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21 gennaio

1901
El Divino

Nasce, a Barcellona, Ricardo Zamora. "Lo chiamavano el Divino. Per vent'anni fu il miglior portiere del mondo. Gli piaceva il cognac e fumava tre pacchetti di sigarette al giorno e qualche sigaro" (Eduardo Galeano, Splendori e miserie del gioco del calcio, p. 43). Giocò nel Barça, nell'Espanyol e nel Real, ma fu campione di Spagna solo con i Blancos. Poi allenò anche l'Atletico Madrid.
Pentavalida




1926
Quelli che fecero l'Italia

Un breve necrologio appare sul Corriere del 22 gennaio, in sesta pagina. In basso. "In una casa di salute di via Lamarmora è morto ieri sera Umberto Meazza, socio fondatore dell'Unione Sportiva Milanese e uno dei pionieri dello sport calcistico italiano". Avvocato, ex giocatore, ex ginnasta, ex alpinista, Meazza (nessuna parentela con Peppino) fu il primo CT della nazionale italiana. Selezionò i 22 giocatori fra i quali sceglierne 11 da opporre alla Francia il 15 maggio 1910. Nel 1911 contribuisce a fondare l'Associazione degli arbitri italici. Già: ha fatto anche l'arbitro. Figura di grande rilievo nella protostoria del football nostrano. Se ne andava a soli 44 anni.


1968
Le dieu du football congolais

La Coppa delle nazioni d'Africa, con questa edizione disputata in Etiopia, stabilizza la propria frequenza. Contro i pronostici, il trofeo è sollevato dalla Repubblica del Congo, che in finale regola il Ghana, favorito e detentore del titolo. Basta un solo gol, e lo segna Pierre Kalala Mukendi (nella foto, a distanza di anni dall'evento), signore del calcio africano nei 1960s: "dans beaucoup de matches que j’ai joués, je crois que j’étais l’homme à abattre, mais je sortais toujours vainqueur". Consapevole immodestia.
Tabellino | Highlights | Kalala (profilo)


1970
Un quarto d'ora di celebrità

Per la quarta stagione consecutiva la vita del Napoli in Coppa delle Fiere si estingue negli ottavi di finale. Il vantaggio di una rete conseguito all'andata non è sufficiente a impedire la rimonta dell'Ajax. I lancieri hanno tuttavia faticato per archiviare la pratica. Le bizze di Cruijff (s'è già stufato di guadagnare due soldi ad Amsterdam) e l'ordinata difesa partenopea trascinano il match ai supplementari. Rinus Michels dispone però di un'arma letale e decide di metterla in campo: si chiama Ruud Suurendonk (nella foto). Potrà raccontare d'esser stato uno dei pochi (forse l'unico) capaci di segnare tre gol a Dino Zoff in un quarto d'ora. 



14 dicembre

1966
Nitidi bagliori

E chi poteva immaginare, allora, che su quelle due panchine i cuochi fossero destinati a eccellenza storica assoluta? Ma sì, erano ancora relativamente giovani. Michels e Shankly, già. E 'acerbe', a livello europeo, Liverpool e Ajax, ma soprattutto l'Ajax. Apparentemente. Si trovarono di fronte negli ottavi di Coppa dei campioni, e l'andata ad Amsterdam fu, per i Reds, un massacro: cinque a uno. Poi, ad Anfield, non ebbero nemmeno la soddisfazione di una parziale rivincita. Anzi. E' stata persino dura pareggiare, e per fortuna che il vecchio Roger Hunt fu in serata di ottima vena. Negli olandesi, in queste due partite, fece capolino quello là, sì, quello della foto. Magrolino, capelli corti. Furono i suoi primi bagliori nelle notte europee. Nitidi. Accecanti.
Cineteca


1968
Vecchi ricordi

La scena, si converrà, è abbastanza comica. I due, infatti e come vedete, se la stanno ridendo, sono passati quasi quarant'anni e ciascuno se la ricorda a modo suo. Andò così. La Germania faceva visita al Brasile, si giocava nel tempio massimo, il Maracanã. A un certo punto, Rivellino lanciò una palla lunga, in direzione di Pelé. In corsa, o Rey veniva caricato da un difensore teutonico, ma riuscì a resistere e restò in piedi, barcollò per qualche secondo e poi si rimise in azione - mentre il bisonte in maglia bianca andò per le terre. Puntò deciso verso l'area di rigore, ma stava arrivando Beckenbauer. "Mi sono accorto che eri tu, cosa credi?". "Può darsi, ma ti è andata bene, ero di fretta, in equilibrio precario, altrimenti il giochetto non ti sarebbe riuscito". "Beh, c'è voluto poco a farti sparire il pallone sotto le gambe, eri ancora un novellino!". "Ammettiamolo pure. Anche tu non eri perfetto, però. Non tutto ti riusciva così bene, visto che poi, solo davanti a Meier ..."; "... è vero, ma la palla è rimbalzata male, ed è finita fuori di un palmo ...". I due se la ridono, in fondo quell'istante, quella partita non contava nulla.


1969
La vana prodezza di Tanino

Disse una volta, un centravanti: "Sono felice perché ho segnato in una partita che abbiamo vinto. Questo non mi succedeva da anni". Caspita, che bomber decisivo!, si penserà, frugando nella memoria per cercare di individuare la faccia e il nome di colui che si confessa piangendo. Oltretutto, quel gol è stato piuttosto bello, una testata sul primo palo in volo radente. Un gol da centravanti di razza. Inoltre, quella prodezza costringeva alla prima sconfitta la capolista, che era il Cagliari. e quando una capolista imbattuta subisce la prima battuta d'arresto, a volte, le sue certezze iniziano ad evaporare, e i suoi avversari a ringalluzzirsi. Soprattutto, quando quella sconfitta accade contro l'ultima della classe, per opera di un undici destinato a retrocedere. Insomma, caro Tanino, hai festeggiato come meritava la centesima partita nella squadra della tua città!

