di Giacinto - e si dice che lo spogliatoio mugugni di fronte alla rimozione del monumento -, ma come se non bastasse per questa prima partita in azzurro ti troverai di fronte un centravanti greco che non esiste e perciò approfitterà di ogni tua distrazione, di ogni tua incertezza per dare ragione a coloro di cui è l'emanazione. Sai come l'hanno chiamato? Kritikopoulos. Capirai dunque che si tratta solo di un fantasma, un riflesso animato di coloro che, in Italia, ti ritengono inadeguato. Di coloro che attendono solo una tua scivolata impropria, un buco, un passaggio sbagliato per attaccare te e questi due poveri cristi che cercano di tenere su la baracca e di darle un senso - parlo di Bernardini e Bearzot. Mantieni la calma, come al solito. Ci saranno comunque altre, innumerevoli occasioni. Magari non diventerai forte come Beckenbauer - al quale ti accostano i maligni, proprio allo scopo di bruciarti alla svelta -, ma certo diventerai (come lui) un modello. Un giocatore pressoché inimitabile.
Tabellino | Highlights


1979
Il centesimo gol

GB Fabbri gli ha dato un saggio consiglio. Gioca alla Di Stéfano, un po' indietro, te lo ricordi Di Stefano, no? Ma certo che se lo ricorda, è un classe '48, da bambino sarà stato uno di cui ha come minimo sentito dire ogni sorta di meraviglia. Così lui, giocando alla Di Stéfano, dopo nove minuti sbuca sul secondo palo, ignorato da tutti, arrivato fin lì in incognito - oltretutto è un piccoletto, non è che di testa la prenda sempre -, e sblocca la partita (foto). Ah, particolare non secondario: è il suo centesimo gol. Cento gol in Serie A non sono uno scherzo. Ha faticato molto ad arrivarci. Sono anni che segna col contagocce. Il pubblico lo applaude. E' il pubblico del comunale, il suo. Veste ancora una maglia bianconera, ma oggi ne indossa una azzurra, la seconda maglia dell'Ascoli. Pietruzzo Anastasi, 31 anni, inaugura la piccola goleada marchigiana di fine d'anno sul campo della Juventus e si toglie una grande soddisfazione. L'avvocato era sceso a salutarlo negli spogliatoi prima del calcio d'inizio. "L'ho salutato con affetto e debbo dire che la cosa mi ha fatto un mucchio di bene". L'avvocato dava sempre la carica ai 'suoi' giocatori.
Tabellino | Highlights


1980
Sintonizzarsi o no?

Cosa faccio, mi sintonizzo o non mi sintonizzo, alle 22? Inizia la Copa de Oro de Campeones Mundiales, inizia al Centenario, quale teatro migliore? Scende in campo la storia, amigos. Laggiù però c'è un regime militare, ha perso il plebiscito ma è rimasto in serpa. Mi sintonizzo o no? Oltretutto, tra i Campeones Mundiales non ci sono gli inglesi. Hanno dato forfait, mica è una novità. Peccato: poteva esserci Uruguay-Inghilterra ad aprire, il padre contro la madre del football, è invece c'è l'Olandetta di questi tempi, senza più assi, l'Olanda che non vince più nemmeno una partita, che ha fatto pena agli europei giocati a casa nostra. Mah, non so se mi sintonizzo, anche perché non ho voglia di vedere Mike Bongiorno fingere di commuoversi dagli studi di Canale 5, sì è la prima volta che trasmettono una partita in diretta, qui siamo in Lombardia e che diamine, la rivoluzione è cominciata e non mi va di farmi sommergere dagli spot pubblicitari. Facciamo così. Vado a dormire, e domani guarderò gli highlights in differita, senza pubblicità.

