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28 gennaio

1900
Deutscher Fussball

In Germania, nell'ultimo scorcio dell'800, non si distingueva ancora nettamente il calcio dal rugby. Così a Leipzig, finalmente, i rappresentanti di ottantasei club si riunirono per decidere se valesse o meno la pena di operare questa 'sottile' distinzione. La maggioranza riteneva che fosse giunta l'ora. Nasce così la Deutscher Fussball-Bund (a sinistra, il logo delle origini).
Sito ufficiale | Storia


1907
Il recordman

Si spegne il calciatore che poteva vantarsi di aver giocato quattro finali, e di aver segnato almeno un gol in ciascuna delle medesime. Si chiamava Thomas Cochrane Highet. Militava nel Queen's Football Club Park di Glasgow, il più antico club della Scozia. Erano tre finali di Scottish Cup (più una ripetizione), le prime disputate, e il Queen's (foto) le vinse tutte. Lui era anche un famoso giocatore di cricket.



1940
Compleanno e doppietta

La Francia si prepara alla guerra, ma c'è ancora tempo da dedicare al football. Il Parc des Princes è quasi deserto: di sicuro, la nazionale portoghese non è particolarmente charmant, e c'è ben altro cui pensare. Ma è il compleanno di Désiré Koranyi (nella foto), ungherese naturalizzato, centravanti del Séte campione di Francia. Si tratta della sua terza partita nei Bleus, e si regala altri due gol. E' bello festeggiare così il proprio compleanno. Purtroppo, appena iniziata, la sua carriera internazionale è già quasi finita.
Tabellino | Koranyi (profilo)



1964
Triplete santàstico!

Non poteva nutrire molte illusioni, la torcìda del Bahiaço. I suoi beniamini ne avevano buscati già sei nella gara di andata, al Pacaembu. La Taça Brasil era dunque e saldamente nelle mani della squadra detentrice e campione del mondo nonché del Sudamerica: il Santos. Al Fonte Nova, la supremazia fu ribadita, ma si trattò solo di un'esibizione. Chi c'era, ricorda che Pelé segnò anche quella volta. Anzi, ne segnò due. Dei suoi gol, già si faticava a tenere il conto.
Highlights (con tabellino)



1998
Le jour de gloire est arrivé

Battezzato, per aspirazione all'assoluto, Stade de France, il nuovo tempio del football mondiale apre i cancelli tra le maledizioni dei parigini: scioperano i mezzi pubblici e arrivare a Saint-Denis  non è un problema da poco. Sparring-partner dei galletti è la Spagna. Il solo gol, tra le zolle imbiancate dal gelo, è però immagine del futuro, visto che lo firma Zinedine Zidane.


2010
La consolazione della rivincita

L'Algeria andrà alla Coppa del Mondo, i faraoni no. Hanno perso l'apposito spareggio. Sono certamente vogliosi di rifarsi nel torneo continentale (che detengono), e l'occasione della rivincita arriva in semifinale. La goleada è sorprendente, e la chiude Mohamed Nagy Ismail Afash, detto Gedo (foto) - che era rimasto a secco solo contro il Benin - oltre il novantesimo: quattro a zero. Gedo giocava nell'Al Ahly del Cairo, e fu il capocannoniere dell'edizione. Umiliati dall'andamento del match, gli algerini lo finiscono in otto.

28 agosto

1998
La bacheca dei Blues

Il petroliere russo non è ancora arrivato, ma i Blues hanno già riaperto la bacheca (chiusa da quasi trent'anni) e arricchito il loro palmarés. E' il Chelsea degli italiani, di nascita o di adozione: Vialli, Zola, Casiraghi, Di Matteo, Desailly. Nello stadiolo del principato, completa la sua piccola ma significativa tripletta. Aveva vinto la coppa d'Inghilterra nel 1997, e vincerla significava ancora iscriversi alla coppa delle coppe. Nel 1998 sollevava la coppa delle coppe, e sollevare la coppa delle coppe significava iscriversi alla supercoppa d'Europa. Nello stadiolo del principato c'è il Real, che ha beffato la Juventus in tarda primavera - tanto per cambiare. Anche nel Real gli italiani (di nascita o di adozione) non mancano: Panucci, Roberto Carlos, Seedorf. Detta così, sembra una festa del calcio. Invece la partita è orrenda. Tant'è che, a un certo punto, Vialli vorrebbe togliere Zola; ma è proprio il sardo che (con un gioco di gambe per lui facile facile) si cucina Hierro e offre a Gustavo Poyet (foto) il pallone da scagliare alle spalle di Bodo Illgner. Questo succede quando alla fine manca davvero poco, e i Blancos non digeriscono la portata. A Londra possono preparare la targa e fare altro spazio in bacheca.

