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15 febbraio

1879
Il football non era nelle sue corde

Nasce, a L'Aja, François Menno Knoote. E' il primo olandese scritturato dal Milan, e lui è ben contento di venire a Milano. In effetti, gli interessa diplomarsi al Conservatorio, vede per sé un futuro da cantante e non da pedatore. Quindi si allena poco e gioca meno: teme di danneggiare le corde vocali. Si narra di una partita in cui, appena venne a piovere, andò a rifugiarsi negli spogliatoi rifiutandosi di tornare in campo. Peccato: pare avesse talento. Due apparizioni in rossonero, uno scudetto.


1931
Silvio e Peppino

Alla seconda di ritorno l'Ambrosiana è molto mal messa in classifica, e solo quattro squadre si trovano in condizioni peggiori. Il titolo conquistato l'anno precedente ha inebriato la squadra, e il rendimento è scemato. All'Arena sono di turno i bianchi di Vercelli, che hanno tra le fila un diciottenne di cui bene si dice: Silvio Piola (foto). E' lui, dopo un quarto d'ora, a schiodare il match. Meazza non gradisce, e nel giro di pochi minuti ne fa due (il secondo mirabolante). Silvio prende nota. Anche oggi ha imparato qualcosa.


1967
La svolta mediatica

Andata dei quarti di Coppa dei Campioni a San Siro: la sfida è epocale, Inter contro Real Madrid. Televisioni di tutto il mondo collegate: per il massimo torneo continentale è il giorno della svolta mediatica. I detentori spagnoli, lo squadrone di HH. Prezzi dei biglietti alle stelle, lo stadio non si riempie. E la partita non è granché: tanti celebrati assi, un solo gol, e come spesso capita intestato alla figurina meno famosa: Renato Cappellini.
Cineteca


1984
Il regista terzino

Nel Deutsche Fußballnationalmannschaft fa capolino un ventiquattrenne del Kaiserlautern: è il regista, ma gioca sul lato sinistro della difesa; col piede mancino telecomanda il pallone. Accade a Varna, nello stadio intitolato a Yuri Gagarin, per un'amichevole tra Bulgaria e Germania. Si sta parlando di Andreas Brehme. Di quell'XI sarà una colonna per dieci anni. Un lungo volo nello spazio, di cui tutti ricordano il gol segnato su calcio di rigore nella finale di Italia '90.



1990
Full Metal Jacket

Si spegne, a Belo Horizonte, Dorival Knipel. Era un centrocampista di stazza, divenuto portiere e soprannominato Yustrich per la somiglianza del suo cappellino con quello che indossava un famoso arquero del Boca. Giocò soprattutto nel Flamengo, poi allenò numerosissimi XI brasileri. Peggio che un sergente di ferro; minacciava i pedatori col revolver, si azzuffava, litigava con tutti. Le caserme erano, al confronto, un paradiso.
Profilo


7 gennaio

1967
Le indigestioni di Jupp

Cresce il Borussia, quello di Mönchendlagbach, che per un decennio contese al Bayern la supremazia in Germania e fu ai vertici del football europeo. Il 7 gennaio 1967, per la 18ma giornata di Bundesliga, al Bökelberg-stadion si offre inerme lo Schalke 04. Finisce undici a zero per i neroverdi: record. In formazione ci sono Vogts (ventunenne), Wimmer (ventiduenne), Heynckes (idem), Netzer (idem). Grandi e grandissimi giocatori. Sono ancora tutti in campo (con la sola eccezione di Netzer) quando il Borussia, undici anni dopo (29 aprile 1978), batte il proprio record: dodici a zero. Questa volta a prender ceffoni è l'altro Borussia. Jupp Heynckes, che fa tripletta nel '67, migliora invecchiando, perché agli Schwarzgelben rifilerà una cinquina.
Tabellino dell'11:0 | Tabellino del 12:0 | Highlights del 12:0


1981
Un bel samba

Una coppa è sempre una coppa, sarà anche un'esibizione, ma si gioca al Centenario, e c'è in palio la finale. Nel Brasile non ci sono Zico e Falcão; presenti invece Junior, Cerezo e Socrates. E pure Serginho - sì, il lungagnone fuori dal coro, abulico centravanti e alieno, era altissimo ma non staccava mai i piedi da terra, e pretendeva che il pallone lavorasse anche per lui. I tedeschi sono, grosso modo, quelli che l'anno dopo arriveranno sfiatati alla finale della Coppa del mondo. Li illude Klaus Allofs (foto), che presenta il conto al termine di una mirabile azione di contropiede; inizia allora un bel samba, la Seleçao infierisce (quattro a uno) e va a giocarsi il mundialito contro l'Uruguay, sperando di esorcizzare proprio al Centenario l'incubo del maracanaço. Appuntanento fissato per il 10 gennaio.


1995
Futbolandia

Il sogno di Jorge Valdano si realizza per un giorno, che vale e riassume quella stagione (1994-95). Lui guida il Real, e la sua macchina schianta poderosamente la fuoriserie guidata da un amico-rivale, l'onusto Johan Cruijff. Il declinante Barça dell'olandese non regge l'impatto. E' un roboante cinque a zero che lava l'offesa dell'anno precedente (vai all'8 gennaio) e il pallone se lo porta a casa un cileno di discreto, non eccezionale talento: Iván Zamorano, che ne mette tre alle spalle di Carles Busquets (il padre di Sergio), modestissimo arquero. La rotta dei Blancos era chiaramente tracciata.


31 dicembre

1966
Gli scricchiolii della Benamata

Bello il pomeriggio di San Silvestro sugli spalti di San Siro, non capita di frequente. Oltretutto, è il match dell'anno - chissà se di questo o del prossimo. Inter-Juve, prima e seconda in classifica. C'è il pienone. Si sentono benissimo gli scricchiolii che produce la squadra di HablaHabla. Odore di fine ciclo c'è nell'aria. Per una volta, tra Heriberto ed Helenio, alla fine, quello che dissimula un sorriso soddisfatto sarà il primo, pareggiare questa partita per la Juve (dopo essere stata in vantaggio e avere a lungo e con buona sorte vanificato l'assedio interista alla porta eroicamente difesa da Anzolin - foto) significa acquisire fiducia e concretezza per la seconda parte della stagione. "Chi di contropiede ferisce, di contropiede perisce", diceva Helenio. Così è stato. E anche la fortuna, da sempre sua fedele amica e compagna, sta forse cominciando a stancarsi di lui.Tu, che eri allo stadio quel giorno, appena tornato a casa hai dato uno sguardo alla classifica e hai scrollato le spalle. La Benamata era ancora prima, sì. Fu l'ultimo capodanno in cui la Grande Inter guardò tutti dall'alto in basso.
Tabellino