2 agosto

1952
Bellezze finlandesi

Finiscono contemporaneamente, i XV giochi olimpici dell'era moderna e il loro torneo calcistico. L'ultimo alloro, "giunto fresco fresco dalla greca città di Olimpia e porto dalle mani di quella che passa in questo momento per la più bella donna del mondo, la finlandese Armi Kuusela, miss Universo" (Monsù Poss), va all'Ungheria. Logica voleva che questo successo sancisse un dominio destinato a durare; in effetti, nel 1953, l'Aranycsapat si prenderà anche la Coppa Internazionale. Ma il suo breve ciclo non andò oltre queste due vittorie, e quella di Helsinki rimane senz'altro la più prestigiosa, colta contro un avversario di valore assoluto (la Jugoslavia) e al termine di una partita dura e difficile. Nel nostro immaginario, la bellezza e la grandezza di questo XI non saranno destinati a sfumare; così come difficilmente, nella memoria dei pedatori magiari, quel giorno verrà separato dal ricordo del dolce sguardo di Armi (foto), l'angelo che li premiò.
Cineteca

1980
Ultima parata socialista alle Olimpiadi

I tedeschi non riuscirono a tenersi l'oro conquistato a Montreal, e dovettero cedere - nell'immenso Lenin Central Stadium - di fronte ai cecoslovacchi. Già: se c'è un'edizione dei giochi di Olimpia che in sé è sufficiente o quasi a rappresentare la storia del football alle Olimpiadi del secondo dopoguerra è proprio quella di Mosca. Guerra fredda e boicottaggio occidentale, ma ultima finale tra due nazionali d'oltrecortina. I tedeschi evocati all'inizio sono infatti e naturalmente quelli orientali, che in terra sovietica persero l'opportunità di conquistare un altro trofeo. Li condannò un gol di Jindřich Svoboda (foto), sconosciuto e modesto attaccante dello Zbrojovka di Brno, entrato in campo a una manciata di minuti dalla fine. Insomma: fossero dell'est o dell'ovest, per i tedeschi la bestia nera di fine anni '70 era sicuramente la Cecoslovacchia. E ci sarà poco tempo per le rivincite: quando rigiocheranno una partita importante, nel 1996, la Germania sarà già unificata e la Cecoslovacchia oramai separata.

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18 giugno

1922
L'epilogo della ruvida epopea vercellese

Il campionato italiano di Prima Divisione dell'annata calcistica 1921-22 fu l'ultimo dei sette vinti dalla Pro. Si concludeva così "la ruvida epopea degli autodidatti vercellesi" (Brera), in una scontata gara di ritorno della finalissima, giocata sul campo amico, il "Principe di Napoli", contro un club romano-papalino, la Fortitudo (Società di Ginnastica e Scherma). All'andata fu tre a zero per i piemontesi. Come oggi, anche a quei tempi l'eccessivo successo generava noia e assuefazione. "Poco pubblico è accorso sul campo della Pro Vercelli per assistere alla finalissima del campionato confederale di foot-ball, nella quale le squadre hanno giocato con poca passione. La sicurezza della vittoria dei vercellesi era troppo evidente e essi hanno voluto anche scherzare, cosicché si sono visti segnare dagli ospiti due goals consecutivi" (La Stampa). Gli ospiti, dal canto loro, se ne videro segnare cinque. Onorevole sconfitta, tutto sommato.
Campionato 1921-22

1972
Der Bomber

La logica dei numeri non ha fascino, e talvolta genera valutazioni effimere. Ci sono pedatori che ne prescindono, altri la cui parabola agonistica può esserne invece scientificamente rappresentata. Lui è uno di questi. Vediamo un po'. Gli è capitato di non gonfiare la rete in ventitré occasioni, su un totale di sessantadue apparizioni con la sua nazionale (equamente distribuite tra amichevoli e competitive); di queste ventitré, solo sette contavano qualcosa. L'ultimo dei suoi sessantotto gol l'ha segnato nell'ultima partita, che era anche l'ultima e decisiva di un mondiale: naturalmente, fu quello decisivo (a Monaco, nel '74). Era il suo mestiere: risolvere le partite. Nel '70 risolse il quarto con gli inglesi, nell'extra-time; in semifinale fece all'Italia (sempre nei supplementari) il gol del 2 a 1 (sembrava finita per gli italiani) nonché (quando sembrava finita per i tedeschi) quello del 3 a 3. La fase finale degli europei disputata in Belgio nel '72 fu decisa da lui: doppietta ai padroni di casa in semifinale; doppietta in finale ai sovietici (ad aprire e a chiudere un inappellabile 3 a 0). Fu un centravanti assolutamente archetipico: il rapinatore d'area, quello in grado di intuire traiettorie sporcate e di calamitare la sfera, sbucando fulmineo da mischie affollatissime e crude. "You have to react quickly, or the chance is gone", diceva. Si sta naturalmente parlando di Gerhard ("Gerd") Müller; quel "Kleines dickes Müller" del 1964 che, in capo a un decennio, divenne per i tedeschi "der Bomber der Nation". Per la Germania e per la Baviera: "Tutto quel che è diventato il Bayern lo si deve a Gerd Müller". Parola del Kaiser.
Germania-URSS: cineteca | Eupallog Eurostorie