26 agosto

Duello aereo tra Kindvall e Bilardo
1970
La trasformazione della Bombonera

Applausi a scena aperta. La Bombonera - in omaggio al proprio soprannome - si fa improvvisamente gentile. Il pubblico si alza e applaude gli avversari. Sì, gli olandesi. Si dirà: d'accordo, Combin per fortuna non gioca nel Feyenoord, e quindi gli animi erano rilassati. Sì, però erano rilassati anche i giocatori dell'Estudiantes. Molto rilassati, specie perché, dopo dodici minuti, avevano già infilato due palloni alle spalle di Eddy Treytel. Rilassati loro, narcotizzato il pubblico. Sicché la sassata ricevuta in testa da Boskamp un'ora prima del calcio d'inizio rimane un episodio increscioso ma (tutto sommato) trascurabile. Sappiamo cosa può succedere da quelle parti. Il rapido vantaggio ha addormentato i cinquantamila. Non solo. "Il due a zero ha danneggiato la mia squadra", dice Zubeldìa. Che razza di scusa. Fa ridere, vero? No, non fa ridere. O meglio, fa ridere solo quelli che non conoscono il calcio. E così, mentre tutti ronfavano (gli avversari, il pubblico, l'Argentina intera) ecco che i due satanassi dei campioni d'Europa (Van Hanegem e Kindvall) riequilibravano il punteggio. Restava da giocare la partita di ritorno a Rotterdam, ma trattavasi ormai di una pura formalità, la coppa intercontinentale era praticamente assegnata.
Cineteca



1998
I cent'anni e la coppa del Vasco

Mezzo secolo dopo, il Vasco si prende la Copa Libertadores. Stavolta è ufficiale, non ci potranno essere tabulae che omettano o dimentichino, escludano o fingano di ignorare. Certo, nel '48 O Expresso da Vitória aveva di fronte il River Plate, e quel trionfo era stato inatteso e impronosticabile. Ora, più modestamente, si tratta difendere i due gol del vantaggio conseguito nel primo match al Monumental, nella tana del Barcelona. A Guayaquil, naturalmente. Gli ecuadoriani non vendono troppo cara la pelle, e  così nemmeno alla loro seconda finale - la prima fu nel 1990 - riescono a scalare il cielo del Sudamérica. Il Vasco de Gama ha così anche la coppa con cui brindare, insieme alla torta su cui va trovato spazio per cento piccole candele. Cento candeline che questa notte, però, nessuno avrà voglia di spegnere.
Cineteca


2012
In certi giorni davvero tutto il mondo è paese

Pozarevac (Serbia). Il 41enne ct del Kuwait, Goran Tufegdzic (che nel 2010 aveva guidato gli arabi alla conquista della Coppa del Golfo), è stato gravemente ferito da un colpo d'arma da fuoco nel corso di una accesa lite con alcuni vicini di casa, nel paese di origine dell'allenatore. Causa del litigio un appezzamento di terreno conteso tra le due famiglie. Al culmine del diverbio, un 86enne avrebbe estratto l'arma e colpito al petto Tufegdzic (foto), che giace in pericolo di vita in ospedale di Belgrado. Da sempre, in campagna, la proprietà di terre contese è causa di liti, aggressioni e violenze, con morti e feriti. E anche per gli allenatori è difficile trovare la tattica giusta per evitare gli attacchi avversari.

Pomigliano d'Arco (Italia). La gara di Coppa Italia Lega Pro tra Pomigliano e Savoia è cominciata in ritardo a causa del lancio in campo di alcuni petardi da parte degli ultras oplontini (cui era già stata vietata la trasferta a Ragusa in seguito a scontri inscenati a Pozzuoli). Fin qui la triste ordinarietà, non fosse stato che un volontario della Protezione Civile, il 24enne pomiglianese Pasquale Beneduce, ha raccolto un petardo credendo che fosse un fumogeno. Il petardo gli è scoppiato in mano, causandogli la perdita di pollice e indice. Ovviamente lo "spettacolo è dovuto andare avanti": 2-3 il risultato finale, nell'entusiasmo dei responsabili.

