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11 settembre

1949
Ritorno al Sant'Elena

Inizia la Serie A: a Venezia è ospite quel che resta del Toro, cioè nulla o quasi. Prima della partita viene scoperta una lapide in onore di Mazzola e di Loik, di Ballarin e di Petron. E' ancora difficile fare i conti senza il passato e l'atmosfera è surreale. Il pubblico veneziano incita i granata, il Venezia sbaglia un calcio di rigore. E i granata vincono la partita, uno a zero, trovando il gol a un respiro dalla fine. Espugnando cioè quel campo (foto) su cui il Grande Torino non era mai riuscito a passare.
Tabellino


1963
Paul May si è stancato di perdere

Nel tabellone degli ottavi di finale, Euro '64 propone una sfida 'interessante': Olanda-Lussemburgo. Pochi i precedenti fra le due nazionali, e tutti risolti in facili goleade arancioni. Con un un'unica eccezione, ma era il 1940, e l'XI del ducato sbancò il de Kuip con un pirotecnico cinque a quattro. Ora si fa sul serio, ma che il match sia ritenuto dai più una formalità è dimostrato dal colpo d'occhio dell'Olympisch Stadion di Amsterdam, pieno solo a metà. Ben diverso era il panorama a maggio, quando qui venne in esibizione il Brasile di Pelé, tanti quattrini (probabilmente) in cambio di una sconfitta. Insomma, uno squadrone che mette sotto i bicampeones che problemi può avere a sotterrare il Lussemburgo? Infatti passano cinque minuti e Nuninga scova il sentiero che introduce a una passeggiata di salute. Ma è esattamente in questo momento che a Paul May, attaccante dell'Association Sportive La Jeunesse d`Esch sur Alzette, cominciano a girare le scatole. Veste per la quindicesima volta la casacca lussemburghese, cinque anni di poche soddisfazioni; sì, qualche gol, ma solo sconfitte: quattordici consecutive. "E' ora di dire basta", avrà pensato tra sé e sé. Così infila il pareggio (l'azione del gol nella foto) e motiva i suoi a una strenua resistenza. Finisce uno a uno, il morale degli olandesi è sotto i tacchi, sicché in ottobre ricambieranno la visita e riusciranno nell'impresa di farsi battere e sbattere fuori dal torneo. Complimenti!

8 maggio

1898
Il protoscudetto

Mentre il brillante generale Fiorenzo Bava Beccaris riempie Milano di soldati e di cannoni, si disputa in una sola giornata il primo torneo ufficiale del calcio italiano. Partecipano la bellezza di quattro squadre; formula complessa: semifinale e finale. Si gioca a Torino, al Velodromo Umberto I. Tre compagini sono locali (due di esse, più avanti, si fonderanno nel Torino; la terza sparirà), ma a trionfare è la quarta: il Genoa Cricket and Athletic Club. Incontra in finale l'Internazionale Torino. "Viva e accanita fu la lotta d'ambo le parti. Dopo due ore di gioco le due società si trovavano ad avere un punto pari così che si dovette prolungare la partita per altri venti munuti. I genovesi, quantunque si trovassero con un bravo giocatore fuori combattimento in causa d'una caduta, riuscirono a vincere con un altro punto conquistando la coppa di campionato italiano" (La Gazzetta dello Sport). Amen. 
Storie di calcio


1949
Annuncio della nemesi

Campionato del Sudamérica. Organizza il Brasile. Otto squadre, girone all'italiana. Il cammino della Seleçao è impressionante: 9:1 all'Ecuador (3 aprile), 10:1 alla Bolivia (10 aprile), 2:1 al Cile (13 aprile), 5:0 alla Colombia (17 aprile), 7:1 al Perù (24 aprile), 5:1 all'Uruguay! (30 aprile). La coppa in tasca, una formalità l'ultima partita contro il Paraguay, che tuttavia seguiva in classifica a soli due punti, per via dell'unica sconfitta subita (con l'Uruguay: 1:2, 20 aprile). Basta il pari, ovviamente. In vantaggio alla mezz'ora, o Brasil venne raggiunto e superato nel finale: merito di Jorge Duílio Benítez Candia (foto), talentuosa mezzala cui una grave cardiopatia accorciò la carriera. Si andò quindi allo spareggio, e i presuntuosi giocolieri decisero che toccava fare sul serio: finì 7:0 (11 maggio). Eupalla fu clemente con loro; era solo un avvertimento. Un anno dopo, avevano dimenticato tutto.