1° dicembre

1968
L'ultima recita del Cabezón

"Un giocatore con tanti anni di esperienza - come me - dovrebbe saper controllare i propri impulsi", dichiara negli spogliatoi, subito dopo la doccia. "Sono stato ingenuo a cadere nel tranello tesomi da Heriberto Herrera per farmi innervosire", precisa il giorno dopo, in attesa di sapere a quante giornate di squalifica ammonterà la sua condanna. Heriberto, già: lo detestava. E l'antipatia era reciproca. Ancora negli anni della maturità, Omar Sivori non sfuggiva al proprio cliché; nelle zone infuocate del campo, a palla vicina o lontana, qualcosa di troppo a qualcuno diceva (o faceva), o qualcosa di troppo rispondeva. Non si saprà mai se era più spesso il provocato o il provocatore. Le sue lune, d'altra parte, erano sempre in copione, tema integrante dello spettacolo. La partita, quella volta, non era una partita qualsiasi. Napoli-Juventus, in un San Paolo ribollente e cattivo come non mai. Vinse il Ciuccio, due a uno, Sivori fu espulso, sei giornate di squalifica. Troppe. Decise di smettere, e quella contro la Juve restò dunque la sua ultima recita.
TabellinoImmagini 

23 ottobre

1968
Parecchi e svariati punti e palloni

In terra britannica - anzi gallese - l'Italia inizia il cammino verso il mondiale messicano, e a Ninian Park sono molti i connazionali che cantano l'inno di quella che è la nazione, al momento, regina d'Europa, e il ricordo dell'incoronazione è ancora fresco nella mente di tutti. Naturalmente è una battaglia. Difesa e contropiede, gli azzurri giocano così. Verso la fine del primo tempo ricavano un gollettino (Gigi Riva, ça va sans dire: nella foto, ha appena fiondato il pallone decisivo) e poi pensano soprattutto a presidiare l'area. Perché alla ripresa (racconta Monsù Poss) "i gallesi si precipitarono tutti quanti insieme sulla palla e la loro offensiva fu veramente lunga e pericolosa. Parecchi e svariati palloni sfiorarono i montanti e la traversa della porta italiana. La prima linea nostra, che aveva subito la modificazione in seguito alla rinuncia di Anastasi e all'entrata in campo di Mazzola, non ebbe più se non qualche istante di vita in occasione di qualche contrattacco, ma fu egualmente pericolosa. Parecchi e svariati palloni giunsero a minacciare Zoff e ci volle del bello e del buono perché il fischio finale dell'arbitro portoghese echeggiasse in segno della vittoria degli italiani". Il fischio dunque echeggia, e si torna con parecchi e svariati punti preziosi dall'insidiosa trasferta. 
Cineteca

1974
Gli scherzi dell'urna

Detentori delle due coppe più importanti, Bayern e Magdeburgo avrebbero dovuto sfidarsi per la Supercoppa europea, competizione giovanissima (una sola edizione già archiviata): volentieri, dicono i tedeschi occidentali, pensando alle royalties ma anche (forse) al risultato; niente da fare, abbozzano quelli dell'est, gente con la quale era difficile avere a che fare. L'Uefa se la lega al dito e si vendica quando nell'urna deve mescolare i nomi le squadre qualificate agli ottavi di Coppa dei campioni. E, guarda caso, escono accoppiati proprio il Bayern e il Magdeburgo. Davvero, sarà stato solamente un caso. L'andata, a Monaco, è la prosecuzione del match di Coppa del mondo che si era giocato ad Amburgo nel giugno precedente. Il tempo di mettere la palla al centro, e gli orientali sono già avanti: cross di Hofmann (c'era, ad Amburgo), deviazione di un bavarese, Maier beffato. Sta per finire il primo tempo, e Sparwasser (anche lui, come ben si sa, c'era ad Amburgo) raddoppia: controllo favoloso nel cuore dell'area e palla all'incrocio. Nella ripresa si scatena, furibonda, la reazione dei campioni d'Europa e del mondo. Naturalmente, sul tabellino, non può mancare il nome di Gerd Müller, che infatti si registra due volte. Un autogol al tramonto della partita del giovane Detlef Enge mette il Bayern nelle condizioni di sperare di poterla sfangare al di là del muro, in terra sassone, in capo a due settimane.
Cineteca

16 ottobre

1963
Lo spettacolo ignorato

Dunque, vediamo un po'. Sul 'primo programma' l'ennesimo episodio della serie Dottor Kildare, che non ha entusiasmato nessuno. A seguire, Appuntamento con la pubblicità: dibattito, ma a chi può interessare? Sul 'secondo programma' c'è Sgomento, e io comincio a essere sgomento. Sgomento è un film di Max Ophuls del 1949, chi non l'ha visto? Io no, non l'ho visto, ma sono certo che sia un film orrendo. O mio dio, a seguire mettono in onda il concerto di una jazz-band olandese, roba per quattro gatti. Ho capito, dovrò aggrapparmi alla radio. Sul 'programma nazionale', alle 21.30, la cronaca del secondo tempo di Italia B-Francia B. Va bene essere nazionalisti, ma non eccediamo. Sul 'secondo programma' niente, trasmissioni prive di senso e di fascino. Dovrò andare allo stadio e spendere quattrini, perché i popolari sono esauriti. Ma è uno scandalo. C'è Milan- Santos, andata della Coppa intercontinentale, c'è Pelé, c'è Amarildo, rientra Ghezzi, sarà uno spettacolo di prim'ordine. E la RaiRadioTelevisioneItaliana ignora l'evento. Vergogna!
Cineteca


1968
Botte, delusione e monetine

Brutta gatta da pelare per lo United. Si tratta di ribaltare il verdetto della Bombonera, e gli argentini di Zubeldia non sono venuti a Old Trafford in gita scolastica. Infatti, dopo pochi minuti, Juan Ramón Verón allunga la distanza fra le due squadre (foto). E' un assalto disperato, quello dei rossi. E inutile. I palloni volano quasi tutti nella Stretford End, quelli indirizzati con minore approssimazione tra le braccia di Poletti. "La partita di questa sera nel celebre stadio dell'Old Trafford Park di Manchester è stata giocata da ambo le parti con brutale asprezza ed ha avuto un finale tempestoso: negli ultimi minuti l'arbitro jugoslavo Zečević (il nostro Lo Bello era segnalinee con il sovietico Bakramov) ha dovuto espellere due calciatori, l'inglese Best e l'argentino Medina, già ammonito in precedenza insieme ai colleghi Bilardo ed Echicopa [sic]. Best e Medina si erano presi a pugni in campo. La polizia aveva predisposto un servizio d'ordine rigoroso per prevenire possibili incidenti. Al bordi del campo c'erano 300 agenti e speciali squadroni a cavallo si tenevano pronti ad intervenire Per fortuna, non è accaduto nessun incidente serio, anzi gli spettatori (63 mila) hanno accolto gli argentini al grido: Noi siamo i tifosi che si comportano meglio sulla terra" ('La Stampa', 17 ottobre 1968). Infatti gli argentini, che sollevarono così la coppa intercontinentale, mentre si recavano sotto lo spicchio che ospitava i loro sostenitori furono sepolti da una pioggia di monetine lanciate dai delusi spettatori di casa.
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7 agosto