1967
Portieri

Il giorno di San Silvestro del 1967 gli stadi della Serie A erano aperti: tredicesima giornata. In programma partitoni, come Juventus-Inter, Milan-Bologna, Napoli-Torino. Ma i protagonisti più attesi erano due portieri. Non propriamente due assi. Uno era Enzo Matteucci (classe 1933), l'altro Mario Da Pozzo (classe 1939). Il primo - riserva di Battara nella Samp, infortunato - non giocava da una vita, ma era il portiere italiano più battuto: incassava tre gol al giorno, nel filmato della sigla di 'Telesport'. L'altro difendeva i pali del Varese, aveva stabilito il record di imbattibilità quando era l'estremo del Genoa (stagione 1963-64), e in quella stagione, al Franco Ossola, tutti gli attaccanti avversari erano andati in bianco. La facciamo troppo lunga? D'accordo, veniamo al dunque. Enzo contribuiva al buon pari (zero a zero) conseguito dalla Samp a Vicenza. Da Pozzo invece capitola: il Varese vince, ma Gigi Riva, sentendo odore di casa e con tutto il parentado sugli spalti, mette fine alla striscia di Mario.

Vicenza-Samp: tabellino
Varese-Cagliari: tabellino | highlights

29 dicembre

1946
Il 'fattore campo'

La quattordicesima di andata del campionato 1946-47 fece registrare un primato "di tipo speciale": il primato negativo del fattore campo. Sei vittorie esterne, solo due interne, e due pareggi. Del resto, come nota Monsù Poss (Vittorio Pozzo, all'anagrafe), già "all'inizio della presente stagione accennava ad essere in ribasso, il fattore campo, poi le cose si erano venute gradatamente normalizzando: ora è giunto improvvisamente il tracollo". Già. In un turno spalmato, "ha cominciato la Triestina a perdere a Trieste". Poi il Vicenza (naturalmente a Vicenza). "E poi, come nel giuoco dei mattoni, sono ceduti l'uno dopo l'altro i pezzi grossi": il Bologna (a Bologna), l'Internazionale (all'Arena), la Sampdoria (a Genova). "Naturalmente l'Atalanta a Bergamo". Perché naturalmente? Beh, "avendo come avversario il Torino, non poteva fare a meno di capitolare anch'essa, ed ha seguito la sorte comune". E poi va detto che il Livorno (a Livorno) e l'Alessandria (ad Alessandria) hanno evitato la sconfitta solo riuscendo a non subire reti o pareggiando appena in tempo per evitarla. "Con tutto ciò, la classifica non è stata rivoluzionata". Già, guida il Torino, poi la Juve, poi (oddio) il Modena, "che è una bella squadra". E in coda? "In coda la povera Triestina, tutta sola, e davanti ad essa mezza dozzina di squadre, fra cui qualcuna col nome famoso, che arrancano". Campionato interessante? "Campionato interessante".


1965
Il mese migliore di 'Gundi'

E' lento e massiccio, ma potente, fortissimo nel gioco aereo, tecnicamente tutt'altro che sprovveduto. In questo mese di dicembre del 1965, tutti hanno compreso che quello del Levski è un centravanti coi fiocchi. Ha tenuto a galla la barca dei suoi all'Estadio da Luz, segnando una doppietta e costringendo il Benfica a una faticosissima qualificazione ai quarti di Coppa dei campioni; oggi, a Firenze, è lui a trascinare la Bulgaria nella partita di spareggio che vale l'ultimo posto libero nel tabellone della Coppa Rimet. C'è parecchia gente allo stadio, è un bel pomeriggio di sole. Il Belgio sarebbe favorito, ma lui, intorno al ventesimo, decide che la pratica è da sbrigare con una certa urgenza. Due gol in un minuto, uno di capoccia l'altro di giustezza, poi un'altra inzuccata che manda il pallone a stamparsi sulla traversa, ma ormai il più è fatto. Georgi 'Gundi' Rangelov Asparuhov è l'uomo del match e una possibile attrazione del circo che metterà le tende in Inghilterra, oltre che il sogno proibito di molti club del continente. Il regime bulgaro lo blinderà, e la sua fortuna dileguerà molto presto, a ventott'anni compiuti da poco, schiantata da un frontale in auto sulla strada per Vratsa, ai piedi dei Balcani, il 30 giugno 1971.



1967
Certe notti di Rio

Sembrano spesso notti scure quelle che avvolgono il Maracanã, nelle immagini del secolo scorso. E così sono anche le poche che restano dello spareggio che vi giocarono il Palmeiras e il Náutico di Recife, per aggiudicarsi il titolo di squadra campione del Brasile. In più, era una notte di pioggia battente. Così, vediamo pedatori che cercano in precari equilibri di strappare un contrasto vincente; ammiriamo Cesar Maluco, che scaraventa in porta da trenta metri un pallone arenato nel fango, di pura potenza (foto); e poi ridiamo, quando scorre la sequenza di Tupãzinho che, a porta vuota, alza da due passi un lob che si infrange sul palo. La chioma bionda di Ademir da Guia compare verso la fine; un dribbling secco al limite dell'area, un destro preciso, senza scampo. Il titolo era del Palmeiras. Non poteva che sigillarlo lui, il Divino. Iniziava il periodo migliore nella storia dell'Alviverde; e, in Brasile, sfioriva l'egemonia santista.
Tabellino (sub data) | Highlights


23 dicembre

1967
Quei due si intendono bene

"Sento dire, purtroppo, che gli svizzeri hanno deluso, che abbiamo vinto contro nessuno e mi dispiace. E' mai possibile che tutti i nostri avversari sono 'fenomeni' alla vigilia e 'pellegrini' dopo che li abbiamo battuti?". Così parlò il Golden. Fu un bel quattro a zero inflitto agli elvetici, temutissimi (a quei tempi temevamo tutti, ed era un bene), ci si qualificava con tranquillità per i quarti dell'europeo e l'intesa tra Rivera e Riva prendeva quota. A Gigi arrivano palloni su palloni, lui segna, sbaglia, colpisce la traversa. "Ho giocato sinora sei partite in nazionale, ma una come questa non l'avevo ancora vista e vissuta. Sul piano del gioco, la nazionale ha disputato oggi la migliore partita che io ricordi". Già, il bello però deve ancora venire. Ricordiamo volentieri questa giornata, anche perché agli azzurri aprì le porte, per la prima e ultima volta, il glorioso Amsicora di Cagliari.
Tabellino