Rio de Janeiro (Brasile). La polizia ha arrestato 21 ultras del Fluminense appartenenti alla banda 'Young Flu', dopo averli colti in flagrante mentre aggredivano due tifosi del Vasco da Gama, con l'accusa di lesioni fisiche, associazione a delinquere e corruzione di minorenni. La madre di uno degli arrestati ha dichiarato che considera la tifoseria cui appartiene il figlio una fazione criminale: ''Escono di casa per uccidere i rivali''. Il dolore di una madre.

12 luglio

1966
I pensieri di Georgi Naydenov

Sono le 19.45, ora di Goodison Park. Chi batterà il calcio di punizione? Ovvio. Dove finirà il pallone? Altrettanto ovvio. Tira Pelé. Georgi Naydenov, portiere della Bulgaria, pensa che arriverà qualcosa di morbido, probabilmente una traiettoria lenta, alta, angolata, che teme di non vedere e sospetta di non poter intercettare. Per questo mette solo quattro uomini in barriera, vuole capire sin dal primo istante quale sarà la direzione della sfera, calcolarne potenza e giro. Peccato che Pelé gli abbia letto nel pensiero, e decida di prenderlo in contropiede. Dal suo destro parte una bordata bassa e centrale (foto). Naydenov, goffo dall'indignazione, non trattiene. Uno a zero. Sono le 21, ora di Goodison Park. Chi batterà il calcio di punizione? Non c'è dubbio. Dove finirà il pallone? "Eh eh eh", pensa Naydenov. Infatti non lo tira Pelé ma Garrincha. E il missile di Garrincha finisce dritto all'incrocio. La prima partita del Brasile è tutta qui. Anzi, il mondiale inglese del Brasile è tutto qui. E anche quello di Georgi Naydenov.
Cineteca

1990
João Sem-Medo

Si spegne, a Roma - dov'è venuto per seguire e commentare il campionato del mondo - João Alves Jobin Saldanha. E' stato uno dei personaggi più controversi nella storia del futebol brasiliano. Fu chiamato a costruire l'XI che avrebbe dovuto riscattare il fallimento del '66 e conquistare definitivamente la Coppa Rimet: un comunista dichiarato alla guida della Seleçao sotto la giunta militare e fascista di Emilio Medici Garrastazu. Comunica con due anni di anticipo la lista dei ventidue che andranno a difendere il prestigio calcistico della nazione sugli altipiani del Messico. Vince tutte le partite di qualificazione, inventa la linea offensiva senza centravanti, è un idolo della torcìda. Almeno fino a quando non ha la pessima idea di mettere in discussione Pelé. Insieme al rifiuto di chiamare in squadra uno dei giocatori preferiti dal generale, è la goccia che fa traboccare il vaso. Perde con l'Argentina, la critica e lo spogliatoio sono in subbuglio, il sollevamento dell'incarico solo questione di giorni. "Gli piaceva bersi un drink e poi iniziava a comportarsi in modo un po' stravagante" (Pelé). Sì, era un tipo strano, João Sam-Medo, João l'impavido. Ma se il Brasile sbarcò sulla luna fu anche per merito suo.
Eupallog Santoni | Profilo | Alex Bello