1968
Easy job for Mick Jones

Elland Road, Leeds, West Yorkshire. La stagione inizia presto, quest'anno. Anzi, finisce tardi, perché oggi alle 19.30 si gioca una partita di Coppa delle fiere, per l'esattezza la finale, anzi la gara di andata della finale dell'edizione 1967-68. Mai capitato, in agosto. Coppa delle fiere? Finora, per i Peacocks, soprattutto una campagna di Scozia. In semifinale il Dundee, nei quarti i Rangers, prima ancora l'Hibernian di Edinburgo. Era ora, pensa Don Revie, si fa una gita sul continente. Una gita? Dipende. Toccherà volare in Ungheria, a casa del Ferencváros, nel famigerato Népstadion - insomma, c'è un problema, e va risolto prima. In Inghilterra, spesso la soluzione si trova quando il pallone spiove dal corner nell'area piccola, dove molti - difensori e attaccanti - sono pronti a catapultarsi, senza timore di spaccarsi la testa o di lasciarci il naso e un paio di denti. Gli impatti sono durissimi, e i portieri vivono alcuni istanti di puro terrore. Infatti, verso la fine del primo tempo si profila esattamente una situazione di questo genere; il cross è lento e molliccio, apparentemente innocuo, ma Jackie Charlton salta e non colpendo la sfera costringe comunque István Géczi a una respinta ridicola, quasi perpendicolare, sicché il pallone ricade dolcemente proprio sui piedi di Mick Jones, che naturalmente non si rifiuta di realizzare il gol più facile della sua carriera. Il più facile e il più importante: that's all. 


1982
L'anno italiano

I brasiliani hanno sempre un'ossessione. Un tempo era l'Uruguay. Adesso è l'Italia. La sconfitta del Sarrià è un incubo, ed è ancora passato troppo poco tempo. Così, quando al Giants Stadium si gioca per beneficenza, in nome dell'Unicef, anche se le due squadre in campo hanno nomi di circostanza e maglie improbabili, per loro è la rivincita del mundial. Oltretutto, sono in superiorità numerica: cinque a quattro. Oscar, Junior, Falcao, Socrates (foto) e Zico giocano tra le FIFA World Stars; Zoff, Tardelli, Antognoni e Rossi nell'Europa XI. Sul sintetico americano, Falcao giostra in scarpe da ginnastica. Come va a finire? Tre a due per gli europei, esattamente come a Barcellona. In rimonta, erano sotto di due: caspita! Certo, succedono cose strane in campo: Chinaglia (il vero padrone di casa) gioca tutto il primo tempo; nel secondo, a un certo punto Platini sostituisce Beckenbauer, Neeskens subentra a Keegan, e soprattutto N'Kono si produce in un bell'autogol in risposta al classico destro diretto all'incrocio di Antognoni, quando l'esibizione è ormai agli sgoccioli. Telê Santana, negli spogliatoi, ripete il suo ritornello preferito: il Brasile è il più forte, e se si rigiocasse mille volte quella famigerata partita, non la perderebbe mai e mai più. No never, never, never.

9 giugno

1924
Italiani d'Uruguay

Non c'è dubbio che l'avvenimento abbia prodotto un'eco enorme, a giudicare dallo spazio che gli dedicò la carta stampata. Le tournoi de football dell'ottava Olimpiade moderna, giunto al suo epilogo, è da tutti considerato alla stregua di un campionato del mondo. A Colombes, per la finale, ci sono tecnici, dirigenti, pedatori di ogni scuola e paese. Sono lì per ammirare l'undici delle meraviglie, l'Uruguay venuto in Europa a incendiare di entusiasmo i patiti del pallone. Sono lì per vedere se la Svizzera addestrata dai britannici - in particolare da Jimmy Hogan - è in grado di trovare contromisure giuste alla favolosa vena dei sudamericani. C'è anche Monsù Poss, che dal 1908 ha presenziato a tutte le finali dei Giochi Olimpici, ed è già prima firma de La Stampa per gli affari pedatori, italiani ed esteri. Monsù è estasiato dagli "americani", sottolinea la fantasia del gioco che praticano ("tutti hanno comune la capacità di illudere l'avversario, dando a vedere una intenzione e facendo poi l'opposto di quanto hanno lasciato credere"), sostenuto da velocità e condizioni atletiche superiori ("tutti battono gli oppositori con deviazioni del pallone effettuate quando l'avversario è già compromesso dal suo slancio e dalla sua corsa"). Insomma, sono di un altro pianeta e - ciò che non guasta - "sono quasi tutti italiani". La Svizzera è poca cosa, al loro cospetto. Finisce tre a zero.
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1938
Pelota cubana

Non si sa neppure e con precisione quando sia morto (inizio anni '80 del secolo scorso, presumibilmente). Né quante gare abbia giocato per il suo paese. Allo stato, l'Asociación de Fútbol de Cuba non ha reso disponibile  un sito ufficiale, dove reperire informazioni e statistiche. Né su di lui, né su altri jugadores del presente e del passato (beh, quelli che rappresentarono calcisticamente l'isola ai tempi del generale Fulgencio Batista y Zaldívar potrebbero essere facilmente oggetto di memoria negata). E così di Héctor Socorro Varela (foto) sappiamo solo, da cronache e tabellini, che era un centravanti, e che nelle due partite degli ottavi di finale contro la Romania (fu necessario il desampate)  mise complessivamente tre palloni nel sacco dei danubiani. Portò i suoi ai quarti, dove furono massacrati dai baldi ragazzoni svedesi. Chissà come li accolsero, al ritorno nei Caraibi. Chissà se Batista li gratificò con quintali di Partagás, o se decretò la totale indifferenza nei loro confronti; d'altra parte, erano venuti in Europa quasi abusivamente, solo per via della rinuncia delle nazioni che avrebbero dovuto disputar loro l'ammissione. Quella del 1938 fu, tuttavia, la prima e ultima partecipazione dei cubani alla fiera mondiale di Eupalla: la loro meglio gioventù ha infatti sempre prediletto il basket o la lippa (in inglese 'baseball'), e Socorro ha abbaiato alla luna.


