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6 febbraio

6 febbraio 1958, Monaco di Baviera
Football loses one of the finest teams ever assembled



"It was a fantastic group of young men who were destined to be great
and that was the tragedy in how it was taken away from them."
Alex Ferguson, 6 febbraio 2013, The Guardian

5 febbraio

1910
El Cañoncito


Nasce, a La Plata, Francisco Antonio Varallo. Camperà cent'anni, il tempo necessario per vedere il suo record di gol nel Boca finalmente superato - accadde solo nel 2008. Raccolse vari titoli con  Los Xeneizes, e il campionato sudamericano del 1937 con la Selecciòn. "Y será muy justo que los hinchas del fútbol, cualquiera sean sus colores, sepan que usted honra a este deporte, a este juego y a esta pasión" (Julio Grondona).

1950
Le cose a lungo desiderate

Quarta di ritorno, la Juve ospita il Milan da capolista. I rossoneri inseguono a tre punti. Finisce sette a uno - per il Milan: tre gol Nordahl (nella foto), uno Gren, uno Liddas. "Vecchio diavolo d'un Milan. Così largamente ha vinto da guastare un tantino anche il sapore della vittoria, che clamorosa sarebbe stata in ogni caso, ed ora ha il gusto un po' marrano delle cose a lungo desiderate e poi troppo abbondevoli" (Gianni Brera).






1958
Last game


Non era del tutto rassicurante il due a uno rimediato a Old Trafford. Giocare a Belgrado, poi, non è mai facile per nessuno. Perciò i ragazzi di Matt Busby fanno un primo tempo a tutta birra: la Crvena zvezda è annientata, il pubblico ammutolito. Tre a zero, forse non vale nemmeno la pena di tornare in campo. Almeno non con la testa. I Babes si fanno raggiungere, ma poco conta. Per alcuni di loro la semifinale di Coppa dei campioni resterà l'ultimo traguardo raggiunto di un'esistenza eccessivamente breve.


1975
Una storia in un gol

E' una Roja senza stelle e senza risultati, quella che al Luís Casanova di Valencia affronta la Tartan Army in un match del girone che qualifica alla fase calda del Campionato d'Europa. Certo, aveva espugnato Hampden Park a novembre, ma gli scozzesi hanno sete di rivincita. Il morso dello squalo (Joe Jordan) è quasi letale, ma viene restituito dall'esordiente e pressoché sconosciuto Alfredo Megido Sánchez (nella foto). Un'apparizione, un gol: la sua storia è tutta qui.

1986
L'eccezione che conferma la regola


La regola vuole che fra Italia e Germania di solito vinca l'Italia. E' quel che succede nelle partite che contano davvero: finali e semifinali di campionati del mondo e d'Europa. L'eccezione riguarda le partite che non contano nulla. Così, al Partenio di Avellino, i tedeschi arano amichevolmente il campo di patate e riportano una vittoria esterna che mancava loro dal 1929. Bearzot (nella foto) non si preoccupa particolarmente, ma la sua truppa è logora, e i 'nuovi' hanno bisogno di tempo per farsi le ossa.
Tabellino | Highlights


  • Vedi anche Le partite del 5 febbraio in Cineteca

23 gennaio

1958
La vendetta si serve calda

Quattro giorni prima, per la 18ma di Priméra Division, il Sevilla (ultimo in classifica) aveva ospitato e battuto senza discussione i Blancos (3-2, grande sorpresa). Lo schiaffo è doloroso, ma la possibilità di restituirlo con gli interessi è immediata. L'andata dei quarti di Coppa dei Campioni si gioca al Bernabéu: dal sorteggio è messo in tabellone un accoppiamento 'incestuoso'. Ma non c'è fratellanza tra i due XI, e quelli del Madrid sono assatanati. Lo è, in particolare, Alfredo Di Stéfano. Ne segna quattro, e il Sevilla abbandona eventuali sogni di gloria in Europa.
Cineteca


1985
Staffetta tra i pali

Nel tepore invernale di Alicante, la Roja ospita in amichevole la nazionale finlandese. Va ben preparata una delicatissima sfida con la Scozia - il rischio di non andare in Messico è alto, dopo la batosta subita ad Hampden Park a novembre '84. Arconada, capitano di lungo corso, comincia a mostrare segni di logoramento. Così, nel secondo tempo, dagli spogliatoi sbuca al suo posto Zubizarreta, portiere della Real Sociedad. Sbucherà dagli spogliatoi di tutti gli stadi del mondo, con quella maglia, fino al 1998. Farà il record di presenze, battuto solo dal suo (non immediato) successore: Iker Casillas.


1992
Pelé vuole il regno dell'Africa

Naturalmente non si tratta di Edson Arantes, ma del ghanese Abedi Ayew, noto però al mondo col nome di Abedi e il soprannome di Pelé. I suoi anni migliori vanno dal 1991 al 1993. E' il miglior giocatore del continente nel '91, è titolare del Marsiglia nel '93 (quando l'OM fa sparire la Coppa dei campioni sotto il naso dell'imbattuto Milan), e in mezzo, nel '92 e a suon di gol, trascina la sua nazionale fino all'ultimo atto della Coppa d'Africa. Nella semifinale, contro la temibilissima Nigeria, il Ghana è sotto di un gol: Pelé avvia la riscossa e trascina i compagni in una finale attesa da dieci anni.

