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24 febbraio

1964
Mister Garbutt

Si spegne, a Warwick, William Garbutt. Giocò una decina d'anni, prima che un brutto incidente lo costringesse al ritiro. Venne in Italia nel 1912, e fu un brillante allenatore - di Genoa, Roma, Napoli, Milan  -, il primo 'mister' del calcio italico. "E c'era Willy Garbutt. Mi volsi, ad un torneo in Alessandria, e vestivo ancora la divisa militare, sentendo parlare inglese. Mi lambiccai a lungo il cervello per studiare e ricordare dove avevo incontrato per il mondo quella figura caratteristica di sportivo. A Blackburn, anni prima, quando risiedevo in Inghilterra, avevo assistito dai posti popolari e da una distanza di pochi metri all'incidente che doveva porre fine prematura alla sua carriera di giocatore, in una partita contro la squadra del mio cuore, il Manchester United. Il mondo è piccolo, e grande fu l'amicizia che ci unì, da quel momento, attraverso gli anni" (Vittorio Pozzo).
Biografia

Víctor Muñoz Manrique
1982
Le illusioni della Spagna

La Roja ha messo le tende a Valencia. Qui, infatti, attende le rivali nella fase a gironi del mundial. Gli uomini di Santamaria devono acclimatarsi, prendere bene le misure del campo, affezionarsi alle due aree di rigore, farsi ben conoscere dalla gente del posto. Oggi il test-match - il terz'ultimo in calendario - è di un certo richiamo. Al Casanova arriva la Scozia, essa pure qualificata alla Coppa del mondo e fresca vincitrice della British Championship. Una compagine solidissima, innervata da tre colonne del superLiverpool (Hansen, Souness, Dalglish: giocatori così, di questi tempi, la Spagna può solo sognarli), ma nemmeno sono da sottovalutare i due talentuosi militanti nell'Ispwich (Wark e Brazil), mentre a far numero ci sono gli espertissimi bucanieri dela Scottish League. Insomma, "una de las selecciones más fuertes del Viejo Continente", spiega Mundo Deportivo. Però finisce tre a zero per i rossi; prestazione maiuscola e sorrisi sognanti.


1993
Il leader

Si spegne, a Barking (Essex), Bobby Moore. "My captain, my leader, my right-hand man. He was the spirit and the heartbeat of the team. He was the supreme professional, the best I ever worked with. Without him England would never have won the World Cup" (Alf Ramsey). A quel trionfo non ne aggiunse molti altri, nei lunghi anni in cui fu il signore di Upton Park. Scolpite nella memoria rimangono di lui tante immagini; l'istante più iconico della sua carriera è, tuttavia, lo scambio di maglia con Pelé a Guadalajara nel 1970. Senza saperlo, con la sua maglia il capitano dell'Inghilterra consegnava a o Rey anche la coppa del mondo.


25 settembre

1974
Nella tana del Fortuna

In un mercoledì di fine settembre, il Toro va nella patria dei campioni del mondo. E' ancora precampionato da noi, nella stagione post-mondiale, e la Serie A inizierà addirittura in ottobre. La condizione fisica non è granché. La trasferta a Düsseldorf per il ritorno del primo turno di Coppa Uefa promette poco di buono, non è che vincere uno a zero contro la Sambenedettese sia un viatico particolarmente rassicurante per Fabbri. Fabbri, già. Mondino è alla guida del Toro, sarà il suo ultimo anno in panca a un certo livello. Dopo di lui, i granata decolleranno, all'orizzonte ci sono stagioni memorabili. L'andata è finita pari, uno a uno. Gli avversari, però, sono di nome: sono il Fortuna, ma non hanno un palmarès di rilievo. I tedeschi si avventano, passano, si suicidano, resuscitano, menano, vincono la partita e si qualificano per i sedicesimi di finale. Per il terzo anno consecutivo, il Toro abbandona la tavolata europea senza nemmeno finire l'antipasto. Il vecchio capitano, Giorgio Ferrini (foto), giocherà le sue ultime partite solo su campi italiani.
Tabellino 



1993
Il Filosofo

A quei tempi, gli allenatori delle squadre più forti o dai modi più originali avevano tutti un soprannome. Helenio Herrera era 'Il mago' (ma anche 'HablaHabla', oppure 'Accaccone', che lo distingueva da 'Accacchino', cioè Heriberto Herrera), Pesaola 'il Petisso', Rocco 'il Paron'. Diverso da tutti - nell'atteggiamento disincantato, ironico, talora spiazzante - era Manlio Scopigno, 'il Filosofo'. Allenatore fuori dagli schemi, si suol dire. Un friulano, va ricordato. Quel che fece a Cagliari - vincendo lo scudetto, nel 1970 - lo ricordano tutti, e molte sue frasi di quei tempi furono conservate e archiviate (e custodite) come preziose gemme di un'epoca. Era davvero un grande, singolare personaggio, caro a tutti coloro che amavano il calcio. Manlio Scopigno si spense, a Rieti, il 25 settembre 1993.