1968
Aspettando Gigi Riva

Aveva giocato a pallone tutto il giorno, e quando stava per iniziare la finale crollò addormentato di schianto. Era molto tardi, erano le dieci passate, ma strappò al genitore imbandierato la promessa di svegliarlo se l'Italia fosse riuscita a segnare. "Non preoccuparti, se vinciamo ti sveglieranno i clacson delle automobili, la gente che fa festa per le strade", disse.
Riaprì gli occhi che il sole era già alto, una bella domenica d'inizio estate. "Oh no, abbiamo perso!", pensò immediatamente; cercò subito, per stracciarla, la figurina di Dragan Džajić, il mostro che gli era apparso più volte in sogno durante la notte. Suo padre rientrava proprio in quell'istante, con la rosea sotto braccio. Ne vide l'espressione, e scoppiò in una risata. "E va bene, non abbiamo perso. Ma se abbiamo vinto, perché nessuno mi ha svegliato?", protestò il bambino. "La finale si ripete domani sera, e questa volta non solo inizia subito dopo Carosello, ma gioca anche Gigi Riva". D'improvviso, la vita gli parve piena di colori e di grandi prospettive; mise la Jugoslavia - una serie di soldatini piccoli e brutti - nel baule dei giochi scartati, e cominciò ad aspettare il momento in cui Riva avrebbe segnato il gol che in cortile poi cercherà di ripetere mille volte, anche se non era mancino come lui.
Cineteca


1996
Football Comes Home

Mi sono appisolato ieri sera, mentre leggevo Soccer Revolution, famoso instant-book di Brian Glanville del 1953. Un capolavoro. Così non ho visto la partita. Iniziava il Campionato delle nazioni d'Europa, a Wembley. "Football Comes Home", è lo slogan escogitato dai creativi al soldo della Football Association. Un po' come ammettere che se n'era andato. Dove? Ovunque, è stato via trent'anni, chissà che impressione gli fa tornare a casa. Magari spera di incontrare ancora Bobby Charlton e Bobby Moore, e noterà che pali e traverse non sono più così spigolosi nello stadio dell'Impero. Molte cose sono cambiate, insomma. Leggo che un tale Paul Gascoigne, testa cotonata e fiato corto, l'ha corteggiato a lungo, senza essere minimamente ricambiato. Ad Alan Shearer è andata meglio, perlomeno un sorriso glielo ha strappato. Leggo che non era gran cosa, questa Inghilterra, e non che la Svizzera fosse meglio. Perlomeno, quelli dei verdi altipiani non pretendono di avere inventato il gioco, e come tanti altri ritengono che il football sia ovunque c'è un pallone che rotola e gente che gli corre dietro. Si sono certamente meritati il penalty, con cui un tipo dal nome strano e piuttosto inquietante e soprattutto molto poco elvetico, tale Kubilay Türkyilmaz (foto), ha pareggiato i conti e mandato di traverso la serata ai sudditi della regina. Varium et mutabile semper Eupalla, direbbe il poeta.


2008
La batosta del Wankdorf

Lo sostengono storici ed esegeti, ma non ci vuole grande sforzo, basta compulsare gli albi d'oro: il campionato più difficile è quello delle nazioni d'Europa, non la Coppa del mondo, dove per ragioni di politica e marketing partecipano compagini di irrilevante spessore. A riprova di ciò: solo due volte è capitato che la nazione detentrice della Coppa vincesse due anni dopo il campionato (il percorso contrario è pure riuscito in due circostanze, una alla Germania e una alla Spagna). Ci riuscì la Spagna nel 2012, e la Francia nel 2000 (che beffa!). Non l'Inghilterra (figuriamoci), non la Germania (strano!), e nemmeno l'Italia. Ora tocca ancora all'Italia, nelle vicine amiche nemiche (sportivamente parlando) terre d'Austria e di Svizzera, in un clima che s'addice al gioco del pallone per vie delle frescure d'ombra che le Alpi proiettano sui catini agonistici. Ci battezza l'Olanda, che schiera sempre pedatori temibili ma finisce spesso per perdersi in discussioni interne di vago argomento razziale. Al timone hanno Marco Van Basten, un apprendista del mestiere: uno che, però, ci conosce bene. E conosce benissimo el Dunadùn, CT azzurro della transizione. Sono amiconi, insieme hanno girato il mondo e vinto parecchio. Perché accanirsi in quel modo? Non siamo la Germania. Ciò nonostante, il pallone non lo vediamo nemmeno col binocolo, e al pensiero di quella serata a Wankdorf (reimbellettato e ridenominato: ora è lo Stade de Suisse) ancora la testa ci gira. Zero a tre, figuraccia quasi epocale: da centro del mondo, ci hanno rapidamente declassati a periferia dell'Europa.
Tabellino | Highlights


  • Vedi anche le partite del 9 giugno in Cineteca

29 maggio

1985
Stade du Heysel, Brussels

Giorno verrà - non è affatto lontano - che il calcio perderà i suoi satanici sapori di transfert dalla degradazione e dalla miseria. Allora tornerà ad essere per molti quello che è sempre stato: il gioco forse più bello di tutti. Parola di un povero fra i tantissimi poveri di questo mondo
Gianni Brera (La Repubblica, 31 maggio 1985)
Vedi anche Eupallog In primo piano

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1968
Alla memoria dei ragazzi perduti a Monaco

Qualcuno dalle parti di Lisbona comincia a prendere sul serio la profezia di Guttmann. Maledizione. Il Benfica ha raggiunto la quinta finale del decennio. Ha vinto le prime due, poi sono arrivate le milanesi e la storia è girata. Non c'è due senza tre? Vedremo. Quest'anno tocca agli inglesi, e il dannato capellone incute un certo qual timore. Per non dire dello spelacchiato, già: Bobby Charlton, Sir Bobby Charlton. Come non bastasse, si gioca a Wembley; e c'è da aggiungere che si giocò a Wembley anche la finale del 1963. A Londra contro lo United, e l'ultima volta a Milano contro l'Inter. Sempre in trasferta, hai un bel dire. I portoghesi fanno quello che possono. A dieci minuti dal ghigno di Guttmann per fortuna Jaime da Silva Graça (non è uno della vecchia guardia, forse non ha mai sentito parlare dell'ungherese e delle sue ciance) rimette la partita in sesto. Si va ai supplementari. Ma il Benfica è stanco, lo United dilaga. Quattro a uno, tutto da dedicare alla memoria dei ragazzi perduti a Monaco, dieci anni prima.
Cineteca


1974
Inutile scampagnata a Leipzig

Il Zentralstadion di Leipzig è un enorme catino, interamente scoperto. Cemento su cemento, gradoni bassi, la struttura si estende in ampiezza e non in altezza. Spesso, la Fussballmannschaft della Germania socialista viene qui per provare a spennare ospiti di rilievo. Oggi, per esempio, c'è l'Inghilterra. Essendo depressi, gli inglesi buscheranno, è sicuro, vagheggiano i novantacinquemila che affollano l'arena. Di fatto, il pensiero che all'imminente mondiale tedesco ci vadano due Germanie e loro no - e che per giunta un biglietto d'ingresso l'abbiano invece sgraffignato gli scozzesi - dev'essere intollerabile. Perciò devono far vedere di che pasta sono fatti. Pasta molle, ma sufficiente a strappare un pareggio. Un inutile, noiosissimo pareggio. I tedeschi d'oltremuro si accontentano, dev'essere gente di bocca buona. In fondo, hanno un chiodo fisso: la sfida con i fratelli ricchi dell'Ovest, in calendario il prossimo 22 giugno, ad Amburgo.