1957
Il ruggito di Hampden

Non riesco a immaginare davvero quanti scozzesi possano riuscire a sedersi sulle gradinate di Hampden. I tabellini portano a volte numeri precisi, troppo precisi. Per esempio, quando si giocò Scozia - Spagna, un confronto delicatissimo in vista del mondiale svedese, pare gli spettatori fossero 88.980. Sarà il numero di biglietti venduti? Forse. Però dovevano sembrare di più. Il corrispondente da Glasgow del Corriere dello sport, in calce al tabellino, scrive che erano 120.000. Gli saranno sembrati davvero così tanti? O fece calcoli a spanne? Comunque sia, Hampden 'ruggiva'. Il famoso 'ruggito' di Hampden, sì. E ad Hampden si giocava sempre nel fango, sotto piogge torrenziali, in un pantano che chissà cosa nascondeva, un manto su cui i giocatori continentali non erano mai a loro agio, innervositi dal dover lavorare con un cuoio duro e pesante. E c'è quel ruggito tremendo, quello che spinge il centravanti del Blackpool, Mackie Mudie, a forzare le difese iberiche, segnare tre gol, ridurre la presenza del temuto Alfredo Di Stéfano a qualcosa di non particolarmente apprezzabile. La Scozia corre, travolge con energia nordica la timida compagine latina. E, di gol in gol, Hampden non cessa mai di ruggire.


1974
Game over per il vecchio Milan

Certo, visto che era riuscito ad eliminare nientemeno che il Borussia di Mönchengladbach in semifinale, si poteva ipotizzare che la finale di Coppa delle coppe al De Kuip, per il Milan, fosse tutt'altro che proibitiva. Ci era arrivata anche la migliore squadra dell'altra Germania di quegli anni, il Magdeburgo: un buon XI, ma totalmente privo di blasone e prestigio in Europa. I rossoneri non vivevano una grande stagione; invecchiamento della rosa - e facce nuove non all'altezza -, cambi continui di allenatore; in campionato, basso cabotaggio, metà classifica, e l'unica strada per non uscire dal giro delle coppe era vincere la finale. Ma fu una finale senza storia, dominata dai tedeschi. Un gol per tempo. Il ciclo avviato nell'ormai lontano 1963 era giunto al suo definitivo epilogo.


1985
Il Real conquista la città dei re

Ferenc Kovács (foto), classe 1934, fu un buon giocatore all'MTK - unico club nel quale militò, dal '54 al '65 - ma non sufficientemente bravo per impiantarsi stabilmente nella selezione nazionale d'Ungheria. A quella lunga monogamia di pedatore, subentrò una maturità libertina, quando iniziò la professione di allenatore. Certo, una carriera avviata proprio all'MTK, ma proseguita poi su tutte o quasi le panchine d'Ungheria: Vasas, Debreceni, Eger Dózsa, e soprattutto Videoton. Già, il Videoton di Székesfehérvár, la città dei Re. Un club di tradizione del tutto secondaria, con la bacheca desolatamente vuota. Nella primavera del 1985, tuttavia, ebbe una grande occasione. Alla fine di uno straordinario cammino, lasciò a piedi e deluse sulle strade della Coppa Uefa il Dukla di Praga, il Paris Saint-Germain di Paris, il Partizan di Belgrado, persino (udite udite) il Manchester United di Manchester (eh eh, la maledizione ungherese per gli inglesi), e infine il Željezničar di Sarajevo. Strepitosa cavalcata. Ma, alla fine, per alzare il santo graal, occorreva vedersela con l'avversario peggiore. Non perché invincibile. Non perché in fase di luccicante splendore. Ma perché incuteva paura a solo pronunciarne il nome. La prima partita della finale si giocò a Székesfehérvár, e rese una formalità il ritorno a Madrid. Il Real vinse facilmente, tre a zero. 

  • Vedi anche le partite dell'8 maggio in Cineteca

4 maggio

1949
Superga


"La storia attiva e passiva d'Italia è piena di date orrende: questa del 4 maggio 1949 riguarda lo sport e deve considerarsi una macabra tragedia, non immune come tutte le nostre vere tragedie da un mortificante grottesco. A Superga è perito il Torino, che giustamente venne poi ricordato come grande. Era importante, agli occhi degli italiani, come Bartali e Coppi, Nuvolari, Varzi, Ascari, Farina e Villoresi, Tenni e tutti coloro che li aiutavano a uscire dalle mortificazioni di una guerra gratuitamente perduta" (Gianni Brera).