1998
Bella dimostrazione di forza!

Non ho visto la finale; ho spento la tivù appena ho saputo che Ronaldo non avrebbe giocato. Per fortuna non era morto, come alcuni temevano. Sì è vero, è sceso in campo ma era come non ci fosse, e nessuno sa bene cosa sia accaduto.
Ho spento la tivù appena si è saputo che a Ronaldo era accaduto qualcosa, e ho pensato "non è giusto che lui corra il rischio di tirare le cuoia a Parigi e che invece Zidane - dopo quel che ha combinato contro gli arabi - possa sgambettare libero e sano sul prato dello Stade de France, magari segnare qualche gol e poi fare il giro d'onore con la coppa".
Non è vero che ho spento la tivù.
E' vero, però, che non ho guardato la finale. Non si gioca in undici contro dieci una finale di coppa del mondo. Certo, ha vinto la Francia, ça va sans dire. Giocava in casa, in undici contro dieci, bella dimostrazione di forza. Zizou ha segnato due gol, due gol identici, due gol di testa, roba da non credere. Io chiudevo gli occhi mentre stava per segnare e, quando li riaprivo, ogni volta speravo che il gol di cui si trasmetteva la ripetizione al ralenti fosse stato annullato.
Io li avrei annullati tutti e due, anche se non li ho visti. Il terzo no, a cosa sarebbe servito? Oltretutto, non si segna un altro gol a tempo scaduto, quando hai già vinto la finale della coppa del mondo contro il Brasile in dieci uomini, perché il giocatore più forte del mondo e del Brasile non si regge in piedi.
Bella dimostrazione di forza.
E' così che la Francia divenne campione del mondo.
La Francia campione del mondo?
Roba da non credere.

Tratto da Michele Ansani, Lenta può essere l'orbita della sfera
Cineteca


  • Vedi anche le partite del 12 luglio in Cineteca

7 luglio

1929
La Finalissima

L'esordio di Vittorio Pozzo è maiuscolo e denso di maiuscole: "La Finale del Campionato italiano culmina ancora una volta in una Finalissima". Monsù, lo prevede il regolamento: anche se è l'ultima volta, due gironi, e le vincitrici si contendono lo scudetto. Quest'anno, Bologna e Torino.
"Come è nell'ordine naturale delle cose, e come è nella tradizione".
Appunto. Dunque?
"Nel Calcio, come in ogni genere di attività di carattere dinamico, ogni azione provoca ed è seguita da una reazione, uguale e contraria. Chi vince, si addormenta. E lo sconfitto del primo incontro, diventa il vincitore del secondo".
E' così scontato?
"Ora che le due correnti in conflitto si sono sfogate ed ognuna ha detto la sua, viene la Finalissima in campo neutro, a dir la parola decisiva, o perlomeno a dir la parola che si spera decisiva".
Monsù, finalmente abbiamo capito. Non è una 'Finalissima', è uno spareggio. Certo, risolvere tutto in due ore è triste, vero?
"Sì, ma la saggezza dei Gerarchi sommi dello Sport italiano ha notato l'incongruenza della cosa".
Meno male: dal prossimo campionato, girone unico. Serie A. Oltretutto, o si risolve tutto oggi "così in quattro e quattr'otto, alla gran carlona", o si rimanda a settembre. Torino e Bologna hanno in programma lucrose tournée in Sudamerica, non è il caso di rimandare la partenza. Insomma monsù, chi vincerà?
"I due gladiatori stan ora di fronte e si possono guardare negli occhi con lo stesso sguardo, con la stessa coscienza, con la stessa fermezza".
E va bene. Ai posteri l'ardua sentenza.
Cineteca


1957
Epifania di Pelé

Si gioca la prima di due partite tra Argentina e Brasile, e c'è in palio la settima edizione della Copa Julio Roca, competizione ogni tanto rispolverata per onorare la memoria di 'El Zorro', alias Alejo Julio Argentino Roca, protagonista della politica argentina nei decenni a cavallo tra Otto e Novecento. Calcisticamente dunque, Pelé nasce settimino, poiché esordisce nella Seleçao non avendo ancora compiuto diciotto anni. Si gioca all'Estádio do Maracanã, e lui non è nell'XI di partenza. Subentra e segna subito un gol, quello del momentaneo uno a uno. Inutile, perché l'albiceleste torna a Baires con una vittoria nello zaino. Ma che importa?