1978
Il centravanti inesploso

"La maggior tristezza nella mia carriera è il modo in cui fummo eliminati nel mondiale del 1978. Eravamo imbattuti, ma andammo fuori per il 6 a 0 subito dal Perù contro l'Argentina". Parole di Carlos Roberto de Oliveira, ma lo chiamavano Roberto Dinamite perché dai suoi piedi esplodevano gol di inaudita potenza. Era il centravanti della Seleçao, la notte in cui a Rosario si disputò il Gran Clásico del Sudamerica, che valeva una prenotazione del Monumental di Baires per la finale. Roberto Dinamite era la leggenda vivente del Vasco de Gama, il suo club, per il quale giocò più di mille partite, segnando centinaia e centinaia di reti. Lo ritenevano un campione. Ma i campioni sono quelli che decidono le partite decisive. Lui, in quei novanta minuti, si trovò per ben tre volte solo davanti a Fillol, goleiro dell'Albiceleste. Tre grandi occasioni: una dopo l'altra, le fallì.
Cineteca

1980
Le barbe del Belgio

All'Olimpico, ultima partita del girone. Miracolosamente scampati a una sconfitta contro la Roja, meritatamente vittoriosi contro i leoni di Albione, gli azzurri dovevano assolutamente battere il Belgio per accedere alla finale del Campionato d'Europa. Ma i quattro barbuti  - Van Moer, Ceulemas, Gerets (foto) e Millecamps ("barbe però più nazarene che terroristiche, barbe cintanti, facce abbastanza chiare") -  avvolsero la partita in una vischiosa melina. Botte da orbi, gli italiani non trovarono intuizioni né sufficiente bravura per uscire dalle sabbie mobili. I belgi, "con calma da bonzi", perdevano tempo in ogni occasione, diluendo il ritmo e il tempo del gioco: "si giocava una partita per aria, tra soli corpi, e una rasoterra anche col pallone. I belgi la giocavano col fuorigioco, gli italiani li assediavano con una sorta di paura di essere uccellati. La gente sovente taceva, come schiacciata da una nemesi" (Giampaolo Ormezzano). Arrivò il fischio finale, e le cose erano ancora esattamente come all'inizio. Il gol, una chimera.


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28 maggio

1969
Pallone d'oro in arrivo per l'abatino

Perché l'abatino vincerà quest'anno il pallone d'oro? Perché a tutti sono rimaste impresse nella mente alcune sue leggiadre giocate nella finale di Coppa dei campioni, al Bernabéu, contro l'Ajax. Quella sera, lui e Pierino Prati hanno fatto vedere i sorci verdi ai Lancieri. Negli anni a seguire, quelli in vena di provocazioni chiedevano a Johan Cruijff: "ti ricordi di Pierino la Peste?". Nessuna risposta. Gli si appannava la vista e, sicuramente, avvertiva una morsa allo stomaco. Non gli piaceva perdere, e non gli piaceva tornare con la mente alle sconfitte. Ma dicevamo di Rivera. Eccolo in fuga, nella metà campo dell'Ajax. Il suo dribbling è basico, ma efficace. Ha davanti a sé soltanto il portiere, e lo scarta. Ma si allunga la sfera. Si decentra, in direzione dell'ángulo de la muerte, da dove la porta sembra solo un dettaglio in quell'enorme catino. Niente da fare, l'occasione è perduta. Ma lui non si agita, è uno per il quale la sola cosa importante è avere sempre delle idee. Così si ferma, alza la testa, e vede che l'area si sta affollando. Sfiora la palla, ed è una traiettoria né veloce né lenta, né lunga né corta. Se sulla testa di Prati ci fosse una lattina di birra, l'avrebbe centrata in pieno. Ma non c'è, e così Pierino può solo prodursi in uno stacco lieve, colpendo la sfera con la fronte e incrociandola sul lato più lontano (foto). E' finita. Quattro a uno. Rossoneri di nuovo sul palco d'onore, a ricevere la coppa.
Cineteca