2 giugno


1959
Lo Schiaffino di Alessandria

Domenica mattina. In questa città di provincia del Piemonte un signore di età piuttosto avanzata è uscito presto di casa, quattro passi nella frescura e prima di tornare si ferma in edicola e acquista il giornale. Lo sfoglia rapidamente, si ferma solo alle pagine dello sport. E' vero, oggi finisce il campionato, pensa. In verità è già finito, lo ha vinto il Milan. Scuote la testa, ci dev'essere un pensiero che lo rattrista. Eccolo: il Toro va in serie B, la matematica non è un'opinione, e i punti sono quelli: tre meno della terz'ultima. Nella città in cui vive il signore in questione spesso il Toro veniva a giocare, e qualche volta persino buscava. Lui andava allo stadio, erano bei tempi. Dieci, quindici anni fa, non il secolo scorso. Poi si sa com'è finita, lasciamo perdere. Quasi quasi. Ecco, sarebbe la giornata buona per andare alla partita, c'è il sole ma non fa ancora troppo caldo. Il giornale è rimasto aperto sulla pagina delle cronache sportive. L'uomo inforca gli occhiali. "Anche ad Alessandria incontro di cartello per l'ultima gara casalinga dei grigi. Di scena sarà l'Inter e la partita non dovrebbe riservare molte emozioni poiché le due squadre sono in posizione tranquilla di classifica. Gli ultimi cinque incontri positivi hanno definitivamente salvato l'Alessandria dalla retrocessione". Almeno questo, sospira. "Tra le file dei grigi è annunciato l'esordio del più giovane giocatore d'Italia della massima divisione, Gianni Rivera, nato il 18 agosto 1943 nel sobborgo di Valle San Bartolomeo". Ah, gioca il ragazzino? "Rivera non ha ancora sedici anni e già lo si vedrà alle prese contro fortissimi avversari. E' tempestivo il lancio del ragazzo a fine campionato, impegnato in una prova molto severa, senza una adeguata preparazione e acclimatazione alle gare di responsabilità? " Mah. "Certo l'attesa è vivissima tra le file degli sportivi locali che, con esagerata euforia, hanno definito il sedicenne debuttante niente meno che lo Schiaffino alessandrino". Mah. Ecco il portone di casa. Fine della passeggiata. L'uomo avvolge pensieri e giornale da qualche parte, e chissà se dopo pranzo deciderà di andare alla partita.



1971
Totaalvoetbal

Un gruppo di pedatori olandesi schierato con la grande coppa per le foto-ricordo non regalava immagini assolutamente inedite al continente calcistico. Detentore era il Feyenoord, e aveva trovato un posto nell'albo d'oro sgominando il Celtic, che aspirava alla seconda nicchia. E ancora due anni prima, in fondo, i lancieri avevano pure e appunto già lanciato la loro sfida, respinti dall'esperta (è un eufemismo) truppa rossonera. Exploit che molti superficiali osservatori ritenevano casuali, nell'epoca in cui il calcio praticato dalle nazionali rifletteva ancora la tradizione dei club (e viceversa); e nessuna pagina rimarchevole avevano mai scritto, dalle origini del gioco, la terra dei mulini a vento e le squadre delle sue maggiori città. D'altra parte, che significativi e irreversibili mutamenti fossero in atto è testimoniato anche dallo sparring-partner dell'Ajax sul sempiterno prato di Wembley. Nessuno più dell'uomo che sbucava dal tunnel, guidando i verdi del Panathinaikos all'inevitabile sacrificio, poteva rappresentare il passato, quale testimone di un football definitivamente consegnato a storie e leggende. Ferenc Puskás non era solo l'Aranycsapat o il grande Real: simboleggiava il calcio della mitteleuropa che era stato sempre avanguardia, sin dagli anni '20, calcio di grandi e inutili vittorie e di inattese e importantissime sconfitte. A lui il compito di testimoniare l'avvio di una nuova epoca, perché l'antica non venisse del tutto dimenticata.
Fu dunque alla sacerdotale presenza di Puskás, estemporaneo allenatore del Panathinaikos, che il ventiquattrenne Johann Cruijff, l'Ajax disegnato da Rinus Michels e il suo rivoluzionario Totaalvoetbal, poi replicato con maglie di colore diverso nella competizione fra le nazioni, si presero la Coppa, avviando un'egemonia tecnica e soprattutto culturale che, per molti aspetti, perdura.
Cineteca