1974
L'accelerazione di Cruijff

Sapevo che c'era la finale, e avevo sentito parlare dell'Olanda. Alcuni amici provavano a descrivermi quel suo nuovo modo di giocare, e si perdevano in discorsi ingarbugliati. A uno, il più estasiato, uscirono addirittura gli occhi dalle orbite, e ci volle del tempo perché tornassero al loro posto.
A ogni modo, decisi di dare un'occhiata di persona. Capirete: avevo visto l'ultima volta una partita di calcio nel '54. Sì, anche allora si trattava di una finale, e anche allora giocava la Germania. Quindi accesi la tv, e mi annotai su un foglio i nomi dei giocatori. Mi incuriosiva soprattutto quello col numero quattordici, tutti giuravano e spergiuravano che si trattasse di un autentico padreterno. Come Hidegkuti? - domandavo. E chi diavolo è, rispondevano i più giovani.
A ogni modo, mi ricordo come fosse ora. Il primo pallone è degli arancioni. Sviluppano una fitta trama di passaggi, lenti, orizzontali, nella propria metà campo. Improvvisamente si portano in avanti. Poi tornano indietro. Quando riceve il pallone, Cruijff è il giocatore in posizione più arretrata - escluso naturalmente Jongbloed, il portiere, ammesso che questi giocassero col portiere e non ne sono così certo. Il numero quattrodici è lì, nel cerchio di centrocampo, con la palla tra i piedi. Non è la prima che tocca, si è già impossessato della partita: i movimenti dei compagni sono quelli ordinati da lui, ma ora si capisce che sta decidendo di fare qualcosa di insolito. Tutti gli stanno alla larga, anche i suoi, non deve avere un bel carattere.
Ma è un trucco.
Stanno semplicemente creando lo spazio che gli serve. Lui scatta una, due volte. Se prende velocità, Vogts non lo può contrastare. L'ultima accelerazione è devastante (foto). Perché non arrivi a contatto con Maier, occorre che qualcuno lo butti giù, e ci pensa Uli Hoeness.
L'arbitro è a due metri, volente o nolente il rigore va assegnato e lui lo assegna. Nessuno protesta, Beckenbauer è stizzito e scambia due battute con Taylor - l'arbitro, appunto ("non è giusto: non avevamo ancora toccato il palone!") -, Neeskens trasforma dal dischetto, e chi avrebbe scommesso un marco sulla Germania alzi la mano.
Io infatti avevo capito tutto, o così almeno credevo.
Ciò che avevo visto mi era bastato. Spensi la tivù e me ne andai a zonzo, non c'era motivo di perdere tempo per guardare una partita senza storia.
Venni a sapere solo a distanza di molti anni, e in maniera del tutto casuale, che poi la Germania rimontò e vinse la partita, prendendosi la seconda coppa del mondo.
Cineteca
Tratto da Michele Ansani, Lenta può essere l'orbita della sfera


1998
La rabbia di Davids

La zompata è impressionante. Mancano tre minuti, il Brasile noiosamente aspetta il triplice fischio, gli arancioni sono irretiti e - sembrerebbe - rassegnati. Di quel tipo di rassegnazione che si manifesta quando pare la storia si ripeta. L'unico che era in campo anche quattro anni fa: Dennis Bergkamp, non propriamente quel che si dice un assatanato. Lui invece a Dallas non c'era, chissà perché:  Edgar Davids la vide in televisione, e si capisce che quella sconfitta ancora gli rode. Così, mentre i suoi si stanno smarrendo nell'ennesimo approssimativo palleggio a metà campo, sulla sfera destinata a carambolare come sempre tra i piedi di qualche brasiliano lui si getta con abnegazione totale, con la folle rabbia agonistica di quelli cui perdere senza dannarsi l'anima per evitarlo davvero non piace. Un balzo fenomenale. Raggiunge per primo il pallone e col sinistro, di mezza punta si direbbe, lo allunga verso Ronaldo De Boer, libero in fascia. Libero di controllare, di fare qualche metro, alzare la testa e scodellare. In area ci sono parecchie caselle vuote, e su una di esse di avventa Patrizio Kluivert, che stacca e schiaccia in rete. Uno a uno. Tempi supplementari. Ci sarà il golden goal? No, non ci sarà. Sul Vélodrome si infittisce la notte e scende la paura. 