1976
Italiani a New York

La nazionale italiana gioca per la prima volta in una delle più grandi città italiane del mondo: a New York. E' andata fin là solo perché esclusa dalla fase finale degli europei, e uguale motivo ha convinto gli inglesi ad accettare l'invito. Si gioca un torneo di soccer sponsorizzato dal quinto evangelista, Edson Arantes do Nascimento, con la scusa di festeggiare il bicentenario dell'indipendenza americana. C'è anche il Brasile, e a completare il quartetto una selezione denominata Team America, costituita dalle star della North American Soccer League - per lo più pedatori a fine corsa, tra i quali ovviamente Pelé. Oggi, allo Yankee Stadium (foto), c'è Italia-Inghilterra, puro entertainment per tutti o quasi. Don Revie ha, sinora, vinto solo le partite che non contano; fa esordire tra i pali John Rimmer, goalkeeper dell'Arsenal, che ne becca due in pochi minuti e prende un volo per Londra prima dell'inizio del secondo tempo. Che bellezza, per i nostri milioni di immigrati. Si farà festa, stasera, per le strade di Little Italy. Un corno. Riprende la partita, e in un amen quelli ne fanno tre. Oddio. Dagli spalti, insulti beffardi, è un vero tradimento. Fuffo Bernardini dice che ci siamo spaventati. Perché? Perché stavamo giocando troppo bene! Per Bearzot invece - certo, gli errori individuali non sono mancati - ha fatto semplicemente capolino l'imponderabile. Altrimenti, come si potrebbe spiegare il pugno sferrato da Giacintone a Dave Clement? Come che sia, il dramma verrà superato in fretta; in autunno rivedremo gli inglesi per una partita che conta davvero, e riceveranno una sonora lezione!


1980
I favolosi anni della contea

Certo, se la risposta fosse affermativa, sarebbe un paradosso: esiste la bacheca di un club nella quale si conta un numero di coppe dalle grandi orecchie doppio rispetto a quello dei piatti ricevuti per il titolo di campione nazionale? Sì, esiste. Si tratta di un club che però, paradossalmente, nessuno annovera fra le grandi leggende del football europeo. La squadra favolosa di quegli anni (i last Seventies) era il Liverpool. Ma fu proprio il Nottingham Forest, sotto la guida di Brian Clough, a spezzarne l'egemonia. Una cavalcata impensabile, se si pensa che i Tricky Trees, dal 1972, vagavano intristiti per i campi roventi della Seconda Divisione: fino alla tarda primavera del 1977, quando acciuffarono finalmente il terzo posto, l'ultimo utile per il transito nella First. Il motore restò caldo, perché in estate si divorarono, come leggero antipasto, la seconda edizione della Anglo-Scottish Cup. Poi, nella ripetizione della finale (22 marzo 1978), si gustarono la Football League Cup, lasciando il Liverpool a bocca asciutta. E il digiuno domestico dei Reds non era finito, perché conclusero la First Division a ben sette punti dal neo-promosso Nottingham (ma a Liverpool banchettarono, rifacendosi ampiamente con la Coppa dei Campioni, a fine maggio). Per la prima e ultima volta, il titolo nazionale veniva festeggiato nella contea resa eterna dalla cultura popolare, e che stava per entrare nella geografia del mondo incantato di Eupalla. Infatti, come sanno tutti gli eupallici, arrivarono i due trofei continentali (il buongiorno si vede dal mattino: i neofiti di Clough si trovarono opposti al Liverpool detentore per il turno d'esordio, e lo liquidarono senza problemi), ma anche una seconda League Cup, la Charity Shield, e l'Uefa Super Cup. Con la finale del 28 maggio 1980 contro l'Amburgo quel romanzo giunge al suo lieto epilogo. Lo scrive e lo firma, con un autentico masterpiece, il protagonista che fa capolino in tutte le sue pagine (243 partite consecutive, fra il dicembre del 1976 e il dicembre del 1980). L'ala sinistra del Nottingham, destrorsa e scozzese, John Neilson 'Super Tramp' Robertson (foto). Parole di Brian Clough: "John Robertson was a very unattractive young man. If one day I was feeling a bit off colour, I would sit next to him. I was bloody Errol Flynn compared to him. But give him a yard of grass and he was an artist. The Picasso of our game".
Cineteca