1978
Il girone de la muerte

A distanza di poche ore l'una dall'altra, Italia e Argentina - sorteggiate insieme nel girone de la muerte - debuttano alla coppa del mondo. Los italianos nell'assolato pomeriggio di Mar del Plata; l'albiceleste tra i coriandoli del Monumental. L'inizio è, per entrambe, nefasto. Gli azzurri vanno sotto dopo pochi secondi, praticamente senza mai sfiorare la pelota; l'Argentina dopo nemmeno dieci minuti (foto). Il discorso intavolato da Francia e Ungheria è di fondo abbastanza semplice: non hanno attraversato l'Atlantico solo per abbuffarsi di parillada. Furente e sgarbata la reazione degli ospitanti, serena ed elegante quella italiana. Entrambe vincono di rimonta, e agli osservatori più sgamati tutto appare chiaro sin da queste due prime partite: gli azzurri giocheranno il miglior calcio del torneo; gli argentini non si concederanno alcuno scrupolo, pur di vincerlo.
Cineteca: Italia-Francia | Argentina-Ungheria


1993
Anche a Oslo gli inglesi subirono una dura lezione

A ben guardare, il pallone degli inglesi, quando attraversa la Manica o lo portano su terre aliene varcando i mari e gli oceani, si sgonfia subito. Gli amici americani stravedono per loro - o fingono di stravedere -, e certo avere al mondiale la Norvegia invece dell'Inghilterra non sarebbe una bella cosa. E invece andrà esattamente così. A Oslo, la truppa albionica - maldiretta da Graham Taylor, che improvvisa soluzioni e strategie per rimediare strategicamente a soluzioni che improvvisamente non funzionano più - sbanda e incassa un due a zero che comporta la necessità di andare a vincere in Olanda, il prossimo 13 ottobre. Certo, come no. La stampa britannica ha capito l'antifona e asseconda gli umori dei followers: "We're so bad, it's unbelievable". Vuole la testa di Taylor, che ha scommesso tutte le sue carte su un cerebrale 3-4-1-2: "era un piano di gioco coraggioso e immaginifico, ma preparato con una sola sessione di allenamento, e mentre l'Inghilterra cercava di disporsi ordinatamente in campo, la Norvegia aveva già vinto la partita" (Joe Lovejoy, The Independent).

26 maggio

1972
Olympiastadion

Eccolo, lo stadio costruito a München per le Olimpiadi del 1972 è pronto. Qui si giocherà anche la finale della Coppa del mondo, tra due anni. E sarà questa la casa del Bayern, che si appresta a diventare uno dei più grandi club europei. Si inaugura oggi, con un Fußballspiel. E' un'amichevole, ma è Germania Ovest-Unione Sovietica. L'evento ha dunque molteplici valenze politico-simboliche. Ed è anche (ma ancora non si sa) anticipazione della finale che le due nazionali giocheranno tra meno di un mese a Bruxelles, e che varrà il titolo europeo. Nella nuova cattedrale del calcio, le omelie di Gerd Müller sono noiosamente ripetitive, ma piacciono ai fedeli. Del resto, a pregare di solito non è lui, ma il portiere che se lo vede sbucare davanti. Nel pomeriggio accade quattro volte, e non c'è nessuna indulgenza per Rudakov.