1994
Natale a Porto Alegre

Dopo l'espulsione dalla comunità calcistica internazionale per le note e orribili vicende, una rappresentativa jugoslava (di fatto serbo-montenegrina) torna a combattere solo per un pallone e su un campo di calcio. Il nuovo allenatore è Slobodan Santrač - già 'secondo' di Osim, ma è un illustre sconosciuto -, il campo quello dell'Olimpico Monumental di Porto Alegre, l'avversario si è cucito sul petto in estate il quarto titolo mondiale. Per la Seleçao si tratta anzi di esibire agonisticamente il trofeo in patria, e per cominciare a misurare sul serio le qualità di quel ragazzino di Rio appena passato dal Cruzeiro al PSV di Eindhoven. Gioca lui, stanno a casa Romario e Bebeto, per il resto i reduci di Pasadena ci sono quasi tutti. La partita è davvero natalizia, tra gli slavi fa capolino qualche nuovo pedatore che presto tutti dimenticheranno, Ronaldo non segna nessuno dei due gol brasiliani, il secondo merita senz'altro di essere apprezzato - una punizione di Branco con trenta metri di rincorsa (foto) -, è un bel pomeriggio di sole e tutti hanno buoni motivi per essere contenti. Amen.
Cineteca

18 novembre

1967
Esperimento, ma non troppo

A guardarla schierata, la nazionale che affronta la Svizzera al Wankdorf di Berna per una partita (moderatamente importante, vista la classifica) di qualificazione a Euro 68, è grosso modo quella che rivedremo in Messico. Ci sono otto dei titolari che affronteranno all'Azteca la Germania e il Brasile. Esordisce, qui, Boninsegna. Manca Mazzola, infortunato. C'è Armando Picchi. Rosato gioca da mediano - come avviene in campionato. Rosato mediano? Difensivismo puro!, sottolinea una parte della critica. Rivera fuori, nemmeno convocato. Le mezzali sono Juliano e De Sisti. Sulla panchina della Svizzera c'è Alfredo Foni (beh, inutile ricordare il suo curriculum). L'unico a essere contento che Rivera non giochi è lui, e lo dice senza mezzi termini ai giornalisti italiani. Beh, cosa succede poi? Che Rosato fa il terzino, che la Svizzera ci sovrasta, che come al solito sembra che l'Italia giochi con un uomo in meno. Picchio e Totonno non hanno fatto che saltare da un avversario all'altro, senza mai potersi preoccupare della costruzione. Le cose migliorano nel secondo tempo, ma solo le prodezze di Gigi Riva (un fantastico gol in rovesciata e un altro su rigore discutibile, che si procura con grande fisicità e altrettanta furbizia) ci consentono di uscire imbattuti da quell'arena dove, insomma, non sempre abbiamo ben figurato. Le nostre magagne sono sempre lì: a centrocampo. Vale la pena di rinunciare al talento sostituendolo con minor talento ma senza il necessario dinamismo? 


1981
Il calcio piazzato

Non ha mai fretta Monsieur Michel, quando il pallone si ferma e lui può sistemarlo poco fuori dell'area di rigore: è, in assoluto, la situazione che preferisce. In quel momento, lui è al centro del palcoscenico. Sa che tutti si aspettano un colpo di genio, una magia, un illusionismo. E' uomo di spettacolo, indugia e assapora il silenzio che cala sullo stadio, lascia che si protragga per qualche lunghissimo istante. In quel tempo fermo, in quella sospensione della realtà, gli avversari iniziano a interrogarsi. Il portiere, per esempio, dubita di avere sistemato male la barriera. Forse un poco a destra, forse troppo a sinistra. Con pochi uomini, o forse con troppi. Loro, quelli in barriera, sono i più tranquilli. Dovranno solo stare fermi. Sanno che, comunque, non gli arriverà addosso una cannonata, Monsieur Michel predilige morbidi tocchi e gentili palombelle. Gli altri, quelli rimasti in movimento, sono preoccupati. Precipitano nell'incertezza, e sulla posizione da tenere cambiano idea in continuazione, temono sempre di avere scelto quella sbagliata. Il più esperto di tutti, il più intelligente di tutti è senz'altro Ruud Krol, il capitano. Infatti lì per lì sembra stia facendo la cosa giusta: andare a coprire la porzione dello specchio di porta nascosto dalla barriera. Se Platini cerca di colpire la sfera per farle scavalcare le transenne, lui ne interromperà la traiettoria. L'olandese si sposta lentamente, quasi di soppiatto, forse credendo che il tiratore non lo veda, non capisca, e finisca per mirare proprio lì, un tiro che sarebbe innocuo. La paura evaporerebbe, il pubblico manifesterebbe una grande delusione e non sosterrebbe più la propria squadra con lo stesso vigore. Monsieur Michel, però, ha questa qualità: se non vede, intuisce. Le sue intuizioni anticipano sempre di anni luce le mosse degli avversari. Ecco che si muove. Con la maglietta fuori dai calzoncini, il suo baricentro sembra ancora più basso. Anche Krol esibisce da sempre lo stesso look, ma è altissimo, e così sembra ancora più alto.
Il tiratore ha colpito il pallone.
Di interno destro, come al solito. Quale traiettoria avrà impresso alla parabola? Ora lo scopriremo. Intanto, però, tratteniamo il respiro.

Francia-Olanda: Cineteca
Tratto da Michele Ansani, Lenta può essere l'orbita della sfera

4 novembre

1964
Iniziano le illusioni

Essendo dei dilettanti, si dilettano nel giocare al pallone. Dei risultati se n'infischiano, e infatti trascorrono la vigilia della partita a Portofino. Peccato che piova a dirotto, una gita rovinata. Si allenano? Per modo di dire. Sgambano. Palleggiano (per modo di dire). Mica faremo il catenaccio anche contro costoro, si interroga parte della critica pedatoria. Ma no, vedrete. Italia-Finlandia, a Genova, è la prima partita del girone che qualifica una nazionale alla Coppa Rimet organizzata dagli inglesi. Bisogna vincere, assolutamente. L'attacco è leggero, ma di classe eccelsa. Lo dice anche il trainer dei nordici, Aatos Lehtonen (uno che aveva incontrato gli azzurri già nel 1939: a Helsinki, quando Meazza disputò la sua ultima partita in nazionale): questi sono assi, valgono quelli di un tempo, ma anche i difensori non scherzano. Già. Ci sono, insieme dal primo minuto, Rivera, Corso e Mazzola (a segno, nella foto). La difesa è quella dell'Inter. Armando Picchi è all'esordio. Rivera indossa la fascia di capitano, per la prima volta, ha poco più di ventuno anni. L'unico che non militi negli squadroni milanesi è Giacomino Bulgarelli. Finisce sei a uno. Iniziano le illusioni.
Tabellino | Highlights