15 gennaio

1950
Figurina storica

A Firenze si presenta la Juventus. Pari e patta, nemmeno un gol. Un rigore discutibile assegnato alla Fiorentina nel finale: sbagliato. Il solo gesto degno di nota diventa una figurina storica. Parola, nella difesa della Juventus, giganteggia. Un gesto che ai cronisti non poteva sfuggire: "In questo atleta intelligente e combattivo non sappiamo se ammirare più la perfezione della tecnica o la calma dei nervi. Ieri gli abbiamo visto fare una rovesciata a un metro dalla sua rete per cui si è guadagnato un irresistibile applauso a scena aperta" (Ciro Verratti). Un gesto che rimase impresso nella memoria collettiva, immagine di un'epoca. "Parola esegue la sua rovesciata per tutti gli umili e diseredati, disegna l'illusione con la sua acrobazia meditata; la sua rovesciata, in Italia, contende alla pizza napoletana il primato della popolarità" (Vladimiro Caminiti). 
Tabellino


1958
La resa di Belfast

Erano tempi in cui un calciatore irlandese che militasse in un club inglese, se era convocato in nazionale, partiva il giorno stesso della partita. La nebbia, tuttavia, impedì qualsiasi forma di traffico nel cielo del Regno Unito, quel 15 gennaio del 1958; e così, il grande portiere del Manchester United, Henry Gregg, vide la partita soltanto in televisione. L'Italia, invece, potè calare sul campo un bel poker d'assi (fra i quali due ex campioni del mondo 'naturalizzati', Schiaffino e Ghiggia: nel fotogramma la 'carta Ghiggia'). Nonostante ciò, non riuscì a strappare almeno un pareggio; una sconfitta (due a uno) che costava la partecipazione azzurra ai mondiali di Svezia. Ghiggia, anzi, si faceva espellere, lasciando la squadra in dieci mentre era avviata la rimonta. Gli irlandesi giocano tutti in club inglesi e scozzesi, hanno ritmo e tensione agonistica che l'italia non è in grado di reggere. Pagina nera.

22 ottobre

1958
Alla festa di compleanno il festeggiato è assente

A Wembley lo attendevano in centomila, e lui non si presentò. Vai a sapere, avrà preferito festeggiare il compleanno giocando a hockey da qualche parte. Al posto di Lev Jašin tra i pali sovietici c'è la sua controfigura, la sua riserva nella Dinamo di Mosca, il suo garzone - per quanto quasi coetaneo -, Vladimir Belyaev. E' solo un test-match, ma in estate gli inglesi avevano buscato proprio dai rossi in Svezia, e ormai (perdendo di frequente) hanno mille rivincite in agenda. Un bel lavoro da sbrigare. E oggi lo sbrigano brillantemente, cinque a zero, e il pallone andatelo a cercare tra le cose lasciate da John Norman Haynes (foto), allora inside-forward del Fulham, uno che lo sapeva passare così bene da impressionare Pelé. E' stata la sua grande giornata, coi Cottagers non ha mai vinto niente, si è almeno e appunto tenuto quel bel pallone, e peccato che quei gol non li abbia fatti al ragno nero. Potevano valere qualcosa di più.
Tabellino | Video (British Pathé)

1° ottobre

1958
L'umiliazione del Praterstadion

Monsù Poss si reca sempre volentieri a Vienna. Tanti amici, belle partite. Vinte, perse. Pochi rimpianti, da commissario unico. Anzi. Da cronista, raggiunge per l'ennesima volta il Praterstadion: dovrà scrivere su Wiener-Juventus, gara di ritorno del primo turno di Coppa dei campioni. Benché attrezzati di un buon vantaggio conseguito al Comunale (tre a uno), i bianconeri si offrono inermi agli austriaci, lasciandosi travolgere da un inesorabile quanto imprevedibile, sconcertante e memorabile sette a zero. Monsù è esterrefatto: "un rovescio di questa misura e di questa natura da anni una squadra italiana più non lo subiva all'estero. Uno degli spettacoli più dolorosi di queste ultime esperienze nostre". Ma cos'è successo? Calma. Meglio "fermarsi un momentino, grattarsi la pera e pensarci su prima di partire in considerazioni che in un senso o nell'altro possono poi a ragion veduta apparire avventate". Dovevamo immaginarlo: la penna e la prosa di Pozzo si inceppano, quando hanno a che fare con situazioni incresciose. Dunque, Monsù, fuori il rospo: era così forte il Wiener Sport-Club? Certo, come avversario "il più scorbutico che possa capitare fra i piedi". D'accordo, ma il calcio austriaco (come quello italiano, d'altra parte) non era in crisi? Certo, ma "al cospetto nostro alza ogni volta la testa in atteggiamento di grande fierezza". D'accordo, ci sono i trascorsi che ci sono. E la Juve? La Juve "è stata battuta in tutti quanti i dipartimenti e sotto tutti quanti gli aspetti del gioco". Ah, i dipartimenti: boh! Per caso ci sono stati errori nella scelta degli undici messi in campo? Certo, "la formazione della compagine che è stata mandata in campo - conoscendo le condizioni fisiche o morali dei singoli giocatori - noi non l'abbiamo capita". E cosa c'era di sbagliato nella formazione? Monsù è stanco, si è fatto tardi. Per un'accurata analisi, deve pensarci ancora un po' su.
Cineteca