1989
History Man

Il ragazzino è nato a Lambeth nel 1967, quartiere londinese del sud-ovest, eppure nel cassetto tiene la sciarpa del Tottenham, club insediato nell'area di North London. Le prime serie pedate al pallone le tira nelle squadre giovanili dell'Arsenal (e, naturalmente, al debutto fra i 'grandi' si vedrà di fronte le maglie degli Spurs); ma poi, a ben vedere, gli anni della sua maturata carriera (quasi tutti i '90) scorrono ad Anfield, dove si vivono stagioni non indimenticabili. Non si sta parlando di un fuoriclasse. Lui è stato qualcosa di diverso: the History Man. Chissà quanti rivivono devotamente ogni giorno quella sequenza, racchiusa - come autentica reliquia - in un compact disk o in un DVD, diffusa in mille file-video su YouTube, o semplicemente custodita nella memoria di quell'emozione incancellabile. Lui, Michael Thomas, riceve palla da Alan Smith, che l'ha avuta da Lee Dixon - un preciso lancio di quaranta metri, a superare la metà campo. Thomas vince fortunosamente un rimpallo, entra in area. E' solo, incredibilmente. Indugia, forse per trovare coordinazione ed equilibrio, ma è un istante lungo abbastanza perché Bruce Grobbelar si distenda, credendo a uno shot rapido e basso. E invece un morbido tocco di esterno destro, lento e inesorabile, lo scavalca, e si deposita in rete (foto). Quando riprenderà, il gioco si protrarrà per soli altri quaranta secondi. L'Arsenal espugnava Anfield, raggiungeva il Liverpool in classifica, lo superava per la differenza prodotta da quel solo gol. La First Division di quella stagione 1988-89 non prevedeva altre partite. E lui, Michael Lauriston Thomas, fan dichiarato del Totthenam, regalava il titolo ai fieri rivali dell'Arsenal; poco più tardi, si accaserà a Liverpool, forse per aiutare la Kop a dimenticare le calde lacrime che, quella sera, molti versarono nelle fredde acque del Mersey.


1993
Le jour de gloire

L'Olympiastadion di München è il teatro scelto per la prima finale della rinnovata Champions League. Ci arrivano una neofita (l'Olympique di Marseille) e una abituée (il Milan). Tra i due club ci sono precedenti non simpatici, ma il Milan ha dominato il torneo in lungo e in largo: dieci partite, dieci vittorie, ventitré gol fatti, uno solo subito. Anche i francesi arrivano in fondo imbattuti, ma con maggiore fatica. Favoriti - noblesse oblige - i rossoneri. Naturalmente, trionfano i francesi con fortuna non pari al merito e - forse - grazie a iniezioni 'vitaminiche' confessate e impunite. Da quella sera, nessuna squadra di Francia riuscirà più nell'impresa - inutile aggiungere che mai ci era riuscita prima. Imperscrutabili, come sempre, la volontà e i disegni di Eupalla.


1999
L'irresistibile fascino del Fußball

Si disputano la coppa dalle grandi orecchie, a Camp Nou, due giganti del football europeo: United e Bayern. I tedeschi dominano in lungo e in largo. Segnano subito, poi sprecano tutto ciò che è calcisticamente possibile sprecare. Ma è possibile anche vincere con un solo gol, se si riesce a scansare la nemesi. Il che, a dire il vero, accade di rado. Collina dice: tre minuti, godiamoci ancora qualche istante di questa bella serata. "Yes Sir, grazie, noi abbiamo appena iniziato a divertirci", sospirano Teddy Sheringham e Ole Gunnar Solskjaer. In effetti erano rimasti per quasi tutta la partita ai margini, in castigo. Ferguson a un certo punto ha ritenuto che, forse, anche loro avevano il diritto di giocare un po' a pallone, in una festa così, su quel magnifico prato. Tre minuti, due palloni nell'area teutonica, due gol - uno di Sheringham e uno di Solskjaer -, e quelli del Bayern vorrebbero sprofondare nella voragine dell'oblio, ritornare bambini e poter decidere di ignorare l'irresistibile fascino del Fußball.

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1° maggio


1993
Orgoglio elvetico

Dino Baggio (foto) viene cacciato dal campo verso la fine del primo tempo, e gli azzurri guidati da Righetto Sacchi entrano in crisi. Le trasferte in Svizzera non sono mai state agevoli; questa contava parecchio, perché la strada per l'America passava dal Wankdorfstadion. Finiva con una sconfitta di misura, e il cammino si complicava, rendendo palesi i difetti strutturali di una compagine che Sacchi stava cercando di abituare a un calcio diverso da quello di una tradizione pressoché millenaria. "Animata da quella fede che permette di sollevare le montagne" (Le Matin, Losanna), la Svizzera canta orgogliosa e sogna di attraversare l'Atlantico. Si sveglierà al suono di realistici campanacci e nelle frescure dei verdi altipiani.