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3 luglio

1974
Ultima sinfonia olandese

A Dortmund c'è Brasile-Olanda, chi vince va in finale e l'arbitro è tedesco. Vi pare normale? E poi, siete sicuri che questi siano pedatori brasiliani, e non pericolosissimi delinquenti scappati dal penitenziario di Yuma? Bah. "Mi complimento con i miei giocatori per la volontà ed il dinamismo con cui hanno lottato", ha detto Zagallo. L'Olanda vince due a zero, la sua musica è sempre la stessa e a qualcuno non piace. Henri Kissinger, però, si è divertito: "magnifica partita!", commenta. Non ne aveva mai vista una, se ha apprezzato è perché non si notavano troppe differenze tra questo football e quello praticato negli States. Anzi sì, una c'è: qui i giocatori non hanno il casco, davvero strano. Dicono che Pelé si sia vergognato dei suoi, e abbia lasciato il Westfalenstadion ben prima della fine. Michels è ironico: "ci dovrebbe essere anche l'arbitro in campo!". Giusto, l'arbitro. Il famosissimo Kurt Tschenscher. Ha all'attivo tre mondiali - questo, per fortuna, è l'ultimo - e l'invenzione dei cartellini. I cartellini sono come l'ostia, e vanno somministrati ai peccatori. Tschenscher perdona quasi tutto e quasi tutti, è il suo ultimo contributo al progresso della nazione. Così, la comitiva olandese è in partenza per Monaco piena di lividi e cerotti. Ma di buon umore. "Ora si inizia a fare sul serio", dice il Profeta.
Cineteca

1977
La notte degli addii

In quella grigia stagione, Milan e Inter chiusero il campionato in posizioni di classifica anonime. Messe insieme, raggranellarono poco più della metà dei punti conquistati dai dominanti club torinesi. In Europa, l'Inter fu eliminata all'altezza dei trentaduesimi di finale della Coppa Uefa dalla leggendaria Honvéd di Budapest; il Milan arrivò fino agli ottavi, poi trovò sul suo cammino l'insormontabile ostacolo dell'Athlétic di Bilbao. Essendo anno dispari e senza mondiali o europei, si poteva tirarla in lungo. Gironi su gironi all'italiana di Coppa Italia, per designare le due finaliste. Così, un po' a sorpresa, ci arrivarono le milanesi. Il derby andò in scena nel suo teatro naturale; San Siro si riempiva di afa, di zanzare e di settantacinquemila senzavacanze e senzavittorie da quel dì. Vinse il Milan due a zero, per Mazzola e Rivera (foto) fu il quarantesimo derby, secondo Mazzola l'arbitro favorì il Milan e davanti alle telecamere della Rai si produsse in una colta citazione dantesca: "vuolsi così colà dove si puote". Evidentemente pensava al palazzo di Eupalla, dove regnava una certa commozione. Sulla panchina del Milan, in quel derby, sedette per l'ultima volta Rocco. Nereo Rocco, il Paròn. Ma anche Sandrino, Alessandro Mazzola, il Baffo, era al passo d'addio. Due giganti. Infinita tristezza.


1990
Bravi, bravissimi, anzi modesti

Al mondiale italiano, Maradona era giù di forma e l'Argentina una squadra che definire penosa è puro eufemismo. Eppure, al trentenne dio degli stadi furono sufficienti poche giocate delle sue per guidarla fino al capolinea del torneo, nonostante il deragliamento dell'esordio contro i sorprendenti leoni del Camerun. Ricordate la partita col Brasile? Un imbarazzante dominio carioca, occasioni su occasioni gettate al vento finché lui, partito dal cerchio del centrocampo, decide di dribblare tutti (come all'Azteca) e giunto al limite dell'area, ormai circondato (e senza più fiato nei polmoni e forza nelle gambe), di destro (di destro!) trova la traiettoria esatta per servire Caniggia, libero, solitario y final. Uno a zero, addio Brasile. E poi, in semifinale, Diego contro la sua seconda patria: l'Italia. A Napoli, per di più. Lui corre poco, distribuisce palla, dirige i compagni. Gli azzurri non trascorrono un bel primo tempo, anche se passano in vantaggio. Diego li mette in soggezione, Zenga va a farfalle e Caniggia fissa il pari (foto). Si va ai supplementari e poi ai rigori, adios amigos. Fine delle notti magiche. La critica nostrana inferocisce, e come al solito Gioann Brera canta fuori dal coro. "Il traguardo massimo era l'ingresso in semifinale, l'abbiamo raggiunto: di che ci lamentiamo? Non abbiamo mai perso una partita. Abbiamo giocato anche discretamente bene (ma senza esagerare). Abbiamo goduto del rispetto degli arbitri, come è costume quando si organizza". Morale: azzurri "bravi, bravissimi, anzi modesti".
Cineteca