26 settembre

Il giorno del mio compleanno

Sono nato il 26 settembre 1958, lo stesso giorno di Kenneth Graham Sansom (foto), grande terzino dell'Arsenal e della nazionale di Albione. Ma sono nato a Milano, non a Londra, e così nella tenera infanzia fui rallegrato dal dominio calcistico delle squadre della mia città. Del resto, il giorno del mio quarto compleanno (26 settembre 1962) il Real Madrid usciva dalla Coppa dei Campioni per mano dell'Anderlecht [highlights], sgombrando al Milan il cammino nella competizione: evviva! Esattamente due anni dopo, qualche giorno prima di iniziare la scuola elementare,  trepidavo davanti al televisore quando, al Bernabéu, l'Inter riuscì finalmente ad avere la meglio sull'Independiente, nella finale di spareggio della Coppa intercontinentale [Cineteca]: che bellezza! Un anno ancora, sulla mia torta le candeline erano sette e Franz Beckenbauer esordiva con la maglia della Nationalmannschaft, ne apprezzai intuitivamente il talento e lo stile, così come annotai ex post il fatto che in quella stessa partita corricchiava ancora con la maglia gialla della Svezia una grande ala destra, Kurt Hamrin, che di lì a poco sarebbe andato a giocare nel Milan; era la sua ultima presenza in nazionale [highlights]. Poi? Poi non so. Che Eupalla disinceppi la mia memoria, se possibile.

Mans

24 settembre

1939
Il Professore

L'Ungheria filo-nazista ospita la rappresentativa del Reich, che nel 1939 ha già propagandisticamente giocato un considerevole numero di partite, tutte prive di vero significato agonistico. I magiari sono in giornata di vena, e lo è soprattutto Gyula Abel Zsengellér, implacabile cannoniere dell'Ujpest. Conosce parecchie lingue, perciò lo chiameranno - in Italia, quando verrà a spendere gli ultimi spiccioli di una gloriosa carriera - 'Il Professore', e dunque avrà senz'altro compreso e replicato come si deve ai discorsi dei difensori austro-tedeschi, tant'è che mise a segno una tripletta. Gli capitava spesso, di infierire sugli avversari; o taceva, o era assalito da una formidabile logorrea del gol. Per la cronaca, finì cinque a uno, e si può immaginare quanta fatica nel rapporto alle autorità debba aver sprecato il buon Sepp Herberger per giustificare l'indolenza pedatoria dei suoi.
Tabellino

1958
La dote della Signora

Anche la Juventus può assaggiare la Coppa dei campioni; al Comunale, gremito, ospita gli austriaci del Wiener Sport-Club. Partita facile? Sembra, visto che in capo a due minuti Sivori apre le danze. Ma i bianconeri faticano, cadono migliaia di volte nelle trappole del fuorigioco seminate qua e là dagli avversari, subiscono il pari, poi altre due leziose ma efficaci giocate del Cabezòn restituiscono entusiasmo al pubblico e prospettive al cammino europeo. La critica, tuttavia, non è appagata: né dal risultato, né dal gioco. Monsù Poss fa gli scongiuri - reputa poco rassicuranti i due gol di vantaggio, in vista del retour-match. Suvvia, può la Juve di Boniperti Sivori (foto) e Charles temere una trasferta a Vienna in queste condizioni? Potrà scialacquare la dote costituita da un buon tre a uno? Vedremo, manca solo una settimana.

29 giugno

1950
Frankie voleva giocare a baseball

"I britannici, consci della loro superiorità tecnica, hanno dormito troppo fra gli allori ed hanno sottovalutato l'importanza dell'incontro. Hanno incassato senza batter ciglio la rete statunitense, senza scomporsi hanno tentato di rimontare lo svantaggio e, senza perdere mai la calma, hanno perso la partita" (Monsù Poss). Accadde nel primo torneo mondiale cui l'Inghilterra si degnò di partecipare. Spezzate le ossa al Cile nello storico match d'esordio, pagò il tremendo sforzo con l'amatoriale truppa americana. Non è vero che nelle redazioni dei giornali inglesi, quando fu telegrafato l’esito della partita, si pensò a un errore, e dunque non corrisponde a verità quanto spesso si legge, e cioè che annunciarono la vittoria dei Leoni col risultato di dieci a uno. Frank Borghi (foto) chiuse la saracinesca, e difese l'unico gol della partita, segnato per gli Stati Uniti dall'haitiano Joe Gaetjens. A proposito di Frankie. Gli sarebbe piaciuto diventare un grande giocatore di baseball, ma non ebbe fortuna. Decise allora di darsi allo sport meno popolare negli States: il soccer. Non aveva la minima idea di come si calciasse la sfera. Un pedatore meno che modesto, anche per i canoni del suo paese. Allora lo misero in porta - come sempre capita a quelli scarsi, si dice -, e giocò qualche partita nella selezione degli Stati Uniti. Di mestiere, però, faceva l'autista. In un'agenzia di pompe funebri. Nessuna battuta: sarebbe poco divertente e molto scontata.