2005
Doppio lob

Il Barça viene a capo del derelitto Albacete, e lascia il Real a meno sei: la Liga è ampiamente ipotecata. La serata di Camp Nou è tuttavia e soprattutto illuminata da un lampo di futuro. Lionel Messi, il nuovo pibe venuto dall'Argentina, sta imparando l'arte, e ha a disposizione maestri davvero sopraffini. Così, appena subentrato a Samuel Eto'o quando la partita è agli spiccioli, riceve dal dentone un delizioso assist a scavalco, e si trova solo davanti all'arquero avversario. Per non essere da meno del suo famosissimo compagno di squadra, trasforma l'opportunità con un delicato lob. Scolpisce così per la prima volta il proprio nome negli albi ufficiali. Presto, del suo nome traboccheranno infinite le tabulae di Eupalla.

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27 aprile

1993
Volo 319

La nazionale dello Zambia è in volo verso Dakar: là è in programma la seconda gara del girone di qualificazione ai mondiali americani del 1994, contro il Senegal . L'aereo si inabissa nell'Oceano Atlantico, al largo della costa del Gabon. Periscono tutti i giocatori, e il carismatico allenatore, Godfrey Chitalu.

Fu l'incendio di un motore. E un errore del pilota.

"You stand on this desolate and memorable sacred ground, no more than a few hundred yards from Independence Stadium, the biggest stadium in the country ... There is no rain now. Nothing close. The guard says that for three months there was little security, and children would come here and play among the graves. They would take the flowers, climb on the mounds, deface the pictures. They would play soccer right here, play soccer in their bare feet, children as young as four and five years old, playing with a ball made from newspapers crammed tightly inside a paper or plastic bag, the way all children learn how to play soccer in Zambia" (Leigh Montville).
Il disastro | Leigh Montville, "Sports Illustrated", 18 ottobre 1993

28 marzo

1897
L'uomo del miracolo

Nasce, a Mannheim, Josef "Sepp" Herberger. Pare fosse un ottimo centravanti in gioventù. Dopo il fallimento della Fussballmannschaft hitleriana alle Olimpiadi berlinesi siede lui in panca, e porta i tedeschi al miracolo di Berna. Tiene il posto fino al 1964, senza più cavare un ragno dal buco. "La palla è rotonda, e perciò la direzione della partita può cambiare", usava dire. Infatti.
Cenni biografici



1940
El Negro

Nasce, a Paysandú, sulla sponda sinistra dell'Uruguay (e dunque in Uruguay), Luis Alberto Cubilla Almeida. El Negro, uno dei più grandi giocatori uruguagi dell'era moderna. In tutto il Sudamerica sono pochi quelli che tengono in bacheca più trofei di Cubilla. Titoli nazionali, a bizzeffe, da allenatore e da giocatore; coppe internazionali, idem. Lo ricordiamo soprattutto con la maglia giallo-nera del Peñarol, e con quella celeste dell'Uruguay nei mondiali del '70, quando in semifinale mise paura al Brasile facendo il gol dell'uno a zero. Senza Pelé, anche la sua storia - già grande - poteva cambiare.


1968
L'agricoltore

Si spegne, a Vercelli, Carlo Rampini. Nella Pro degli anni ruggenti, era tra i giocatori di maggior prestigio. Segnava valanghe di gol, grazie alla potenza e alla precisione balistica; si cucì sul petto nientemeno che cinque scudetti. "Un mio amico agricoltore come lui mi ha raccontato che dopo l'allenamento tornava alla sua cascina saltando un paracarro dopo l'altro" (Gianni Brera). Già: il calcio era un passatempo lussuoso per lui, che smise a soli 24 anni per occuparsi dei campi.


1993
Il ragazzo si farà

Guarda il ragazzino, sì quello della foto. Sorride. Certo che è contento. Forse oggi gioca. Sì, non tutta la partita. Entrerà nel secondo tempo, o quando deciderà zio Boskov. Difficile dire. Pensa: non ha nemmeno diciassette anni. Ha stoffa, si dice. A Roma sono sicuri: sarà un campione. Difficile dire, la sua è un'età strana. Nemmeno ancora si capisce cos'è: un centrocampista? un'ala? un centravanti? Difficile dire. Vedremo. Dicono che quando giocava con quelli più grandi, al campetto, non lo sceglievano mai al momento di fare le squadre. Dopo cinque minuti, aveva fatto qualche gol e gli altri, quelli che per ultimo tra lui e il pallone avevano preferito il pallone, pretendevano di rifare le squadre. Mah, saranno storie. Vedremo. Si chiama Francesco. Francesco Totti, sì.
Eupallog Pentavalide | Il commento radiofonico

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