1967
El Chango

Rileggendo le vecchie cronache e le infinite storie del football, capita spesso di incontrare nomi di pedatori dimenticati o semi-sconosciuti, e che tuttavia per un giorno o due, per una partita o anche due diventarono improvvisamente protagonisti, per poi tornare nella penombra, e senza più trovare lampi o invenzioni da prima pagina. Così, per esempio, chi si ricorda di El Chango? Juan Carlos Cárdenas, attaccante che trascorse gli anni '60 e i primi '70 nell'andirivieni da Avellaneda, tornando al Racing dopo essere andato altrove e andando altrove dopo esser stato ancora un po' nel Racing. Da quelle parti ne sapranno di più. A noi basta rammentare che fu lui, in uno dei santuari del Sudamerica - il Centenario di Montevideo - a risolvere durante la terza partita il duello tra l'Academia e il Celtic, fin lì protratto dalle regole allora in vigore. Già. Fece il gol decisivo, un sinistro a uscire da 25-30 metri, e portò la coppa dei due mondi, per la prima volta, nella bacheca di un club argentino. Juan Carlos Cárdenas, el Chango, 'la scimmia', idolo del Racing Club per saecula saeculorum.
Tabellino | Highlights

1° novembre

1897
L'arrivo della signora

“I presenti, in tutto, non passavano una quindicina, il più vecchio diciassettenne, gli altri sotto i tre lustri". Giovani studenti torinesi, appassionati di calcio, avevano un progetto, ma non una sede, e il loro pallone rotolava in Piazza d'Armi, ogni pomeriggio, dopo le ore di scuola. "Si venne finalmente alla seduta decisiva: battaglia grossa! Da una parte i latinofobi, dall’altra i classicheggianti, in minor numero i democratici. All'onore della votazione s’avanzarono tre nomi: 'Società Via Fort', 'Società Sportiva Massimo d’Azeglio' e 'Sport-Club Juventus' ..." (Enrico Canfari, Storia del Foot-Ball Club Juventus di Torino, 1915). Benvenuta, giovane signora.
Eupallog XI


Azzurri schierati al San Vito di Cosenza. Riva è il quarto,
iniziando da Facchetti
1967
Epifania azzurra di Luigi Riva detto Gigi

"Il successo degli azzurri su Cipro nell'incontro di ritorno della Coppa Europa delle Nazioni è stato una delle vittorie più facili e più convincenti che la rappresentativa italiana abbia mai riportato. Noi non ne ricordiamo un'altra in cui le vicende siano andate in modo cosi semplice e liscio. Non vi è mai stata vera lotta". Andiamo, Monsù Poss, che resistenza potevano mai opporre i ciprioti? "Vi era, si può dire, una sola squadra in campo. L'altra, quella cipriota, non sapeva che cosa fare di se stessa. Naufragava, girava a vuoto, non era in grado d'inscenare una sola azione che si potesse definire non solo come aggressiva, ma almeno come costruttiva". Beh, logico. Dopo venti minuti Mazzandro li aveva già infilati due volte, hanno cercato di limitare i danni. C'era uno dei nostri, però, che aveva parecchia fame di gol. Nonostante le condizioni del campo (un acquitrino) e la pioggia ininterrotta, ci ha dato dentro, e ne ha segnati tre. I primi in maglia azzurra di Luigi Riva detto Gigi.


7 ottobre

1916
This wondrous Hercules

Tutti piangono in Galles, in Scozia, in Inghilterra, perché hanno saputo che, durante la battaglia della Somme, oggi un uomo - uno dei tanti - è stato ucciso. Ma qualcuno ride ancora, se ripensa alle sue fanfaronate e alle sue prodezze. Stiamo parlando di Leigh Richmond 'Dick' Roose, ex portiere, da oggi ex componente dei Royal Welsh Fusiliers.
Già. Capitava - ad Aberystwyth, a Londra, a Liverpool, a Glasgow - che il pubblico volgesse lo sguardo dalla parte opposta a quella in cui si svolgeva l'azione. Roose stava dando spettacolo a modo suo, aggrappato alla traversa, con giravolte e volteggi. Poi magari, catturato un pallone, partiva a testa bassa verso la metà campo avversaria, come se si giocasse a rugby: era grande e grosso, certo non temeva cozzi o placcaggi. Un simpatico smargiasso, non c'è dubbio.
E' colpa o merito suo, dunque, se dal 1912 si stabilì che il portiere potesse usare le mani solo nella propria area di rigore.
"He was the first football superstar, with the playing style of Peter Schmiechel, the bon viveur attitude of George Best, and the media-savvy sense of David Beckham".
Profilo | Neal Prior (BBC)


1967
L'idolo del Volksparkstadion segna un gol inutile

Beh, scegliere di giocare ad Amburgo è stato giusto, avrà pensato Helmut Schön. In fondo, ha appena raddrizzato una situazione difficile, perché i Panzer avevano buscato a Belgrado ma con questa bella rivincita (tre a uno) la corsa per il titolo del Campionato europeo può riprendere. Ha esordito Roth, il mastino del Bayern, ma non deve avergli fatto una grande impressione (giocherà tre sole altre partite, e la Germania non ne vincerà nessuna). Gerd ha fatto il suo, e l'ultimo gol l'ha segnato il padrone di casa, l'idolo indiscusso del Volksparkstadion, il capitano della Nationalmannschaft: Uwe Seeler. Insomma, il futuro è roseo, ma tutti sanno che in finale, agli europei del '68, ci arriverà la Jugoslavia. Dove si sono persi i tedeschi? Dove hanno rotto il motore? E quando? Vedremo, vedremo.

25 agosto

1967
Rispetto per la Lega Pirata!

E certo, che colpa ne hanno gli organizzatori? Chi poteva pensare che su New York piovesse ininterrottamente per giorni e giorni, alla fine di agosto? Qualcuno dirà: di solito, a pallone, si gioca anche quando piove. E, di fatto, è ciò che pensano anche quelli del Santos e l'allenatore dell'Inter. Del resto, le due squadre hanno in programma un fitto calendario di amichevoli, il rinvio di una sola di queste manda a pallino la preparazione e costringe ad accumulare stanchezze impreviste. Dunque, si gioca o no? No, si rinvia a domani. E perché? Prevendita fiacca, dicono. Ma - soprattutto - perché allo Yankee Stadium il campo sarebbe talmente zuppo che - aggiungono i tenutari del medesimo - giocandoci "con più di dieci millimetri di acqua a terra" ne verrebbe rovinato, impedendo così la disputa (prevista domani pomeriggio) di una partita della 'Lega Pirata'. Tutto vero, lo scriveva Gianni De Felice sul Corriere. Ma cosa diavolo era la 'Lega Pirata'? Facendo opportune ricerche, l'abbiamo capito. Ma una spiegazione sarebbe lunga e - tutto sommato - la cosa non interessa a nessuno.