1958
Questa maliarda e girovaga Coppa

Fu (e resterà) l'unica volta che il team della nazione ospitante perse in finale la coppa del mondo, perché quella del 1950 non era una vera e propria finale. A differenza di quel che accadde a Rio, qui non fu una tragedia. Anzi. Ragazzini dalla biondissima zazzera, e dunque sicuramente indigeni, dopo la partita, irruppero tumultuosamente nello spogliatoio dei brasiliani per fare incetta di autografi. L'autobus dei nuovi campioni percorse a tetto scoperto le vie di Stoccolma seguito da un corteo di auto strombazzanti. Naturalmente, si possono soltanto immaginare le sarabande che, nelle medesime ore, venivano organizzate da Copacabana a Sao Paulo. Anche Monsù Poss potè partecipare alla festa, invitato da Feola. "Rividi la Coppa che avevo tenuto per qualche giorno sul mio tavolo vent'anni prima. Le diedi un memore e nostalgico bacio di addio prima che essa varchi, dopodomani, l'Oceano nelle mani dei suoi nuovi padroni. Ne valeva la pena. Non siamo tanto sicuri di rivederla ancora, questa maliarda e girovaga Coppa".


1986
La corsa a perdifiato del Burru

La mossa del Kaiser sembra intelligente. Piazzare il terribile Lotario in marcatura fissa sul Pibe. Lotario è un bull-dog, è veloce, reattivo, capisce il gioco. Se il Pibe è messo in condizioni di nuocere poco, o di non nuocere affatto, i tedeschi vincono sicuramente la partita. Infatti, tolto Lui, gli altri cosa sono? Poeti e ronzini. Solo che, senza Lotario, il centrocampo della Germania è in balìa della propria assoluta pochezza. Quindi il Kaiser ha commesso un errore. Anche Bilardo. Carlos Bilardo - uno per il quale i giocatori si sostituiscono solo da morti - tiene in campo Brown, spalla fuori uso e braccio al collo (come Franz, sempre all'Azteca, nel '70), nell'ultima mezz'ora. Anche per questo i tedeschi rimontano due gol in pochi minuti. Ma non riprendono fiato, in attesa dei supplementari. I caratteri originali della natio producono altri immediati e dissennati arrembaggi. Beckenbauer urla, ma nessuno lo sta a sentire. Così, nell'unica artistica intuizione del pomeriggio, Diego spedisce Burruchaga nella prateria infinita che si stende davanti a Schumacher. El Burru si dispone in apnea, corre più veloce che può, e nessuno riesce a raggiungerlo fino a che, ormai in agonia, riesce a indirizzare il pallone sull'angolo più lontano. Tre a due, e coppa del mondo che torna in Argentina. Il vecchio Franz, quando ci ripensa, si mangia il fegato.


2000
A testa alta sulle barricate

D'accordo, non sei uno specialista. Ma tocca a te. Vai sul dischetto, posizioni la sfera, prendi la rincorsa. L'hai fatto apposta a spedire il pallone fuori dallo stadio? Certo che no. Infatti la colpa non è tua. La colpa è dell'allenatore. Il mite Frankie Rijkaard accusa se stesso prima che lo facciano gli altri, e rassegna le dimissioni. Gli olandesi sono dei poveri cristi, spossati e prostrati. Hanno giocato in undici contro dieci per più di un'ora e mezza. Hanno tirato in porta migliaia di volte, e poi hanno sbagliato una quantità impressionante di calci di rigore. Chiaro che, se sprechi tutto ciò che è possibile sprecare, la nemesi è in agguato e perdi la partita. Così, oggi i giornali italiani cantano le lodi del calcio all'italiana. Resistenza eroica, Nesta e Cannavaro a testa alta sulle barricate. Certo, abbiamo vinto immeritatamente. E' il nostro modo. Non siamo nati per dare spettacolo, bensì per impedire ai nostri avversari di divertirsi giocando a pallone - il che può essere molto spettacolare, secondo taluni. E' per questo che ci detestano, anche se - sotto sotto - ammirano la nostra praticità.  "Non c'è tanto da stare a discutere se il calcio degli italiani è bello o no: finché vince ha ragione", taglia corto Thierry Henry, il nostro prossimo avversario.


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15 giugno

1958
The greatest three minutes of football ever played

Gabriel Hanot disse che bisognerebbe rivedere bene e molte volte i tre minuti iniziali di questa partita: sono i più grandi mai giocati da una squadra nella storia del football. Purtroppo non possiamo goderne che alcuni frammenti, ma tant'è. Fidiamoci. Tutte le cronache del giorno dopo decantavano la meravigliosa benché compiaciuta prestazione dei futuri campioni del mondo; Jašin vide le streghe, ma tutto sommato ne incassò solamente due - entrambi da Edvaldo Izídio Neto, alias Vavà (foto): il primo su geniale verticalizzazione di Valdir Pereira, alias Didi. Dal canto suo, Garrincha (alias Garrincha) nascose il pallone e fece girare la testa per novanta minuti a Boris Kuznetsov, terzino sinistro della Dinamo Mosca. Inoltre qui, all'Ullevi di Göteborg, disputò la sua prima partita in una coppa del mondo il diciassettenne Edson Arantes do Nascimento, alias Pelé. Una mezzala sinistra coi fiocchi.
Cineteca