1983
Io mi fermo qui

Finita la partita, Dino non ha una bella faccia. Ne ha incassati due. E' andata come al solito: gli azzurri, a fine campionato e negli anni dispari, vanno al nord, dove c'è sempre qualche rognosa partita di qualche rognoso girone di qualificazione per qualche dannato campionato d'Europa o del mondo, da giocare contro freschi e muscolosi atleti di qualche paese scandinavo. Sempre no. Quasi sempre. Stavolta è toccato andare in Svezia. Bello l'Ullevi, e anche Göteborg non è male. Non lo è neppure l'undici in maglia gialla. Due a zero, addio kermesse di Francia. I campeones do mundo sostanzialmente abdicano, è stata una grande, lunga e bella avventura. Finisce così. Dino non ha una bella faccia. Si toglie i guantoni, guarda il Vécio, suo amicone e compagno di briscola, e gli dice "basta, io mi fermo qui". Centododici volte si è piazzato tra i pali, per difendere la verginità dell'Italia. Ora tocca a qualcun altro, anche se un erede alla sua altezza ancora non c'è.
Tabellino e highlights

1994
Gli irlandesi danno la birra ai tedeschi

Parata della Nationalmannschaft ad Hannover. L'armata dei campioni del mondo, guidata dal veterano Berti Vogts, sta per andare dall'altra parte del globo a difendere il titolo. Si punta dritti alla quarta finale consecutiva. Ci si allena per questo, e per questo c'è qui la piccola nazionale d'Irlanda, per un bel galoppo di preparazione condito da tanti gol. I pedatori teutonici sono agghindati e appesantiti dalle loro medaglie. Un po', probabilmente, anche dagli anni. Matthäus. Völler.  Klinsmann. Häßler. Buchwald, Berthold, Möller. Illgner, il portiere. Ah già: Kohler. E Sammer. E Riedle. Questi undici, insieme, hanno sommato quasi settecento partite internazionali. E gli altri? Mica sono dei pivellini, gli irlandesi. Non è gente che vivacchia nel Shelbourne, nei Shamrock, nel Cork o nel Bohemians - con tutto il rispetto. E' gente di bel mondo. Irwin, McGrath, Phelan, Houghton, Whelan, Roy Keane, e Cascarino il globe-trotter. In panca, John 'Jack' Charlton (nella foto, quattro chiacchiere con McGrath). Dicono qualcosa, i nomi? Forse, ai tedeschi, poco. Infatti gli rifilano un gol per tempo, e mesta è la partenza dei Panzer per l'America.

23 maggio

1968
L'odore del Mare del Nord

La sequenza è cominciata. Anzi, continua. Dopo anni difficili: scudetti gettati, girandole di allenatori. Squadra da rifondare. Alcuni satanassi se ne sono andati o hanno smesso - Ghezzi, Altafini, Sani, Maldini; è tornato Rocco e ha imbottito la squadra di gente vicina alla pensione. Coppa Italia nel '67, tricolore - con dominio assoluto e largo anticipo - nella primavera del '68. Il cammino in Coppa delle coppe è però ostacolato da nugoli di tedeschi: il Bayern in semifinale, l'Amburgo in finale. Si va a Rotterdam, ed è una rotta che piace a Kurt Hamrin (foto), il più terribile dei vecchietti rossoneri. Dev'essere l'odore del mare che arriva sino al 'de Kuip' a metterlo di buonumore. Doppietta in meno di venti minuti, agilmente difesa nei restanti settanta. Finita la stagione dell'Inter, ricomincia quella del Milan.

1980
Londonderry Air

L'epoca delle ricorrenze secolari sta entrando nel vivo. Quest'anno, per esempio, si celebra il centenario della Irish Football Association, e la Green and White Army sta facendo bella figura nella British Championship (da quando è tornato Billy Bingham, le cose vanno bene, la qualificazione al mondiale di Spagna è possibile). Oggi si va a Cardiff, e se si vince, si vince matematicamente il trofeo. E' successo davvero poche volte. In effetti, si vince, e facciano quel che gli pare domani gli inglesi a Hampden Park. Noi siamo qui che cantiamo A Londonderry Air. E al coro si è unito anche Noel Brotherston (foto), sì è lui che segnato il gol decisivo (e che gol), poco importa di quel che gli diranno quando tornerà a Blackburn, sentite che voce! "Would God I were the tender apple blossom / That floats and falls from off the twisted bough / To lie and faint within your silken bosom / Within your silken bosom as that does now".
Tabellino | Il gol di Brotherston


1995
L'emancipatore del calcio sovietico

Si spegne, a Mosca, Gavriil Dmitrevič Kačalin. Nella storia del calcio sovietico, prima ancora di Lobanovski, il suo nome campeggia imperioso: fu lui, infatti, a guidare la rappresentativa delle repubbliche socialiste al vertice del calcio mondiale. Accadde nel favoloso scorcio dei 1950s: oro olimpico a Melbourne (1956), e soprattutto titolo europeo nel 1960. Con molti, onorifici titoli, il Cremlino manifestò la sua riconoscenza nei confronti del generale che aveva piegato, a Parigi, l'odiata Jugoslavia di Tito. 

  • Vedi anche le partite del 23 maggio in Cineteca

18 maggio

1952
Le lacrime di Silvio Piola

Ha quasi 39 anni, spende gli ultimi spiccioli di carriera - a suon di gol - nel Novara, che sta portando dove non era mai stato, nella parte alta della classifica del campionato di Serie A. Manca Benito "Veleno" Lorenzi, che della nazionale è il centravanti titolare. C'è da giocare contro gli inglesi a Firenze, e allora richiamano lui. Mancava da cinque anni, l'ultima sua foto in maglia azzurra non era associata a un bel ricordo: fu scattata nel corso di una batosta umiliante al Prater, cinque a uno.
Silvio Piola, con la fascia di capitano, a Firenze, si batte come un leone. Gli inglesi non passano. Quelli che hanno trovato spazio sulle gradinate del Comunale giurano di averlo visto in lacrime. Forse. Sapeva che quel giorno sarebbe stato l'ultimo, per lui, con quella maglia.
Cineteca