27 marzo

1949
Applausi a Chamartín

C'è grande attesa a Madrid, e il tutto esaurito a Chamartín. L'España si misura con i campioni del mondo, nessuno vuole perdersi la sfida. Pozzo, dal canto suo, coglie l'occasione per misurare lo spessore di alcuni giovani: Becattini, Lorenzi, Amadei, tutti e tre all'esordio. Così, del Toro ne schiera 'soltanto' sei: Bacigalupo, Ballarin, Rigamonti, Castigliano, Menti e Mazzola. L'Italia vince facilmente (tre a uno). Per Valentino e i suoi compagni sono gli ultimi applausi in maglia azzurra.


1963
Giacintone

Lo spilungone che gioca sull'out di sinistra sarebbe un terzino. Ma occorre stare attenti: è fortissimo sulle palle alte, è veloce, va di frequente all'attacco. Soprattutto quando gli attaccanti non riescono a far gol (e lui ne fa, eccome): così l'ha impostato il Pepp Meazza nelle giovanili dell'Inter. Edmondo Fabbri lo porta in Turchia, retour-match di un preliminare in cartellone per il Campionato europeo. C'è da difendere un comodo sei a zero. L'Italia vince, ma delude. Giacintone Facchetti è ancora timido, ma era facile prevedere che quella maglia nessuno gliel'avrebbe sfilata per molti, moltissimi anni. "Ho vissuto con Facchetti cento e più partite in azzurro, io attaccante lui capitano. Giorni belli e meno belli ma comunque con una costante: Giacinto era una persona straordinaria, pulita, onesta. Per noi tutti era un esempio, un punto di riferimento costante, era il nostro angelo" (Gigi Riva).
Tabellino 

1976
Michel & Michel

Uno in panca, l'altro in campo. Al Parco dei principi. Di fronte i cecoslovacchi, cioè i futuri campioni d'Europa (mancano pochi mesi): ancora non lo sanno, probabilmente non osano nemmeno pensarlo. Michel Hidalgo e Michel François Platini, invece, lo diventeranno di lì a otto anni; e quella lunga cavalcata, fatta di applaudito calcio-champagne, ubriacherà la nazione portandola dove non era mai stata; nell'élite del calcio mondiale. Michel brinda all'esordio con il gol del due a zero; e pace se i cechi, prima del 90°, riescono ad acciuffare il pari.
Tabellino | Video



1999
Un torrente de goles y alegrìa

Non erano state prolifiche, le prime apparizioni di Raúl González Blanco nella Roja. Giovane asso del Real pigliatutto a cavallo dei millenni, dopo venti partite può vantare la miseria (per lui) di cinque gol. La Spagna però va bene, è lanciata verso la qualificazione all'europeo belga-olandese. Al Mestalla ospita la nazionale austriaca forse più derelitta di sempre. Umiliazione è dire poco: nove a zero. Raul si esalta, e quattro palloni finiti alle spalle del malcapitato Wohlfarth (foto) sono firmati da lui. "Un torrente de goles y alegrìa", sottolinea Mundo Deportivo.



  • Vedi anche le partite del 27 marzo in Cineteca

19 marzo

1909
La spalla di Meazza


Nasce, a Buenos Aires, Atilio José Demaría. E' forse il meno famoso dei grandi oriundi reclutati dai club italiani e poi messi a disposizione di Monsù Poss. Così, cresciuto nell'Estudiantil Porteño e passato all'Ambrosiana, gli capitò di giocare spiccioli di partita nei mondiali del '30 e del '34 con due diverse casacche. L'intesa con Meazza era ottima, il suo sinistro preciso e micidiale; insieme, vinsero parecchio. La nostalgia della Pampa, ogni tanto, lo riportava a casa. Ma tornava sempre.
Profilo



1949
Il castiga-magiari

Si spegne, a Vienna, Ferdinand Wessely. Fu grande (anzi: piccola e sgusciante) ala sinistra del Rapid Vienna nei 1920s, e visse gli anni in cui il Wunderteam stava fiorendo sotto la guida di Meisl e la stella di Sindelar. Nella rappresentativa austriaca disputò quaranta partite, segnando diciotto gol; ottima performance. In particolare, 'vedeva' bene la porta quando in campo c'era l'Ungheria: ne fece nove, ben distribuiti in dodici sfide tra il 1922 e il 1929; memorabile, sicuramente, quello del 6 maggio 1928, a Budapest, che all'ultimo istante fissò uno spettacolare 5:5.