2003
Il grande assente

Le telecamere vanno spesso su di lui, il grande assente. Certo, se ci fosse lui sarebbe un'altra partita. Vedi cosa può costare un cartellino giallo di troppo? Castigo dietro la lavagna per chi lo piglia, e penitenza per i suoi compagni di squadra. Al Teatro dei sogni va in scena una finale di coppa tutt'altro che memorabile; del resto, sosteneva la critica che non ha in particolare simpatia the italian way, che spettacolo possono mai offrire Milan e Juventus? In fin dei conti, la partita non è stata inguardabile. Certo, nemmeno l'ombra di un gol - belle parate, bei tiri, belle azioni: qualcosa c'è stato -, si finisce alla cosiddetta lotteria dei rigori e il biglietto vincente, che è poi l'ultimo da estrarre, è nelle mani di Sheva. Da dietro la lavagna, Pavel Nedved sente l'urlo della torcìda rossonera levarsi per assordare il cielo dell'Inghilterra, e tenendosi la testa tra le mani pensa che non meritava il castigo, e che se avesse potuto giocare la storia non sarebbe finita così. Molti la pensano allo stesso modo. Ma chissà.



23 maggio

1968
L'odore del Mare del Nord

La sequenza è cominciata. Anzi, continua. Dopo anni difficili: scudetti gettati, girandole di allenatori. Squadra da rifondare. Alcuni satanassi se ne sono andati o hanno smesso - Ghezzi, Altafini, Sani, Maldini; è tornato Rocco e ha imbottito la squadra di gente vicina alla pensione. Coppa Italia nel '67, tricolore - con dominio assoluto e largo anticipo - nella primavera del '68. Il cammino in Coppa delle coppe è però ostacolato da nugoli di tedeschi: il Bayern in semifinale, l'Amburgo in finale. Si va a Rotterdam, ed è una rotta che piace a Kurt Hamrin (foto), il più terribile dei vecchietti rossoneri. Dev'essere l'odore del mare che arriva sino al 'de Kuip' a metterlo di buonumore. Doppietta in meno di venti minuti, agilmente difesa nei restanti settanta. Finita la stagione dell'Inter, ricomincia quella del Milan.

1980
Londonderry Air

L'epoca delle ricorrenze secolari sta entrando nel vivo. Quest'anno, per esempio, si celebra il centenario della Irish Football Association, e la Green and White Army sta facendo bella figura nella British Championship (da quando è tornato Billy Bingham, le cose vanno bene, la qualificazione al mondiale di Spagna è possibile). Oggi si va a Cardiff, e se si vince, si vince matematicamente il trofeo. E' successo davvero poche volte. In effetti, si vince, e facciano quel che gli pare domani gli inglesi a Hampden Park. Noi siamo qui che cantiamo A Londonderry Air. E al coro si è unito anche Noel Brotherston (foto), sì è lui che segnato il gol decisivo (e che gol), poco importa di quel che gli diranno quando tornerà a Blackburn, sentite che voce! "Would God I were the tender apple blossom / That floats and falls from off the twisted bough / To lie and faint within your silken bosom / Within your silken bosom as that does now".
Tabellino | Il gol di Brotherston


1995
L'emancipatore del calcio sovietico

Si spegne, a Mosca, Gavriil Dmitrevič Kačalin. Nella storia del calcio sovietico, prima ancora di Lobanovski, il suo nome campeggia imperioso: fu lui, infatti, a guidare la rappresentativa delle repubbliche socialiste al vertice del calcio mondiale. Accadde nel favoloso scorcio dei 1950s: oro olimpico a Melbourne (1956), e soprattutto titolo europeo nel 1960. Con molti, onorifici titoli, il Cremlino manifestò la sua riconoscenza nei confronti del generale che aveva piegato, a Parigi, l'odiata Jugoslavia di Tito. 