1968
Il re dei Baggies

"La causa della morte è ancora ignota, ma non ci sono circostanze sospette", disse una portavoce della Staffordshire Police. Era il 20 gennaio del 2001, e la BBC così annunciava la scomparsa di Jeff Astle, all'età di cinquantanove anni. Chi non se lo ricorda, può scorrere la rosa che Sir Alf Ramsey portò in Messico nel 1970 per difendere il titolo mondiale: il suo nome chiude la lista, la sua maglia portava il numero 22. L'estate messicana offriva ad Astle una grande, ultima vetrina: lui era la star del West Bromwich Albion, che nei primi anni '70 lotterà disperatamente per potersi iscrivere, di anno in anno, alla First Division. Astle era un ariete, uno dei più notevoli - si è detto - specialisti nel gioco aereo prodotti dal football d'Oltremanica. Le migliaia di pesanti sfere di cuoio inzuccate - si è detto - produssero i danni cerebrali che lo spedirono nell'aldilà. Tuttavia, non di testa ma con una fiondata dal limite (foto) si prese, il 18 maggio 1968, la più grande soddisfazione in carriera, castigando ai supplementari l'Everton. Era la quinta coppa nella storia dei Baggies, altre non ne seguirono: e, di quella storia, Jeffrey Astle fu definitivamente "The King".



1994
Il beffardo pallonettone di Dejan

Atene. Milan-Barcellona, per la prima volta di fronte a disputarsi l'Europa. Sulla carta, per taluni (soprattutto per il grande Johan Cruijff, che allena i catalani) il match è squilibrato. "Stiamo attraversando un grande momento, ci sentiamo i più forti. Se poi devo considerare il fatto che al Milan mancheranno due giocatori insostituibili come Baresi e Costacurta, allora capisco perché Capello e i suoi abbiano paura e non si sentano tranquilli, con gli attaccanti che ci ritroviamo, gente capace di segnare 92 gol in 38 partite di Liga". Difatti non ne segneranno manco mezzo. E il Milan solo quattro. Memorabile il terzo, quello che mette in ginocchio i Catalani. Il pallonettone di Savicevic (foto). "Pallonettone da non so quanti metri, Zubizarreta annaspante come un’anatra ferita. Era, Dejan, il ricciolo di fantasia che guarniva una manovra spartana ma precisa" (Roberto Beccantini).
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15 maggio

1910
Epifania dell'Italia

Epifania della nazionale italiana. All'Arena civica, in maglia bianca; di fronte c'è la debole équipe che rappresenta il football di Francia (sì, maltrattavano il pallone anche loro, poveracci), valeva davvero la pena di invitare i cugini. Squalificato il blocco dei vercellesi [vedi: il rifiuto di disputare lo spareggio costò loro la sanzione], l'XI è zeppo di pedatori militanti nei club di Milano. Fu un comodo successo - sei a due, principale protagonista Pietro Lana (foto), primo ad entrare "nell'albo dei cannonieri azzurri" -, ed "ebbe l'effetto di suscitare euforia in un ambiente di per se stesso incline alle repentine esaltazioni e ai facili scoramenti" (Antonio Ghirelli). Difatti, a distanza di pochi giorni, ci penserà la forte Ungheria a ridimensionare les italiens. Dalle stelle alle stalle.
Tabellino


1957 
C'è un vecchietto in Danimarca

Per uno come lui, non è detto che Copenaghen fosse il posto migliore dove togliersi definitivamente di dosso la maglia dei Three Lions. Difatti non l'aveva programmato: fu Walter Winterbottom a non chiamarlo più, per tutte le partite successive. Largo ai giovani: quarantadue primavere sulle spalle possono giustificare il turn-over. Non che fosse scaduto di condizione, anzi: Stanley Matthews era ancora brillante, e nei match di qualificazione al mondiale di Svezia aveva dato il suo più che onesto contributo. Tant'è. Vince - anzi stravince - la sua ultima partita, e saluta senza salutare avendo raccolto la miseria (tutto sommato, per uno così longevo) di 54 caps
1968
Il paradiso in attesa dello United

Uno era grande amico e sodale di Bobby Charlton - si mise in affari con lui quando la spelacchiata leggenda traslocò a Deepdale; l'altro era sopravvissuto al disastro di Monaco, giocò ancora a lungo nello United, ed è fra i pedatori che possono vantare più di 500 presenze nel club. Rispettivamente: David Sadler e William Anthony ("Bill") Foulkes. Eclettico l'uno (poteva indifferentemente giostrare da difensore centrale, da centrocampista e da punta), solido centre-back l'altro. Non godevano di grandissima considerazione internazionale; in due raccolsero la miseria di cinque caps nella rappresentativa di Sua Maestà. Furono loro però che, in cinque minuti e sullo scorcio di partita, raddrizzarono la barca dell'UTD, che i Blancos avevano cannoneggiato nel primo tempo, vanificando in potenza lo striminzito 0 a1 subito nella semifinale di andata della Coppa dei campioni a Old Trafford. Una scomposta zampata sottomisura di Sadler (foto) e un diagonale velenoso di Foulkes (su assistenze di George Best) impattarono il Real. Gli inglesi volavano in finale, preparandosi a scalare il paradiso del football europeo.
Cineteca


1985
Lonely Boy

L'ultima stagione di Johann K al Rapid Vienna riporta il glorioso club austriaco - come si suol dire - agli onori delle cronache pallonare d'Europa. Al De Kuip, per la finale di Coppa delle coppe, ci sono i grün-weißen insieme all'Everton. Johann "Hans" Krankl ha appena sfornato un hit gettonatissimo, una terribile cover di Paul Anka (in versione deutsche), ma in campo si mette a cantare quando sugli spalti sono rimasti solo i supporters dei Toffees, in attesa della cerimonia di premiazione. Chissà se ha ricevuto qualche applauso.