1974
Allenamento ad Hannover

Allenamento dell'Arancia meccanica ad Hannover. Con due punti in palio, sì. Contro l'Uruguay, embè? Infatti, sono le vecchie glorie dell'Uruguay. Certo, Mazurkiewicz è sempre lui, compie una dozzina di miracoli, ma i leggendari portieri sentono meno degli altri il peso degli anni. Gioca ancora Pedro Rocha? Gioca ancora Cubilla? Sì, è lui (foto), è quello che "somiglia ad un bue" (e "la differenza sta soltanto nei baffi e nel fatto che si fa sballottare come un sacco di patate"). Lenti e impacciati, i sudamericani incarogniscono e randellano alla cieca, dal primo minuto al novantesimo. Cruijff si esercita nell'arte di scansare lo scansabile, l'arbitro in quella di tollerare l'intollerabile, lesinando i cartellini e mostrando il rosso solo a Montero Castillo ("forse per il suo nome da torero"). Come che sia: anche l'Olanda ha fatto il suo esordio qui alla Fußball-Weltmeisterschaft. Senza battere ciglio; due gollettini di Johnny Rep, ordinaria amministrazione. Non batte ciglio nemmeno Roberto Porta, entrenador della Celeste: "Se qualcuno è rimasto deluso dalla nostra prestazione, non so che cosa farci. Noi abbiamo sempre giocato così, anche quando vincemmo due titoli". Sarà.
Cineteca | Virgolettati da La Stampa del 16 giugno


1986
Il portiere che non intuiva i movimenti dei compagni

Di solito, se il tuo centravanti ne insacca tre e poi vince il pallone d'oro, ne trai qualche vantaggio: vinci le partite e anche il campionato. A te invece, caro Valeriy, girano tutte storte. Il bravo Igor Belanov (foto) cala il tris, ma quelli finiti alle spalle del tuo portiere sono quattro. I conti non ti tornano? Proprio a te, che del football hai scientificamente studiato ogni particolare, ogni minimo dettaglio, ogni possibile situazione di gioco? Ah, ecco perché. Il portiere è uno dei pochi che non hai prelevato dalla tua Dinamo, e dunque non può essere così abituato ai tuoi schemi. Non conoscendoli bene, si trova in grave imbarazzo, non segue i movimenti dei difensori, non intuisce in anticipo l'istante in cui uno di loro andrà a farfalle, distratto dalla necessità di eseguire il movimento perfetto - soprattutto quando avrebbe lo scopo di mettere l'avversario in posizione dei fuorigioco, cosa che (dovresti saperlo) contro i belgi non è consigliabile, essendo loro maestri massimi nella disciplina. Oggi è capitato quattro volte, e non si dica che Rinat Dasaev è un ronzino. Quattro buchi, quattro a tre, e la Dinamo travestita da Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche abbandona il México già agli ottavi di finale. Povero Igor, tanto prodigarsi per nulla: "se rigiochiamo dieci volte, vinciamo sempre noi. Ma sono discorsi inutili, come i miei gol. E' triste andarsene così". Molto triste.


1988
Il primo canto del cigno

La stagione non era stata granché, soprattutto per via di un guaio al suo tallone d'Achille, la caviglia destra, che lo tenne fuori per mesi. Aveva guardato i suoi dalla panca per un'ora nella prima del girone, che proponeva lo scontro titanico fra i due più grandi maestri di football allora viventi: Michels e Lobanovski. L'ucraino ne aveva schierati otto della Dinamo Kiev e uno tra i meno noti (ma non perciò tra i meno bravi), Vasiliy Karlovich Rats, aveva risolto la partita. Tre giorni dopo, Marco Van Basten è nell'undici di partenza. Di fronte c'è l'Inghilterra, reduce da un'impresa che le mancava dal 1949: perdere con i Dubliners - e naturalmente, di conseguenza, rischiando l'immediata rimozione dal torneo. Ma avevano alle spalle un bel mundial, gli albionici, e ne erano usciti solo per mano de Dios. E ora, contro l'Olanda, il loro famoso e quasi quarantenne portierone, Peter 'Leslie' Shilton (quello che stava tra i pali del Nottingham Forest, negli anni dorati della contea), avrebbe messo in guardaroba il suo centesimo capnella Hall of Fame dell'erigendo National Football Museum, a Deepdale, stavano già progettando uno spazio per lui vicino ai due famosi Bobbies del '66, sino ad allora gli unici centenari del Regno. Insomma un avvenimento, una di quelle giornate che nessuna persona di buon cuore vorrebbe guastare. Noto per la sua insensibilità, Rinus Michels affidò a Marco il compito di rovinare la festa. E il cigno esplose in tutta la sua letale bellezza: lasciò a Shilton il cappello, ma si portò a casa il pallone secondo l'usanza tipicamente inglese, prevista per chi alla fine dei 90' lo ha insaccato tre volte. "I had no intention of allowing Gullit and Van Basten to rip holes in us the way they had in Dusseldorf", dirà Bobby Robson nell'autobiografia. Qualcuno, evidentemente, sospettava il contrario.