2000
Jardel stasera gioca nel Gala e dà la paga ai Galácticos

Se n'è andato Hakan Sukur, e pazienza. Ma è arrivato Mario Jardel, e tanto basta. A Istanbul è un'altra notte di festa, dopo la Coppa UEFA arriva anche la Supercoppa. Un'annata fantastica. Nello stadio ultra-moderno del Principato, il Gala schianta i Galácticos: ai supplementari, ma solo perché l'arbitro regala un penalty al Real. Ai supplementari, ci pensa Jardel: doppietta. Ciao Luis. Luis Figo, appena arrivato anche lui. Ciao Luis, gli fa Mario. Jardel, del resto, ha appena iniziato a girare il mondo, e al Gala resterà una sola stagione. Prima di sbarcare in Turchia aveva segnato valanghe di reti nel Porto, che aveva scommesso su di lui dopo qualche stagione non esaltante in patria, nel Vasco e poi nel Gremio. Un anno in Turchia, un gol a partita. Poi andrà nello Sporting (a Lisbona), poi in Inghilterra (Bolton), in Italia (Ancona), poi in Argentina (Newell's), poi in Spagna (Alavés), poi tornerà in Brasile (Goias e Beira-Mar), poi ha nostalgia del Mediterraneo e firma per l'Anorthosis Famagosta, poi è curioso di visitare l'Australia (Newcastle's Jets), poi tre anni (e quattro squadre) in Brasile (Criciuma, Ferroviario, America, Flamengo Piauí), poi fa mente locale e quattro conti ("dove non sono ancora stato? Ma certo, in Bulgaria!"), eccolo per un anno a Varna, poi un altro in Amazzonia (a Manaus, nel Rio Negro), e poi a godersi il deserto saudita, a Buraidah. Ma non ha più vissuto una serata come quella del Louis-II, e nessuno sa dire con certezza cosa cercasse (oltre, forse, al quattrino) in questo suo inesausto girovagare.
Cineteca

23 agosto

1967
E' pronto un miliardo!

Così il titoletto sopra la foto, che ritrae O Rey e Luisito Suarez, presumibilmente nell'amichevole di New York giocata nel settembre del 1966. Un miliardo per Pelé, suvvia. A parte che vale di sicuro molto di più, cosa volete che sia un miliardo per un giocatore così. C'è però un dettaglio, non trascurabile. Ce ne sarebbe più d'uno, ma questo basta, e la lunga didascalia chiarisce tutto: dopo la coppa del mondo in Inghilterra, grazie al fiasco azzurro, si è decisa da noi la chiusura agli stranieri. Bisogna coltivare il vivaio, altro che Pelé. La didascalia aggiunge che quell'offerta, comprensiva di un ingaggio da sogno per il brasiliano, risale "a parecchi anni or sono". E allora? Che bisogno c'era di quel titolo? Il calciomercato è - da sempre - l'oppio dei popoli. Omettiamo di riportare quale testata giornalistica ne avesse a piene mani distribuito in quella circostanza. Suarez e Pelè, dal canto loro, si sarebbero rivisti qualche giorno dopo, sempre a New York, per la rivincita della sfida dell'anno precedente, dominata dal Santos.

13 agosto

13 agosto 1967
Parlano i capitani

Alla vigilia di Ferragosto l'inizio del campionato è ancora lontano, ma è tempo di immaginare chi lo vincerà. E chi meglio di coloro che indossano la fascia di capitano nelle squadre più importanti ha diritto di dire la sua? Sentiamoli un po'.
Tino Castano (Juventus, squadra detentrice): "Noi partiamo con il proposito di difendere lo scudetto meglio che possiamo. Non essendo mutata la ossatura-base c'è il vantaggio di avere un anno in più di esperienza. Ciò significa che il nostro gioco può ulteriormente migliorare e che, di conseguenza, il rendimento sarà maggiore". Giusto!
Mario Corso (Inter, capitano che subentra a Picchi, silurato da HH): "Favorite per il titolo vedo ancora l'Inter, la Juventus, il Bologna, il Napoli, la Fiorentina. L'Inter comunque non può snagliare per la seconda volta consecutiva". Infatti ...
Picchi (Varese, già): "L'Inter non può perdere, perché con un tale parco di giocatori non si può perdere il campionato". E' vero!
Sivori (Napoli): "Vedo in lotta la coppia Inter-Juventus, con la coppia Napoli-Bologna di rincalzo". Logico!
Frustalupi (Sampdoria): "Circa la lotta per il titolo, vedo in lizza la Juventus, che non ha cambiato molto ma è sempre un'ottima squadra".
Cella (Atalanta): "Per lo scudetto indico due squadre: l'Inter ed il Torino". Forza Toro!
Pascutti (Bologna): "Il Bologna è sempre forte ed avrà - anche quest'anno - il ruolo consueto: quello di terzo incomodo tra Inter e Juventus". Sempre dura far fuori il Bologna, giusto.
Giagnoni (Mantova): "Quest'anno credo che la lotta in cima alla classifica non avrà nuovi protagonisti". Difficile, effettivamente.
Ferrini (Torino): "Non avendo il durissimo impegno della Coppa dei Campioni, l'Inter può concentrare tutti i suoi sforzi sul campionato. Pertanto, è la favorita numero uno". Pole position per i nerazzurri!
Rivera (Milan): "Penso che le grandi squadre debbano essere considerate tutte sullo stesso piano, con un leggero margine di vantaggio per il solo Bologna". Davvero minimo.
Ecco, hanno detto la loro. Ad futuram rei memoriam.

12 agosto


1964
Mario Rodriguez Varela

I primi anni della Copa Libertadores de América sono una sequenza di brevi egemonie. Egemonie durate non più di un biennio. Al breve ciclo del Peñarol seguì quello del Santos; al ciclo del Santos quello dell'Independiente di Avellaneda. E' dunque una serie storicamente significativa: Uruguay, Brasile, Argentina. Per ultima, l'Argentina. Occorre riconoscere all'Independiente di aver compiuto notevoli imprese, poiché nel 1964 eliminò il Santos (privo tuttavia di Pelé) in semifinale, e l'anno dopo diede la paga al Pinerolo nel partido de desempate. Ma restiamo al 1964. La gara di andata, il 6 agosto al Centenario di Montevideo contro il Nacional, finisce senza reti. Alla Caldera del Diablo, nel redde rationem del 12, il solo gol, decisivo, è segnato da 'Mariucho', com'era soprannominato Mario Rodriguez Varela.
Varela? Già. In fondo, Baires e Montevideo mescolano i nomi dei loro figli e delle loro storie, che scorrono lungo e insieme al Rio che le separa.