2002
Il magico colpo di Zinedane


Il dream team madridista, guidato da Vicente del Bosque, si può avvicinare alla "decima". In finale di Champions incrocia ad Hampden Park - dopo aver estromesso Barça e Bayern - i tedeschi del Leverkusen, una buona squadra con pedatori in fase di grande crescita. Ma l'asticella è troppo alta per loro, che non erano mai andati così lontano. Ciò nondimeno, quella dei Blancos non è una passeggiata, e la "nona" entra nella storia del pallone solo ed esclusivamente per merito di Zizou. Sullo scorcio del primo tempo, un mezzo campanile sganciato da Roberto Carlos in eretistica percussione sulla fascia sinistra si abbassa dalle parti del francese, appostato al limite dell'area. La coordinazione è perfetta, e il colpo a volo di sinistro uno spot consegnato gratuitamente all'Uefa per gli anni a venire. E' il gol che inchioda il risultato (due a uno) e (per qualche anno) l'albo d'oro europeo del Madrid.
Cineteca | La magia di Zizou

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9 maggio

1956
Volevano fare uno show

E' una selezione giovane, quella inglese che affronta per la prima volta nella storia il Brasile. Naturalmente a Wembley. I più esperti sono senz'altro Matthews e Wright (nella foto, con Nilton Santos); ci sono le giovani stelle di Busby, i poveri Duncan Edwards e Tommy Taylor. C'è anche, all'esordio, Colin Grainger, inside left dello Sheffield United, appena sprofondato nella serie inferiore grazie a un disastroso finale di stagione.  I brasileri hanno Gilmar e i due Santos e Didi, gli unici che ritroveremo al Råsunda tra due anni, nella finale della Coppa Rimet. Illusoria, dunque, la maramalda vittoria albionica: quattro a due, e doppietta proprio di Grainger. Quanto a presunzione, tuttavia, i brasiliani non sono mai stati inferiori a nessuno: "Qualche giorno prima avevamo perso con l'Italia, e quindi volevamo fare uno show", disse uno di loro. Infatti.
Cineteca




1968
Nel maggio del Sessantotto ...

Nel maggio del Sessantotto la Juventus disputò per la prima volta nella sua storia le semifinali della Coppa dei campioni. Si potrebbe ironicamente dire (vista la simbolica coincidenza cronologica) che fu un evento rivoluzionario, ma la Juve di quegli anni era definita "operaia", non aveva icone beat da far strappare i capelli alle ragazze e la guidava uno che soprannominavano "ginnasiarca" o "sergente di ferro". Un'edizione pur sempre 'istituzionale' ma lontana anni luce dal profilo elegante e nobile (dallo 'stile') del club potente e dedito al potere di altre stagioni. Una semifinale, però, è roba seria. L'avversario è temibile, perché è il Benfica, bacheca già ricca e abitudine a partite come questa, diverse stelle fra cui ovviamente quella lucentissima di Eusébio. Chi lo marca? In prima battuta, pare Del Sol. Un po' lui se ne preoccupa, perché è alto la metà (dicono: che esagerazione!), e soprattutto quando giocava nel Real ci ha già perso contro una finale. Ma lo spagnolo non è tipo da tirarsi indietro, ha vasta esperienza, dicono sia vecchio (che malignità) ma ha ancora fiato ed energie da vendere. E se non lui? Beh, pare che Heriberto abbia allertato Bercellino. Dicono però (altre malignità?) che quando gli ha prospettato l'ipotesi lui sia sbiancato, vittima di un lieve ma autentico choc. Alla vigilia i giornalisti stuzzicano un po' il difensore, e lui non ha difficoltà ad ammettere di essere preoccupato - e chi non lo sarebbe -, dunque si limita a promettere che (eventualmente) francobollerà Eusébio sportivamente e accuratamente, senza infierire su quel ginocchio sinistro del mozambicano che un po' male da tempo gli fa. Dal canto suo Mário Esteves Coluna, capitano del Benfica, diffonde la scaletta preparata in vista del concerto all'Estádio da Luz: "Per andare tranquilli a Torino, dobbiamo vincere con due gol di scarto qui a Lisbona e io sono convinto che riusciremo a raggiungere questo traguardo". Sapeva il fatto suo, Coluna. Quando, a venti minuti dalla fine, Eusébio aggancia un pallone in area, controllandolo lo sposta sul sinistro (che gesto: leggerezza e classe infinita), e poi di esterno destro trafigge Anzolin, la partita (e la semifinale) si compie. Dai turni di notte, gli operai smontano sempre con un senso di stanca tristezza, con il sospetto d'essere forse più poveri di quel che in fondo e in realtà essi sono.


1978
Orgoglio corso

Lo Sporting Club di Bastia non era mai stato (né mai sarà, da allora in poi) ai vertici del football nazionale e internazionale. A spiegarne la fiammata europea della stagione 1977-78 sono però sufficienti due nomi di pedatori non indigeni; due affermate stelle che decisero di trascorrere sul mare della Corsica uno spezzone di carriera: ormai al tramonto quella di Dragan Džajić, già castigamatti della Stella Rossa e della Yugoslavia di fine anni '60, che militò nel Bastia fra il 1975 e il 1977, trascinando la squadra al 3° posto della Ligue 1 1976-77 e dunque alla qualificazione per la Coppa Uefa della stagione successiva; in pieno spolvero quella di Johnny Rep (nella foto, a destra ...), centravanti della nazionale Orange e pochi anni addietro spietato finalizzatore nell'Ajax dell'era Cruijff. Certo l'epilogo fu mesto, e (apparentemente) abbastanza scontato. Il sogno di essere la prima compagine di Francia ad alzare una coppa si infranse nel piccolo (ma ai tempi ultra-moderno) stadio di Eindhoven, e a suonare la sveglia fu il rampante PSV. Giornate memorabili, in ogni caso. Johnny se ne andrà nel 1979, e lo Sporting Club tornò rapidamente nella penombra della Division 1.


1990
Paradiso blucerchiato

Abbonata da due stagioni alla Coppa Italia, la Samp frequenta il salotto buono d'Europa, e ha già sfiorato l'impresa giusto un anno prima, quando fu però seccamente sconfitta in finale di Coppa delle coppe dal Barça. Alla vigilia dell'anniversario, è di nuovo arrivata in fondo al torneo. Trova un avversario teoricamente più malleabile, anche se di lunga militanza nelle competizioni continentali: l'Anderlecht di Bruxelles. Si gioca al fresco del nord, nel modernissimo Ullevi di Göteborg. Non è una passeggiata tra i boschi: i belgi si arroccano e resistono, ma la superiorità doriana è evidente. Sblocca e decide Gianluca Vialli (foto), nell'extra-time. "Se non vincevo questa Coppa, mi buttavo giù dall'aereo", assicura Roberto Mancini nel dopo-partita.


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24 aprile

1910
Lo spareggio burletta

L'epilogo del campionato federale 1909-10 è burrascoso. Pro Vercelli e Internazionale devono spareggiare, avendo concluso il torneo alla pari. La federazione fissa la data, la Pro ha i suoi impegnati in un torneo militare, e ne chiede lo spostamento. Rifiutato. Al Campo 'Principe di Napoli' giocano dunque "11 poderosi atleti dell'Internazionale" (foto), cui i vercellesi - per ripicca - oppongono "11 minuscoli campioni": i ragazzini della cantera, in sostanza. "Vi erano elementi di undici anni, e fra gli altri Rampini che oltrepassa di poco il metro di altezza" (La Stampa). Finì dieci a tre per i lombardi, che così - con poca gloria - si aggiudicarono il loro primo titolo italiano.