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11 giugno

1958
L'impatto fatale

Vola il pallone di cuoio sopra le teste dei giocatori, nell'area dei cechi. Il momento è importante, e anche la partita, perché chi perde fa le valigie e torna a casa. Il che sarebbe uno scorno per i tedeschi, ai quali piacerebbe moltissimo confermarsi campioni del mondo, in barba alle grandi potenze atlantiche e socialiste, che nei trattati di pace dimenticarono di inibire loro il gioco del pallone. Per oggi sarebbe sufficiente sconfiggere la Cecoslovacchia, che però non è disponibile al sacrificio, sfrutta l'arma tipica di coloro che vengono stretti d'assedio - il contropiede - e va a riprendere fiato negli spogliatoi in vantaggio di due gol. L'assedio prosegue, e siamo appunto al momento (intorno al quarto d'ora dalla ripresa del gioco) in cui il pallone è lassù, sopra le teste dei giocatori, vola spinto di testa in testa, e molti si chiedono cosa stia aspettando Břetislav Dolejší, estremo difensore slovacco: deve uscire, deve interrompere quelle pericolose giravolte. Ecco che il pallone viene verso di lui. Ma verso di lui piomba anche Hans Schäfer (foto), potente attaccante teutonico. Břetislav acchiappa la sfera, ma simultaneo è l'impatto con Schäfer: portiere e pallone finiscono in rete. Due a uno. Il destino della partita è segnato, e sarà il piedone di Uwe Seeler a fissare il pareggio e tenere viva nel suo paese la speranza di un altro miracolo.
Cineteca


1969
Una carriera (e una coppa) in tre gol

Don Revie guidava il Leeds United, da qualche anno; era un allenatore di successo, e fece vivere ai Peacocks stagioni di avanguardia. Anche in Europa. Aveva parecchia fiducia nei suoi: tant'è vero che, quando sul finire dell'inverno gli ungheresi dell'Ujpest li buttarono fuori dalla Coppa fieristica senza faticare più di tanto, lui si convinse che doveva per forza trattarsi di uno squadrone per chiunque inarrivabile (o quasi). E difatti i magiari cavalcarono sino alla finale, dove il tabellone fissò per loro l'appuntamento con un altro undici albionico: il Newcastle United. Don Revie sentenziò: "solo se potessero schierare tutti insieme George Best, Bobby Charlton e Billy Bremmer, i Magpies avrebbero qualche chance". Esagerato. Di fatto, fu sufficiente schierare Bobby Moncur (skipper del Newcastle: foto), scozzese come Bremner (skipper del Leeds), ma le cose del calcio vanno sempre esaminate nel dettaglio. E il dettaglio è che, in tutta la sua carriera (dodici stagioni nel Newcastle - a partire dal 1962 -, centinaia di partite), Bobby Moncur (difensore centrale di ruolo) fece solo tre gol. Tutti e tre ad Antal Szentmihályi, che era il portiere dell'Ujpest: segnò i primi due della gara d'andata (finita 3 a 0), segnò il primo dei suoi nella gara di ritorno (una splendida girata a volo di sinistro nel cuore dell'area intasata), che si stava mettendo assai male. Così il Newcastle alzò il suo primo trofeo continentale. Primo e ultimo, va da sé.

1970
Ove si narra di come Israele non fu una seconda Corea

Alla Bombonera di Toluca, l'Italia non riesce a superare un gruppo di dilettanti israeliani vestiti da calciatori. Gli azzurri, avendo paura di perdere (sarebbe stata un'altra Corea), schiumano rabbia per novanta minuti. Sbagliano l'inenarrabile. Pagano errori dell'arbitro e soprattutto di un "guardalinee abissino" (e perciò tutt'altro che ben disposto a regalarci alcunché, scrisse Giovanni Arpino tra una riga e l'altra). Sicché verso la fine "deve salvarci Albertosi [figurina] da quella che sarebbe una beffa grottesca. La casse à épargne ha funzionato ancora. Siamo primi del nostro gruppo con quattro punti e un miracoloso golletto. Sarà micragna ma, tutto sommato, viva! Da quanti mondiali non si aveva il bene di passare il turno?" (Brera). Ce la vedremo nei quarti col México: "notte per notte aumenta la sua pazzia tifosa, le avenidas sono ingombre e decine di migliaia di automobili strepitano come un maremoto. Usciremo vivi da questa febbre?" (Arpino).
Cineteca

1984
Ce soir au Parc des Princes

Il momento è arrivato anche per loro. Poco meno di mezzo secolo dopo  la coppa del mondo  - organizzata quando in Europa si sentiva puzza di bruciato, e dalla quale li eliminò una squadra di italiani obbligati a salutare la folla col saluto romano -, i francesi fanno la coda del pavone e ospitano la rassegna continentale col ruolo di favoriti. Les Italiens sono rimasti a casa (affari loro), e puranco les Anglaises (peccato: sarebbe stato bello costringerli a un bagno nella Senna). Ci sono gli alamanni, e bisognerà stare attenti. Ma in cartellone c'è una sola star: Michel Platini. Cari amici, si apre la favolosa sagra del calcio-champagne, calcio da leccarsi i baffi. Stasera, al Parc des Princes, gran galà, overture, sono invitate anche le signore. "Excuse-moi, monsieur: qui jouera ce soir contre la France?" Mesdames et mossieurs, ultimi biglietti, solo diecimila franchi per vedere il primo gol di roi Michel al Championnat d'Europe de football. Prima della partita, è previsto che Platini salga per alcuni istanti nel palco delle autorità, per una rapida prova di sollevamento de la coupe (foto). Non mancate: ce soir au Parc des Princes, rue du Commandant Guilbaud, XVIe arrondissement.