1998
Que reste-t-il de nos amours?

Stavo ripensando a quel tiro. Quella girata al volo di Roberto Baggio, spalle alla porta, da angolo impossibile. A mia memoria, non ricordavo di aver visto qualcosa di simile. Peccato sia uscito, "di tanto così", mostrava lui - incredulo - accostando i palmi delle mani (foto). Sul prato di Saint-Denis doveva giocare lui, dal primo minuto, e non Del Piero, "che sembrava quella poesia di Garcia Lorca per il torero Ignacio: corpo presente, anima assente" (Gianni Mura). Ripenso spesso a quel tiro, a quel gesto da fuoriclasse, a quell'invenzione che avrebbe dissolto la tenacia dei francesi, la loro ostinazione non ispirata; il gol che avrebbe messo fine a un assedio disordinato, rabbioso, inefficace. Ma penso anche che, quella volta, contro i nostri cugini d'oltralpe non meritavamo di vincere la partita. L'hanno vinta loro, ma solo quand'era già finita, solo dopo centoventi minuti di inutili assalti. Ai calci di rigore. Loro restavano in corsa, noi uscivamo dal mondiale. "Usciamo spesso così: senza aver realmente vinto, senza aver realmente perso, senza averci realmente provato, ma con un peso in fondo all'anima che pesa più del Titanic e della tristezza cosmica di una canzone come Que reste-t-il de nos amours?" (Emanuela Audisio)

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20 maggio

1966
Las Galinas

Quando il 29 maggio del 1966 il River Plate andò in trasferta a Banfield (un tiro di schioppo a sud di Baires) per un ordinario partido di Priméra division, fu accolto con una certa derisione dalla cancha locale. Per quale motivo? Semplice. Perché aveva pochi giorni prima - il 20 maggio - inopinatamente consegnato la Copa Libertadores de América (nello spareggio, disputato a Santiago del Chile) al Peñarol di Montevideo, sprecando un doppio, rassicurante vantaggio conseguito nel primo tempo. Da 2:0 a 2:4, nell'extra-time. Certo, il Peñarol di quel decennio era un club dominante nel continente sudamericano (sei finali fra il 1960 e il 1970), alla pari del Santos e dell'Estudiantes; ma, secondo alcuni, quelli del River non avevano esibito il carattere e il coraggio adeguati alla circostanza. La notte di Santiago, in sostanza, significò per loro una caduta di prestigio, simbolicamente rappresentata dalla gallina che i tifosi del Banfield liberarono al campo prima della partita. Un gesto di scherno che piacque subito alla torcìda del Boca, che non si limitò ad apprezzare, facendo propria l'idea: e "Los Millionarios" divennero per sempre "Las Galinas".

1973
Fatal Verona

Non poteva scegliere un giorno più memorabile, il vecchio José ora bianconero, per insaccare il suo duecentesimo pallone in Serie A. Lì per lì, è il pallone che può valere uno spareggio: siamo infatti all'ultima di campionato, e il Milan sta letteralmente affondando al Bentegodi. Tra Milan e Juve, in classifica, c'è solo un punto di differenza. A dire il vero, anche la Lazio si trova nelle condizioni della vecchia signora. Il Milan dunque si inabissa, trascinato nel gorgo dalla propria stanchezza, e tutto torna in discussione. Lo scudetto, la stella, il senso della vita. A tre minuti dal 90°, ci sono tre squadre alla pari. Un pasticcio enorme. A tre minuti dalla fine, una botta di Cuccureddu dal limite completa la rimonta sulla Roma avviata da Altafini, antico simbolo rossonero. E la Lazio? Decide di togliersi di mezzo, incassando per non avere rimpianti, un banale gol di Damiani a un sospiro dalla fine. Fatal Verona. E' storia. Anzi: è la dura legge del calcio.
Video (Storie di Calcio) | Documentazione milanista


1998
La séptima

Non male, giocare tre finali di Champions in tre anni. Ci sono riusciti in pochi: il favoloso Real dei '50, poi il Benfica, l'Ajax e il Bayern nei '70. Nemmeno il Milan di Sacchi. Nemmeno l'Inter di HablaHabla. Nemmeno il grande Liverpool. La Juventus è dunque alla terza consecutiva: una vinta e una persa, finora. Ma si trova di fronte la squadra cui il trofeo manca da un'eternità, e che nonostante ciò ne detiene più di ogni altra. E' fermo a sei, il Real. Non sembra un XI epocale, e universalmente si pensa che non valga la Juve: ma è inferocito dal lungo digiuno, e la tradizione bianconera in coppa non è molto solida. Così, a fatica e tra le polemiche, con un gol (in fuorigioco?) di Predrag Mijatović (foto) alla metà del secondo tempo, il Real si prese la settima e aprì un suo  piccolo ciclo moderno.
Cineteca