1967 
Quando a Old Trafford si levò un epico mormorio

United campione d'Inghilterra, e Hotspurs vincitori della FA Cup. Grandi squadre, ai tempi: il 12 agosto 1967 diedero il via alla nuova stagione disputandosi il Charity Shield a Old Trafford. Finì con un bel 3-3. Per i Red Devils protagonista indiscusso fu il numero 9, il falso centravanti per eccellenza del calcio inglese: Sir Bobby Charlton. Il pelato diede prova delle sue abilità balistiche dall'inizio alla fine, ma il match è ricordato soprattutto per una 'prodezza' di chi difendeva i pali del Tottenham. Chi era? Ma certo: Pat Jennings (foto), un estremo decisamente longevo. Era giovane, allora, ma era già il titolare a White Hart Lane e nella rappresentativa nordirlandese. Beh, fece un gol. Come? Con un rinvio dalla propria area. Un epico mormorio si levò dalle tribune di Old Trafford.



1987
Vertice franco-tedesco

Amichevolmente, Germania e Francia si sono date appuntamento a Berlino. Tra un anno ci sono gli europei, in terra tedesca, e quando le due federazioni avevano pianificato l'estivo rendez-vous, si riteneva di mettere in cartellone un anticipo della finale. Detentori contro organizzatori, prove di scena e misurazione di forza. La Francia, tuttavia, ha un problema. Anzi due, e non è semplice dire quale sia il più grave. Intanto, il re ha abdicato: niente europei, e niente più partite per Michel Platini. Inoltre, i galletti difficilmente riusciranno a qualificarsi per la fase finale del campionato, visto che hanno già perso in casa con i russi e non sono riusciti ad espugnare l'inespugnabile fortezza di Leipzig - già, siamo ancora ai tempi delle due Germanie. Depressi e preoccupati, i Bleus concedono a Rodolfino Voeller una doppietta nei primi dieci minuti, ma presentano per l'occasione un promettente giovane, una futura star, che non a caso rende meno scontata la partita e l'inevitabile sconfitta: Eric Cantona.

17 luglio

1967
Tbilisi, Hotel Gutsa

Tbilisi, Hotel Gutsa. Appena sveglio, Lev è assalito da brutti pensieri. Durante la notte ha dormito poco. No, non ha ripensato alla partita di ieri, con i greci è stata una passeggiata, un impegno sbrigato senza problemi. Contare i gol subiti in tredici anni non è l'ideale per addormentarsi, ne manca sempre qualcuno e bisogna cominciare daccapo. Le grandi parate sono state di più, ciascuna equivale a un tesoro da custodire, anche la memoria dei gesti ha bisogno di tenersi allenata. Il punto è che, ora, non ci saranno più palloni da catturare all'ultimo istante utile; non ci saranno più duelli nei cieli dell'area di rigore, gli applausi e i fischi negli stadi del mondo. Il suo orizzonte coinciderà con quello della Dinamo, ancora qualche stagione, ancora qualche campionato. Da oggi Lev Jašin girerà il mondo solo per raccogliere riconoscimenti e onorificenze, premi alla carriera, inutili medaglie. La vita è così. Col passare degli anni, ritroverà tutti i suoi avversari di un giorno, invecchiati ma sorridenti. Forse sorriderà anche lui.
URSS-Grecia: tabellino | Eupallog Pentavalide


1994 
Pasadena, si scende

Uno ci ha portati fino a Pasadena. Guidava un pick-up su cui trasportava i palloni che aveva infilato nelle reti della Nigeria, della Spagna e infine della Bulgaria.
L'altro, anche senza un ginocchio, aveva deciso di tornare per giocare la partita, perché in sua assenza nessuno sarebbe stato capace di leggere in anticipo le mosse bugiarde del Baixinho.
Così, nella finale col Brasile, non prendemmo nemmeno un gol. Subimmo per novanta minuti, poi per altri trenta. Poche le nostre opportunità, e nessuno ebbe la forza di sfruttarle. La posta in palio era altissima: il quarto titolo mondiale avrebbe significato la sanzione di una supremazia storica, definitiva.

Finì come si sa.
Da quella macchia bianca di gesso in mezzo all'area, Roberto Baggio e Franco Baresi scaraventarono i loro palloni oltre il confine, ormai incapaci per l'enorme stanchezza di colpirli con lucidità e precisione.

L'uno rimase lì, fermo, le braccia sui fianchi, in meditazione assente e protratta.
L'altro pianse, senza pudore, come un bambino che improvvisamente conosce il male prodotto dalla fine di un sogno.

[Da Michele Ansani, Lenta può essere l'orbita della sfera]
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25 maggio

1938
El Monumental
Il River Plate è la più forte squadra d'Argentina. Ha vinto la Priméra División nel 1936 e nel 1937. Il suo stadio, costruito nel Barrio de Palermo, è ormai troppo piccolo. Ma oggi si inaugura quello nuovo, una cancha per 70.000 persone. Il Peñarol di Montevideo è l'ospite d'onore scelto per l'apertura del Monumental.

1940
La Bombonera
Il vecchio Estadio Brandsen y Del Crucero è piccolo e non porta più fortuna, visto che negli ultimi anni i titoli finiscono spesso nella bacheca del River. Così anche il Boca si costruisce uno stadio nuovo. Si inaugura oggi, con un'amichevole tra i Xeneizes e il San Lorenzo de Almagro, La Bombonera.



Amari calici per le grandi italiane

1967
Lisbona
The Bhoys fecero il 'triplete'. Anzi di più. Scottish League, Scottish Cup, League Cup ('triplete' domestico), completato dalla coppa più importante, quella che ancora si chiamava 'dei Campioni d'Europa'. Impresa leggendaria. Anzi, di più. A Lisbona avevano di fronte la temuta, cinica e detestata macchina da guerra costruita da HablaHabla. L'Internazionale, dopo un triennio di dominio pressoché totale, improvvisamente crollò. In un caldo pomeriggio di primavera avanzata, le gambe e i muscoli dei nerazzurri tennero per una decina di minuti, forse venti; la velocità e il ritmo del Celtic, alla lunga, travolsero un meccanismo difensivo collaudato da anni e reputato insuperabile.  "Il 'catenaccio' non moriva con la Grande Inter, ma il mito della sua invincibilità certamente sì. Il Celtic aveva dimostrato che un modo di giocare votato all'attacco aveva un futuro" (Jonathan Wilson).

1983
Atene
I top-players del momento - tolti Zico e Maradona, pur essendo el Pibe ancora lontano dalla sua definitiva e divina dimensione - giocano tutti nella Juventus. Ci sono svariati campioni del mondo - la colonna vertebrale dell'XI di Bearzot, in sostanza -, e in più due acclamate stelle del football europeo, Platini e Boniek (due tipi, peraltro, che sembravano nati per giocare insieme). Ad Atene, la finale con l'Amburgo sembra meno di una formalità. Ma la squadra non ingrana. Non è concentrata; o lo è eccessivamente. Batte in testa. Prende un gol - un gol che sarà evocato milioni di volte da coloro che tengono in antipatia la vecchia signora -, ha il nome di Felix Magath. Nonostante la partita fosse a quel punto ancora lunga, i bianconeri non risalgono più la corrente, incupiti dalla prospettiva di una sconfitta rumorosa e inattesa. Sarà per un'altra volta. La coppa - la prima - arriverà presto, ma - quando sarà - non sarà un giorno di gloria. Anzi.