1986
Quando Lineker è in giornata

La testa di Bobby Robson è ancora attaccata al collo; cosa deve succedere perché ne venga definitivamente per quanto metaforicamente separata? Semplice: è sufficiente che oggi, all'Universitario di San Nicolás de los Garza, l'Inghilterra non batta la Polonia, e che il Portogallo non vinca col Marocco. Eh eh eh. Qualcuno è disposto a scommettere un penny sulla testa di Bobby Robson? Ovviamente no. I terrificanti Leoni in 180 minuti non sono riusciti a perforare nemmeno una volta le difese avversarie. Zero gol al Portogallo, zero al Marocco. Un disastro? Molto, molto peggio. Beh, si dirà: in fondo non è che siano abituati a dominare competizioni e partite. Anzi. Vediamo quel che succede. Intanto, nella Polonia non gioca più Tomaszewski, certo è una buona notizia. Gioca, invece, Gary Lineker (foto). Anzi, gioca solo lui. Ma quando gli capitano giornate così, è una grandinata di gol. Ne segna tre in mezz'ora, e poi si sdraia dietro la porta dei polacchi ad aspettare notizie da Guadalajara. A Guadalajara - già - i portoghesi - che maleducati! - invece di giocare aspettano notizie dalla partita di San Nicolás de los Garza, e così il Marocco li castiga: tre a uno, bye bye Lusitania. 


  • Vedi anche le partite dell'11 giugno in Cineteca

8 giugno

1958
Justo

Sembra che la Francia abbia portato qui al nord una squadra di calcio. Fondata sul blocco dello Stade de Reims, club tra i migliori d'Europa sullo scorcio dei 1950s. E con due campioni veri: Raymond Kopa e Just Fontaine. Il Paraguay li sottovaluta, va in vantaggio ma poi viene sotterrato da una montagna di gol (sette a tre). Proprio lui, Just Fontaine, dopo mezz'ora è già in doppietta, e ha tutto il tempo per segnare anche il terzo e portarsi a casa il pallone - è esattamente quel che farà. Come dicono le statistiche ritualmente spolverate ogni quattro anni, in questa edizione della Coppa del mondo Fontaine segnerà tredici reti: record ineguagliato, e difficilmente eguagliabile. Una carriera breve ma intensa, la sua: solo ventuno presenze nei Bleus, ma ben trenta gol (performance strabiliante). Con lo Stade, centoventuno gol in centoventisette partite distribuite su sei stagioni, fra il 1956 e il 1962. Non vincerà mai il pallone d'oro, a differenza di Kopa (cui fu assegnato proprio nel 1958). Lui era nato a Marrakesh, mentre Kopa era figlio di immigrati polacchi. I francesi, allora, preferivano Kopa. Solo nel 2004, per sgravarsi dai sensi di colpa e riscrivere in forma politicamente corretta la propria storia calcistica, designarono Just Fontaine miglior giocatore francese dell'ultimo mezzo secolo. Già: e roi Michel? Il miglior giocatore (senza specificazioni di nazionalità) a partire dall'età del bronzo. Excusez-moi!
Francia-Paraguay: cineteca | I 13 gol di Fontaine nel torneo



1958
Göteborg

Nel tardo pomeriggio il sole è ancora alto su Göteborg, tersa e fresca è l'atmosfera dell'Ullevi Stadion quando i pedatori di Unione Sovietica e Inghilterra entrano trotterellando sul verde, magnifico prato. Una sfida affascinante, tra i campioni olimpici e i campioni (in coabitazione con l'Irlanda) della British Home Championship. Per Monsù Poss, "senza l'intervento della sorte avrebbe potuto essere una finalissima"; dunque, "al gran caravanserraglio dello sport moderno che è quello della palla rotonda" queste nazionali si presentano con la smorfia dell'ammazzasette. Il match è fortemente squilibrato, dominato a lungo dai rossi, imprendibili per i vecchietti che Winterbottom ha schierato, soprattutto per Finney e Wright.
Dopo indicibili sprechi, però, sono avanti di soli due gol, e gli umori albionici potrebbero rianimarsi da un momento all'altro, se la distanza si accorcia. E' quel che accade. Sicché l'ultimo tratto di partita è una battaglia, Jašin viene ripetutamente caricato dagli avanti inglesi, ed ecco perché, quando a un sospiro dalla fine l'arbitro assegna un giusto rigore all'Inghilterra, il grande portiere lo afferra e lo scuota, gettandogli in faccia il suo famoso berretto. Il referee non fa una piega. Tom Finney, giustiziere della regina e portabandiera dell'occidente, va sul dischetto (foto).
Cineteca
[Da Michele Ansani, Lenta può essere l'orbita della sfera, pp. 79-80]

19 aprile

1958
Il battesimo di Bobby ...

Due mesi dopo il disastro di Monaco, l'Inghilterra va a Glasgow per l'ultimo match della British Championship. Non ci sono più Roger William Byrne, Duncan Edwards, Tommy Taylor, giovani sfortunati assi dello United, che stabilmente vestivano la casacca albionica. In compenso, Winterbottom fa esordire un altro dei Busby Babes, quello che di tutti diventerà e resterà il più famoso. Non ha ancora vent'anni, si chiama Robert Charlton. Gli inglesi espugnano Hampden Park, è un netto quattro a zero, e Bobby onora il battesimo come si deve, entrando nel tabellino.
Cineteca