1968
Ilija spenna i galletti

È la grande giornata di Ilija Petković. La Yugoslavia ospita i francesi al ‘Marakana’ di Belgrado, per un quarto europeo ancora aperto dopo l’uno a uno di Marsiglia del 10 aprile precedente, e Ilija (velocissima ala destra dell’OFK) fa la sua prima apparizione in nazionale. Dopo poco più di mezzora aveva già infilato due volte Aubour, contribuendo da protagonista assoluto a spennare con un pesantissimo 5-1 i galletti francesi, portando così la Yugo alla fase decisiva del torneo che si giocherà in Italia, dove – come si sa – eliminerà l’Inghilterra campione del mondo prima di vedersela con i padroni di casa nella finale.
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20 aprile

1966
Nel deserto dell'area francese

Beh, il colpo d'occhio che offre il Parco dei Principi non è gran cosa. Poche migliaia di spettatori per l'ennesimo derby col Belgio. Eppure i francesi dovrebbero avere un po' di appetito; hanno battuto per l'ultima volta i fastidiosi vicini nel 1956, sono dunque all'asciutto da dieci anni, allora si giocava per andare ai mondiali di Svezia, Taddeo Cisowski ebbe una giornata di grazia e insaccò cinque palloni, finì sei a tre, ma era un'altra Francia. Questa è un'accozzaglia di pedatori raccolti qua e là, Henri Guérin li porterà in estate sui campi inglesi a vendere cara la pelle, ma certo non si tratta di una squadra di calcio. E infatti, in questa amichevole di preparazione, il Belgio (zeppo di buoni giocatori dell'Anderlecht) passeggia. Brilla un esordiente che gioca nel Bruges - il club di cui scriverà la storia: Raoul Lambert (foto). Gioca solo il primo tempo, ma gli è sufficiente per lasciare un bel ricordo ai suoi ospiti. Di rapina, su una palla spiovuta dal corner, solo nel cuore di una piccola, deserta area di porta francese.
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1968
Dinosauro

"Dino Zoff, portiere del Napoli, debutta in nazionale proprio a Napoli il 20 aprile 1968. Non in un'amichevole qualsiasi, ma in una gara importantissima: valida per la qualificazione alla fase finale dei campionati europei, che si disputano in Italia. Ferruccio Valcareggi, dopo la sconfitta di due settimane prima a Sofia dove il titolare Albertosi ha incassato tre gol, nella decisiva sfida di ritorno contro la Bulgaria lancia quel portiere di 26 anni, che non soltanto resta imbattuto, ma stupisce per la sua calma capitan Facchetti e gli altri veterani Mazzola e Rivera" (da Alberto Cerruti, Dino Zoff e l'Italia: una lunga storia d'amore).


1977
I giocatori universali di Lobanovs'kyj

Il laboratorio di Lobanovs'kyj sta cercando di scalare l'Everest della Coppa dei Campioni, per concludere in gloria il suo favoloso triennio - titoli e coppe sovietici, Coppa delle coppe e Supercoppa europea tra 1975 e 1976. Nei quarti ha estromesso il Bayern tricampione, in semifinale trova altri tedeschi: i tremendissimi bombardieri del Borussia di Mönchengladbach. Li batte al Central'nyj stadion, con un solo gol. Il ritorno si gioca a Düsseldorf. Un bolide rasoterra di Bonhof dal dischetto, un tuffo di Wittkamp a inzuccare da due passi portano i tedeschi in semifinale. In entrambe le situazioni (la seconda non punita) il terzino sinistro degli ucraini, Viktor Matviyenko (foto), mostra a tutti cosa sia un giocatore universale: osta solo il regolamento, che non prevede possano essere schierati due portieri. Borussia in finale, dunque: appuntamento con la storia, e con il Liverpool, fissato per il 25 maggio a Roma.


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28 marzo

1897
L'uomo del miracolo

Nasce, a Mannheim, Josef "Sepp" Herberger. Pare fosse un ottimo centravanti in gioventù. Dopo il fallimento della Fussballmannschaft hitleriana alle Olimpiadi berlinesi siede lui in panca, e porta i tedeschi al miracolo di Berna. Tiene il posto fino al 1964, senza più cavare un ragno dal buco. "La palla è rotonda, e perciò la direzione della partita può cambiare", usava dire. Infatti.
Cenni biografici



1940
El Negro

Nasce, a Paysandú, sulla sponda sinistra dell'Uruguay (e dunque in Uruguay), Luis Alberto Cubilla Almeida. El Negro, uno dei più grandi giocatori uruguagi dell'era moderna. In tutto il Sudamerica sono pochi quelli che tengono in bacheca più trofei di Cubilla. Titoli nazionali, a bizzeffe, da allenatore e da giocatore; coppe internazionali, idem. Lo ricordiamo soprattutto con la maglia giallo-nera del Peñarol, e con quella celeste dell'Uruguay nei mondiali del '70, quando in semifinale mise paura al Brasile facendo il gol dell'uno a zero. Senza Pelé, anche la sua storia - già grande - poteva cambiare.


1968
L'agricoltore

Si spegne, a Vercelli, Carlo Rampini. Nella Pro degli anni ruggenti, era tra i giocatori di maggior prestigio. Segnava valanghe di gol, grazie alla potenza e alla precisione balistica; si cucì sul petto nientemeno che cinque scudetti. "Un mio amico agricoltore come lui mi ha raccontato che dopo l'allenamento tornava alla sua cascina saltando un paracarro dopo l'altro" (Gianni Brera). Già: il calcio era un passatempo lussuoso per lui, che smise a soli 24 anni per occuparsi dei campi.


1993
Il ragazzo si farà

Guarda il ragazzino, sì quello della foto. Sorride. Certo che è contento. Forse oggi gioca. Sì, non tutta la partita. Entrerà nel secondo tempo, o quando deciderà zio Boskov. Difficile dire. Pensa: non ha nemmeno diciassette anni. Ha stoffa, si dice. A Roma sono sicuri: sarà un campione. Difficile dire, la sua è un'età strana. Nemmeno ancora si capisce cos'è: un centrocampista? un'ala? un centravanti? Difficile dire. Vedremo. Dicono che quando giocava con quelli più grandi, al campetto, non lo sceglievano mai al momento di fare le squadre. Dopo cinque minuti, aveva fatto qualche gol e gli altri, quelli che per ultimo tra lui e il pallone avevano preferito il pallone, pretendevano di rifare le squadre. Mah, saranno storie. Vedremo. Si chiama Francesco. Francesco Totti, sì.
Eupallog Pentavalide | Il commento radiofonico

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