2005
Istanbul
Alla fine del primo tempo, c'è chi decide di anticipare il corso degli eventi. Prende sciarpe, bandiere e trombette, sale in macchina e comincia a scorrazzare allegramente e chiassosamente lungo i viali di Milano. Ci sono in giro solo atei e interisti. Vanno compresi: un primo tempo sontuoso, il Liverpool è sotto di tre, che si gioca a fare il secondo? Si gioca, è obbligatorio per regolamento, ma stare davanti alla tivù è tempo perso. Anche i giocatori del Milan hanno già festeggiato. Soprattutto Sheva: dev'essersi scolato qualche litro di vodka, perché non ne azzecca più una. Sembra veda doppio, fallisce ogni traiettoria, anche la più semplice. I Reds invece riemergono dagli spogliatoi gonfi di rabbia e determinazione. Quando, quarantinque minuti dopo, inizia la sarabanda dei penalties, nessuno scommetterebbe un solo centesimo sul Milan.

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7 maggio

1959
Paella futbolistica

Nell'andata dei quarti del torneo fieristico a Camp Nou fu di scena l'Inter. La "paella futbolistica" messa in tavola dai nerazzurri risultò "carente en absoluto de la fuerza necesaria para provocar una mala digestión" ai blaugrana (Mundo Deportivo). Il resoconto, certo assai partigiano, evoca gli enormi spazi abbandonati nella propria metà del campo dalle eleganti ma lente trame d'attacco milanesi. Sicché, dalla panchina e sul prato, giuste misure furono agevolmente escogitate da due tipi che, nelle stagioni successive, trovarono ingaggi e gloria immortale proprio a Milano, sponda Bauscia: HH e Suarez.
TabellinoMundo Deportivo


1967
Ma ha fischiato oppure no?

Dicono i bene informati che, se la Juve sta cedendo proprio sul rettilineo finale, il motivo è uno e uno solo: la conferma in panca di Heriberto anche per il prossimo anno. Ergo, si è afflosciata in campionato e si è fatta sbatter fuori dalla Coppa delle fiere. I giocatori remano contro. In sostanza: mancano quattro giornate, la prima si gioca oggi a Torino ed è lo scontro diretto. L'Inter è scintillante come non mai. E' avanti di quattro punti, gira che è una meraviglia ("trame scarne e incisive, velocissime nell'impostazione, fulminee nelle risoluzioni, interpretate da uomini in vorticoso movimento, ed eseguite attraverso schemi sempre nuovi, come in un intreccio di fuochi pirotecnici": così Gino Palumbo sul Corriere di stamattina). D'accordo, ma la Juve tirerà pure fuori l'orgoglio, no? Mica perché si tratti di vincere o perdere il campionato, su questo è ormai inutile inventarsi ragionamenti; no, solo per fare un dispetto ai rivali, e impedire loro di prepararsi bene per la finale di coppa di Lisbona. E per guadagnarsi una vittoria di prestigio, che diamine! Già, ma chi arbitra? Questo non è un dettaglio secondario. Lo Bello? Era fuori da un po'. "L'auspicio è che Lo Bello sappia essere l'arbitro, e non il protagonista, di Juventus-Inter" (sempre Palumbo). Poi però qualcosa succede, c'è da ridere. C'è una mischia in area, un palo. Lo Bello fischia (si suppone per un fallo di Picchi, ma vai a sapere), Favalli segna (foto), Lo Bello convalida. Il fischio lo hanno sentito in parecchi. Ma ha fischiato oppure no?, gli chiedono alla fine. "Può darsi", risponde. 


1986
La Coppa viaggia oltre il limes

Quanto ci volle, per vedere un gol! Neppure quando - dopo centoventi minuti di agonia pedatoria - si arrivò all'ordalia dei calci di rigori, la sfera si rassegnava a varcare la linea di porta. Qualcosa finiva sempre per mandare all'aria l'appuntamento. Strana finale, quella che a Siviglia oppose il Barça e lo Steaua di Bucarest. Finale di Coppa dei campioni, il sogno della Catalogna. Prima o poi, certo, il diavolo si dimentica dei coperchi, ma non era ancora arrivato il momento. E, per el pueblo barcelonista, il diavolo assume le sembianze di Helmuth Robert Duckadam, portiere rumeno di scarsa fama internazionale. Nella serata del Sánchez Pizjuán avrebbe parato anche palle di cannone. Così, prima che il muro di Berlino venisse abbattuto dall'inesorabilità delle vicende umane, il simbolo del primato continentale si accasava oltre-cortina. E l'incubo del Barcellona durò ancora per qualche anno.
2003
L'ultima miniera

Caldo torrido al Meazza, in campo e sugli spalti. Serata inedita: derby, ma derby che coincide con la semifinale di andata di Champions League. "C'è in ballo l'ultima miniera: la paura di aver coraggio prevale sul coraggio tout court". E così, piano piano, "la sfida ritorna a essere lo specchio della stagione, i rossoneri a fare la locomotiva, i nerazzurri il vagone" (Roberto Beccantini, La Stampa). Reti bianche e poche emozioni, in buona sostanza. Parecchia tensione. E come sempre (o quasi sempre) quando molto ci si aspetta, nulla o quasi nulla accade.

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30 aprile

1922
Franza e Spagna (e il Rompe Redes)

Le due nazioni confinanti si sfidano per la prima volta nel gioco del pallone. Sono i francesi ad ospitare i vicini, e scelgono Bordeaux, su di un campo dove di solito rotolano palle ovali. Chiaramente, non c'è partita. Tra gli spagnoli brillano varie famose stelle; i galletti sono meno che modesti pedatori. Finisce quattro a zero,  con doppiette di Paulino Alcántara (foto) e di Manuel López Llamosas "Travieso", il cattivissimo delantero basco che nella Selecciòn giocò solo questa partita. Il secondo gol di Alcántara restò leggendario: uno "shoot enormisimo que nadie fuera capaz de detener ... Ha sido una de los mejores goals que he visto en mi vida. El balón impelido por el gran 'shootador' ha atravesado la red" (J. Ugalde, Mundo Deportivo). Uno shoot che gli valse il soprannome: Rompe Redes.