1958
... e l'addio di Billy

Nel medesimo giorno, a Manchester, si spegneva William Henry "Billy" Meredith: un personaggio di grande profilo nel calcio britannico di fine '800 e d'inizio '900. Gallese, minatore, onde sbarcare il lunario ha persino giocato contemporaneamente in due squadre diverse - ovviamente in leghe diverse. Arriva a Manchester nel 1894, e fino a 50 anni gioca un po' nel City e un po' nello United. Segna parecchio, compresa una doppietta nel primissimo derby (quando lo United era ancora il Newton Heath e indossava maglie di colore giallo e verde), ma è anche protagonista di vicende non limpide, che gli costano squalifiche e disonore. Dei Dragoni fu una colonna per venticinque anni, del City una fra le prime leggende. Gli Sky Blues giocavano ancora ad Hyde Road, e spesso dalle tribune si alzava un canto per lui: Oh I wish I was you Billy Meredith | I wish I was you, I envy you, indeed I do! | It ain't that you're tricky with your feet, | But it's those centres that you send in | Which Turnbull then heads in, | Oh, I wish I was you, | Indeed I do | Indeed I do.

1989
La velleitaria Quinta del Buitre 

Che il Real dei secondi 1980s fosse compagine di non eccelso valore internazionale, si era già compreso. Sì, un paio di coppe dell'Uefa; mai oltre le semifinali in Coppa dei campioni. Nessuno poteva tuttavia immaginare uno schianto come quello (storico) di San Siro, contro il Milan di Sacchi nella serata che apre il lungo ciclo rossonero. Da quella sera, in Europa, il Madrid non fece più paura a nessuno per diversi anni; una generazione di mezzi campioni (ben rappresentata dall'eponimo, Emilio Butragueño Santos - foto), era sostanzialmente consegnata al catalogo delle promesse non mantenute.

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23 marzo

1888
Quattro chiacchiere per il progresso del football

William McGregor, scozzese, è il presidente dell’Aston Vil­la, ma anche della English Football Association.
Rimugin­a. Le sue responsabilità sono grandi.
Il calcio, certo, è una bella cosa, ma non tutto an­cora fun­ziona come potrebbe, pensa. C’è la Challenge Cup, com­petizione meravigliosa, tuttavia i pedatori di professione vi sono tollerati solo se hanno abitato per qualche anno a di­stanza di una passeggiata dallo sta­dio del proprio club.
Che stupida regola, pensa dandosi una manata in fronte. Se ne possono immaginare le conseguenze. Troppe partite d’esi­bizione, una dopo l’altra, e quelle importanti spesso annullate per un futile mo­tivo, un disguido, un equivoco, un litigio.
McGregor, dopo avere a lungo meditato, escogita. De­cide che è venuto il momento. Scrive ai colleghi, i presidenti del Preston North End, del Blackburn Rovers, del West Brom­wich Albion e così via. Li invita a un pourparler.
Il 23 marzo 1888, in un albergo di Londra, senza particolari solennità si tenne l’incon­tro. Gente che non aveva tempo da perdere. Rapidamente si venne al dunque, definendo nei dettagli il progetto: la Football League, cioè un vero campio­nato inglese. Con rego­le di partecipazione e di ingaggio condivise. E partite rego­lari, a cadenza settimanale.
Era cresciuto in fretta, il gioco. Tranquillo e sereno, nei ver­di prati di casa. Ora diventava adulto.
Profilo


1958
La sconfitta che non mortifica

La cara vecchia Austria scende in campo contro la vecchia cara Italia per la Coppa Internazionale. Per quell'antica e prestigiosa competizione, al Praterstadion - oggi un prato bianco e luccicante, completamente innevato - non si giocherà mai più. Sì, è la classica ultima volta. Tra i molti spettatori presenti serpeggia forse un po' di nostalgia. Le due rappresentative - un tempo grandi, anzi grandissime - sono in declino: irreversibile quello austriaco, momentaneo (ma protratto) quello italiano. Alfredo Foni schiera cinque esordienti, nessuno di loro farà molta strada in azzurro. Vincono gli austriaci nel tripudio, in rimonta, segnando due volte negli ultimi dieci minuti. A proposito di ultime volte: fu l'ultima sconfitta patita a Vienna dall'Italia contro l'antica rivale. Perlomeno, disse Monsù Poss, non fu mortificante.
Tabellino | Video (Archivio Luce)


1994
L'astro nascente

C'è un ragazzino - non ha ancora diciotto anni - che nelle giovanili del Brasil sta facendo meraviglie. Gioca nel Cruzeiro, ma i club europei l'hanno già adocchiato. E infatti dalla prossima stagione traslocherà a Eindhoven. Oggi, intanto, c'è un'importante 'amichevole' della Seleçao, a Recife, con l'Argentina. D'estate si va negli USA, la macchina va messa a punto. Parreira porta il ragazzo in panchina, Bebeto fa due gol. Proprio il numero di Bebeto si alza a bordo-campo, quando mancano dieci minuti alla fine. Al suo posto entra il bocia, si chiama Ronaldo Luis Nazario de Lima. Ronaldo.
Cineteca


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