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10 maggio

1962
A Glasgow senza un perché

Beh, una cronaca registrata è meglio che niente, anche se sarà difficile stare svegli fino a quell'ora. Chissà se la Viola riesce a fare il bis, c'è sempre la Scozia di mezzo, l'anno scorso i Rangers, questo in verità la finale è con l'Atletico, ma si gioca a Glasgow. Sempre che si giochi. Sempre che la Fiorentina ci sia andata. Intendo a Glasgow. Pare che la comitiva, ad Hampden, non si sia ancora vista, eppure dovrebbe essere in loco da ieri. Quelli della Federazione scozzese sono preoccupati, il panico si diffonde e genera notizie fuori controllo: "hanno avuto un incidente automobilistico!". Ma forse è solo presunzione: "vogliono farci credere di essere talmente forti da non aver bisogno di allenamenti!". Bah, gli scozzesi devono essere in ansia per l'incasso, altrimenti non si spiegherebbe tutta questa agitazione. Gli spagnoli, dal canto loro, si sono rilassati a Largs, una "ridente stazione balneare" del sud-ovest, a circa trenta miglia da Glasgow. Chissà che acqua gelida. Comunque i 'nostri' stanno bene, si sono solo svegliati tardi, pare che all'allenamento abbiano preferito un bel giro turistico, saranno dediti allo shopping. Insomma, due squadre in modesta tensione, infatti poi pareggiano la partita (nella foto, il gollettino di Hamrin) e gli toccherà ripeterla. Domani? Dopodomani? E che fretta c'è. No, se ne riparla dopo l'estate. Rigiocheranno ad ottobre. Il che testimonia quanto la Coppa delle coppe fosse reputata importante, nelle sue primissime edizioni.
[Si veda il servizio di (Geoffrey Miller, Corriere dello Sport, 10 maggio 1962]


1980
Old Firm riot

Finale della Scottish Cup, e l'Aberdeen di Alex Ferguson se la gode in tivù: si è aggiudicato la Premier Division interrompendo, nell'albo d'oro, la monotona alternanza dei due squadroni di Glasgow. Il match è delicato e teso, e lo vince il Celtic nell'extra-time. Giro di campo con il trofeo, e i supporters dei Bhoys invadono pacificamente il prato di Hampden Park. Qualcosa però va storto: un brutto gesto, un'offesa. Dagli spalti scendono anche i fans dei Gers, ed è una rissa furibonda e memorabile. Tutti ubriachi, naturalmente. A distanza di tempo, sui social delle due fazioni la rievocazione continua, specie negli anniversari. Chi c'era racconta la sua versione, molti credono di sapere come il bailamme abbia avuto inizio. Questo qui, per esempio: "Fu uno che andava nella mia stessa scuola, di un anno più vecchio di me, è stato lui a correre fin sotto il nostro settore e a calciare un pallone nella porta dei Rangers". O quest'altro: "ero là col mio vecchio, e al fischio finale un gruppo di quei [...] è venuto sotto di noi, abbiamo visto arrivare una bottiglia volante, per fortuna ci è arrivata solo vicino". Ma anche quest'altro: "ero lì coi miei amici, uno di loro decide di andare in campo per unirsi alla festa ma fu immediatamente abbattuto da una bottiglia di Pomagne scagliata dalla Rangers end". E così via. Da quel giorno, nel giorno della partita, sarà vietato vendere alcoolici in Scozia. That's all folks!