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2 maggio

1953
The Matthews Final

Tutti sanno, non solo nella terra-madre, che quando si dice: "ah, The Matthews Final!", si vuole alludere alla finale della Football Association Cup disputata nel 1953, ovviamente a Wembley. Tutti, non solo nella terra-madre e nelle lande britanniche, conoscono la dimensione leggendaria di Sir Stanley, che trascorse una vita correndo dietro la sfera di cuoio alla ricerca di avversari da scartare e spazi per crossare dal fondo. Giocava, all'epoca, nel Blackpool; in finale incrociò i Bolton Wanderers. Matthews era vicino ai quaranta, e la sua prestazione fu sontuosa. Va tuttavia ricordato anche Stan Mortensen (nella foto, a destra di Matthews), che fece tre gol - il primo in assoluto a portarsi a casa il pallone da Wembley, insieme alla coppa. Finì quattro a tre, e fu una delle più grandi finali nella storia della competizione. E fu, soprattutto. The Mortensen Final.

1962
I formidabili appetiti lusitani

Se c'è bisogno di una conferma, arriva all'Olimpico di Amsterdam. L'egemonia in Europa del grande Real Madrid è giunta al suo epilogo. E' l'ora del Benfica. E di Eusébio. Seconda finale consecutiva, secondo trionfo. Ma i Blancos vendono cara la pelle. In particolare, Ferenc Puskás non ha alcuna intenzione di consegnarsi inerme alla storia della Coppa dei campioni. Anzi. Lui vuole la coppa, e lo rende ben chiaro segnando tre gol. Tre urli di rabbia. Quando ha esaurito gli argomenti, il Real conduce tre a due, e il primo tempo finisce così. I lusitani però sono più freschi, dispongono di energie e appetiti immisurabili. Il più affamato di tutti è Eusébio (nella foto, con Guttmann e Coluna), che si spolpa quel che rimane del Madrid con due profondi morsi intorno alla mezz'ora del secondo tempo. Cinque a tre.
Cineteca


1986
Una maquina de fútbol y de fuerza

Così, su Mundo Deportivo, viene definito il secondo prototipo lanciato in orbita dal colonnello Lobanovskyi. La finale di Coppa delle coppe si gioca a Lione, chissà perché. Per attirare un po' di gente allo stadio, prima del match si disputa la finale della Copa Gamberdella, competizione riservata ai ragazzini dei club di Francia. Interessante. Di fatto, le uniche emozioni della serata le regalano gli juniores di Nantes e Auxerre, purtroppo prima dei collegamenti televisivi internazionali. Infatti, come prevedibile, la Dinamo travolge i Colchoneros. Tre splendidi gol, uno all'inizio e due alla fine. Segna anche l'anziano Blochin. D'altra parte, sette degli uomini schierati dall'undici ucraino saranno stabilmente in formazione nella rappresentativa sovietica di lì a un mese esatto, nell'esordio (col botto) del mondiale messicano. Se in giornata di vena buona, era meglio non avere a che fare con loro.


1998
Justin Fashanu

Where do you go if you want a loaf of bread?, I asked him."A baker's, I suppose". Where do you go if you want a leg of lamb? "A butcher's". So why do you keep going to that bloody poofs' club? E' il ricordo brutale di Justin Fashanu consegnato da Brian Clough alla propria autobiografia (1995). Era stato giocatore del Nottingham (un promettente attaccante) per una breve stagione. Aveva, all'epoca, un enorme difetto: l'omosessualità. Dichiarata. Tra il 1978 e il 1997 si trascina nel mondo indossando maglie sempre diverse; non c'era luogo dove riuscisse a fermarsi. Trova pace solo togliendosi la vita, il 2 maggio del 1998, a Shoreditch, East End di Londra. L'avesse immaginato, forse Brian Clough non avrebbe dato alle stampe quel breve, inutile dialogo. 
  • Vedi anche le partite del 2 maggio in Cineteca