1950
Ciclone magiaro

L'Aranycsapat non parteciperà ai mondiali brasiliani. Non disputa nemmeno le gare di qualificazione, la federazione non dispone di quattrini sufficienti per l'iscrizione; epopea e tragedia brasiliana, epopea e tragedia magiara quattro anni dopo. Purtroppo, a Rio gli ungheresi non andarono. Resta il dubbio, il pensiero di ciò che avrebbero potuto fare. Così, in quell'anno, giocarono solo partite amichevoli. La prima al Megyeri út di Budapest, contro la Cecoslovacchia. Sebes, poco per volta, dà forma al progetto. Hidegkuti, Puskás, Kocsis inamovibili. E' una festa di cinque gol, due di Biró, due di Kocsis. Non c'era, in Europa, una squadra più forte di quella.

1967
Il Golden orchestra la rimonta

"Nella parte iniziale della partita mi sono fatto male alla caviglia sinistra. Ho avuto una grande paura: ma guarda, mi sono detto, ho già la caviglia destra che mi fa soffrire terribilmente ed adesso mi faccio male anche all'altra. E' finita. Invece ho ricominciato a correre e dopo qualche minuto non ho sentito più niente. Cosi ho potuto giocare meglio di quanto sperassi". Anonimo è il campionato del Milan, nel quale brilla solo Giovannino Rivera. La Juventus invece si propone come unica alternativa all'Inter, che però la tiene a distanza di sicurezza. I bianconeri, per la trentesima giornata, sono a San Siro, mentre l'Inter vola a Cagliari. Sui giornali si polemizza per i premi partita promessi e per quelli non promessi (neanche mille lire per i cagliaritani, del resto - sottolinea la stampa torinese - "questo non capita, o perlomeno capita ben raramente agli avversari dell'Inter", indotti perciò a impegno non massinale). La Signora si avventa, giusti i dettami di Heriberto, e passa con Menichelli. Rabbiosa la reazione milanista, orchestrata dal pur menomato Golden. Incontenibile, sforna tre assist - due veramente magistrali -, detta la rimonta, e in definitiva offre lo scudetto all'Inter su un piatto d'argento. Così almeno sembra. Il mese di maggio ha tuttavia in serbo parecchie sorprese.
Tabellino | Highlights | Documentazione



1990
Il mediano dimenticato

Si spegne, a Firenze, Mario Pizziolo. Gran mediano della Fiorentina, giocatore amato da Monsù Poss, che dall'inizio del 1933 lo schierava regolarmente tra i titolari. E tra i titolari parte nel mondiale del '34. Ma la sfortuna per lui è sempre stata in agguato: si rompe nella prima delle due partite contro la Spagna. Proprio a Firenze, nel suo stadio. Stringe i denti, rimanendo in campo per 120 minuti, coi legamenti di un ginocchio tranciati. Un giornalista dubitò dell'infortunio, e lui lo sfidò a duello - ma Federazione e Fiorentina impedirono che il giudizio di Dio avesse luogo. Naturalmente, non tornò in squadra per semifinale e finale; il regime gli negò la medaglia di campione del mondo. Un'ingiustizia riparata solo mezzo secolo dopo. Vivrà e morirà solo, in assoluta povertà.
Profilo | Necrologio (Repubblica, 1 maggio 1990)


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26 aprile

1903
La succursale di Bilbao

Ci sono studenti baschi che stazionano a Madrid. Gli piace il football. Cinque anni prima, a Bilbao, era stato fondato l'Athletic Club. Ma Bilbao è troppo lontana, per quell'epoca. Ci vuole un'altra squadra. Due squadre basche con lo stesso nome, una a Madrid. Nasce così l'Athletic de Madrid (poi Club Atlético de Madrid); si sgancerà dalla casa madre nel 1923. Ancora qualche anno, e i Colchoneros inizieranno a scrivere importanti pagine nella storia del calcio d'Hispania e non solo.

1930
Il dirigibile su Wembley

Probabilmente ignari di ogni futuro, i passeggeri del Graf Zeppelin si godettero lo spettacolo attraverso qualche fessura del dirigibile, che stazionò su Wembley per tutto il primo tempo. Rumore assordante, giocatori e astanti innervositi. Dall'incertezza. Quelli su guardavano giù. Quelli giù guardavano su. La partita era importante, e diventerà storica. Arsenal e Huddersfield si disputavano la coppa della Football Association. Iniziava il grande ciclo dell'Arsenal, pilotato da Herbert Chapman.
Tabellino | Video (British Pathé): uno - due


1967
Facchetti è un incubo!

Lo sostiene Stoyan Ormandzhiev, un uomo che non ha ancora cinquant'anni ma ha già allenato a lungo la nazionale bulgara, e che oggi siede sulla panca del CSKA di Sofia. Un incubo, certo: due partite, due gol, gli unici due gol dell'Inter, e dunque per stabilire chi andrà a Lisbona per contendere al Celtic la Coppa dei campioni è ora necessario uno spareggio. "Per fortuna che è un terzino e non un attaccante!". D'accordo, signor Stoyan, lo sappiamo bene, in realtà Giacinto è un attaccante, colpa vostra non averlo capito, Ma parliamo dello spareggio. Perché avete accettato di giocarlo in Italia? "Siamo convinti che questo nostro atteggiamento stupirà gli sportivi italiani, ma possiamo spiegare i motivi della nostra scelta". In effetti: nel 1961 hanno disputato a Milano una bella contro i francesi per andare in Cile, nel 1964 hanno liquidato il Portogallo a Roma e sono andati ai giochi di Tokyo, nel 1966 hanno sbaragliato il Belgio a Firenze e si sono così presentati al mondiale d'Inghilterra. Dunque le squadre bulgare, in Italia, giocano in casa. Gli porta bene, quanto meno. Dove si svolgerà lo spareggio, allora? "Abbiamo scelto Bologna". Perché proprio Bologna? "Per la buona conoscenza che noi abbiamo delle cose del calcio italiano", risponde, strizzando l'occhio. E Facchetti? "Quel Facchetti è un autentico incubo, per me!"


1981
A dodici secondi dalla fine

Una partita dura normalmente almeno 5400 secondi. Migliaia di istanti, che distribuiscono tante o poche emozioni. Non si può mai sapere. Fino all'ultimo, tutto può accadere. Come, per esempio, al Molinon, dove la Real Sociedad gioca l'ultimo match di questa temporada. Un pareggio le è sufficiente per aggiudicarsi il titolo, essendo la differenza reti negli scontri diretti col Madrid favorevole ai baschi. Gli asturiani, tuttavia, non sono in vena di fare regali. A tredici secondi dalla fine stanno conducendo la partita: due a uno. A dodici secondi dalla fine accade quel che è scritto debba accadere: Jesús María Zamora Ansorena (foto), centrocampista venticinquenne, ha nel nome di battesimo il proprio destino. E' l'uomo del miracolo. Gli arriva casualmente un pallone nel fango del cuore dell'area di rigore, e a occhi chiusi lo scaraventa in rete. Pareggio, e primo titolo nella storia del club di San Sebastián.
Tabellino | Il gol | Storie di calcio


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