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19 marzo

1909
La spalla di Meazza


Nasce, a Buenos Aires, Atilio José Demaría. E' forse il meno famoso dei grandi oriundi reclutati dai club italiani e poi messi a disposizione di Monsù Poss. Così, cresciuto nell'Estudiantil Porteño e passato all'Ambrosiana, gli capitò di giocare spiccioli di partita nei mondiali del '30 e del '34 con due diverse casacche. L'intesa con Meazza era ottima, il suo sinistro preciso e micidiale; insieme, vinsero parecchio. La nostalgia della Pampa, ogni tanto, lo riportava a casa. Ma tornava sempre.
Profilo



1949
Il castiga-magiari

Si spegne, a Vienna, Ferdinand Wessely. Fu grande (anzi: piccola e sgusciante) ala sinistra del Rapid Vienna nei 1920s, e visse gli anni in cui il Wunderteam stava fiorendo sotto la guida di Meisl e la stella di Sindelar. Nella rappresentativa austriaca disputò quaranta partite, segnando diciotto gol; ottima performance. In particolare, 'vedeva' bene la porta quando in campo c'era l'Ungheria: ne fece nove, ben distribuiti in dodici sfide tra il 1922 e il 1929; memorabile, sicuramente, quello del 6 maggio 1928, a Budapest, che all'ultimo istante fissò uno spettacolare 5:5.



1980
Divergenze di opinioni

Eh sì, al Mestalla è stata davvero una bella, una grande partita. Valencia contro Barcelona, Coppa delle coppe, ritorno dei quarti di finale. L'allenatore dei blaugrana non è convinto di avere meritato sconfitta ed eliminazione, e gli avversari non gli sono piaciuti granché. Assicura che, la prossima volta, il risultato sarà diverso, "dimostreremo di essere superiori". L'allenatore dei valenciani risponde per le rime: "Suppongo che ciascuno veda le cose a modo suo. Lui ha la sua opinione, io la mia". Sono nati tutti e due a Baires, ma le loro squadre sono sempre state rivali. Helenio Herrera e Alfredo Di Stéfano.
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1° marzo

1921
L'uomo giusto

Dopo la breve parentesi di Daniel Burley Woolfall, uomo della Football Association inglese, un francese torna a guidare la FIFA. Si tratta, naturalmente, di Jules Rimet, il grande escogitatore. Resterà sul cadregone fino al 1954, scendendone solo dopo che la quinta Coppa del Mondo ideata da lui (e che a lui era intitolata dall'edizione del 1950) verrà consegnata alle tabulae sacre. Per una volta lo si può dire: fu l'uomo giusto nel momento giusto nel posto giusto.



1967
Il torero

L'Inter che s'affaccia sulla primavera del 1967 sembra tornata la vecchia cinica, imbattibile compagine che alzò la coppa per due stagioni consecutive. Liquida il Real in scioltezza al Bernabéu, dopo averlo matato a San Siro. Un gol per tempo, e i centoventimila tacciono, furenti e delusi. Insomma, un quarto di finale che non regala emozioni. Dicono tuttavia le cronache che un fatto curioso si verifica, interrompendo il monotono monologo nerazzurro. Intorno alla metà del secondo tempo, "eludendo i servizi di vigilanza, uno spettatore riesce ad entrare in campo, dirigendosi verso l'arbitro: l'intruso tiene fra le mani una muleta - il drappo rosso che i toreri usano per le corride - e, giunto vicino al signor Dienst, si produce in alcune mosse tipiche del toreador che aizza il toro. L'arbitro non si lascia impressionare, trattiene il 'finto torero' finché la forza pubblica interviene ed allontana l'intruso e qualcun altro che l'ha seguito" (La Stampa, 2 marzo 1967). Insomma, Dienst non è stato al gioco, sicché dagli spalti scende qualche fischio, e lentamente la partita si spegne. Nessuno ancora lo prevede, ma è stata l'ultima grande impresa dell'Inter di HablaHabla (foto).

1980
Il grande Dixie

Gli cedette il cuore a Goodison Park, durante un Merseyside derby. Noto col soprannome di "Dixie", William Ralph Dean fu una stella di prima grandezza nel football inglese dei 1920s e 1930s. Spese i propri anni migliori nell'Everton, trascinando i Toffees a traguardi importanti, in anni di montagne russe. E' considerato dai suoi fans il più grande cannoniere britannico di tutti i tempi


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