1980
Divergenze di opinioni

Eh sì, al Mestalla è stata davvero una bella, una grande partita. Valencia contro Barcelona, Coppa delle coppe, ritorno dei quarti di finale. L'allenatore dei blaugrana non è convinto di avere meritato sconfitta ed eliminazione, e gli avversari non gli sono piaciuti granché. Assicura che, la prossima volta, il risultato sarà diverso, "dimostreremo di essere superiori". L'allenatore dei valenciani risponde per le rime: "Suppongo che ciascuno veda le cose a modo suo. Lui ha la sua opinione, io la mia". Sono nati tutti e due a Baires, ma le loro squadre sono sempre state rivali. Helenio Herrera e Alfredo Di Stéfano.
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8 marzo

1949
El Nene

Nasce, a Lima, Teófilo Juan Cubillas Arizaga. Il miglior giocatore nella storia del Perù, per universale riconoscimento. Ci ricordiamo le sue movenze felpate, sulle alture messicane nel '70, quando in una sconosciuta (per noi europei) selezione con la banda rossa trasversale regalava gol ed emozioni. Ne fece uno anche al Brasile, ma naturalmente non bastò. "Teófilo Cubillas es mi sucesor", disse Pelè. Esagerava (come spesso gli è capitato), ma non eccessivamente. Cubillas era una autentica stella del Sudamerica.
Eupallog Pentavalide


1970
L'arte del football

Il buon Saldanha sta cercando di allestire una Seleçao competitiva per il mondiale messicano. Le cose non vanno bene: pochi giorni prima, in un test-match a Porto Alegre, l'Argentina era agevolmente passata: due a zero e bordate di fischi. Rivincita al Maracanã. Pochi i cambi, ma le cose sembrano funzionare meglio. Certo, il Brasil gioca praticamente senza portiere: troppo giovane Émerson Leão, che subentra a Ado; va a farfalle e concede l'uno a uno. E allora entra in scena Pelé. Ha un pallone al limite (fotogramma), indugia con parecchia gente attorno, lo muove, lo mette sul sinistro. E cos'è quella sfera che lentamente si alza, sfiorata appena, ricadendo alle spalle del guardameta albiceleste, dolcemente depositandosi in rete? E' semplicemente arte del futbol. Poesia. Meraviglia.
Tabellino (sub data) | Highlights


1983
O banco 'e Napule

Si spegne, a La Spezia, Enrico Colombari, centromediano di grande valore negli anni '20 e '30 del secolo scorso. Il soprannome gli derivò a motivo di un trasferimento che fece epoca: dal Torino al Napoli per 265mila lire. Prima ancora, aveva giocato nel Pisa, sfiorando addirittura il tricolore. "Nell’America del Sud, regno dei giocolieri della sfera di cuoio, dove si recò in tournèe col Torino, fece colpo: fu considerato, dopo il Boemo Kada, l’uruguaiano Fernandes e l’argentino Monti, il miglior centromediano del mondo, e come mediano prima ancora di Evaristo, Andrade e Gestido" (Leonardo Sfera, Il Corriere dello Sport, 26 febbraio 1953).
Biografia | Carriera in nazionale


1989
Ecco perché i francesi non vennero in Italia nel 1990

Mo gioca ancora nel Nantes. Per pochi mesi, poi tornerà a Glasgow, in fondo è nato lì, è cresciuto nel Partick Thistle, poi è andato a Watford, poi è tornato - al Celtic -, poi se n'è riandato (a Nantes, appunto). Il problema è che, quando tornerà a casa, si accaserà nei Rangers. Il primo grande ingaggio di un cattolico da parte del club, dopo decenni. Per ora, tuttavia, nessuno ancora lo sa - nemmeno lui. E' anche perciò che Hampden Park esplode due volte, cioè ogni volta che - in fuorigioco sospetto (foto) o grazie alla confusione di Bats - il piccolo Johnston punisce i francesi, i quali è difficile che ora siano disposti a stipendiarlo ancora. La Tartan Army verrà ai mondiali italiani, i nostri confinanti galletti  (proprio a causa di questa sconfitta) no. C'est la vie.