Visualizzazione post con etichetta 2000. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta 2000. Mostra tutti i post

13 febbraio

1893
Il globe-trotter di Budapest

Nasce, a Budapest, Alfréd Schaffer. Gli anni migliori per lui - paradosso del football - coincisero con la Grande Guerra. Furoreggiava negli stadi della Mitteleuropa, e indossò decine di casacche. Un globe-trotter inesausto di reti; giostrò anche per la selezione ungherese tra il '15 e il '19 - quindici partite, praticamente tutte disputate tra Ungheria e Austria, diciassette centri. La maturità e l'esperienza ne fecero un allenatore stimato. Venne in Italia; fu lui a guidare la Roma nell'anno del primo scudetto.
Profilo


1911
Studenti a Praga

I giovani ritratti nella foto hanno palesemente l'aria annoiata. Sono studenti, sono di Spalato ma si trovano a Praga, e stanno concludendo la loro giornata  a U Fleků, famosa e antica birreria in centro-città.  Pare abbiano appena assistito al derby tra lo Sparta e lo Slavia. Che fare, si domandano? Idea! Perché non fondare  lo Hrvatski Nogometni Klub Hajduk Split? Detto fatto. Carta e matita. D'ora in poi si gioca a pallone! Non avrà vita facile, l'Hajduk, a motivo della politica e della storia che attraverseranno irriguardose quello spicchio d'Europa. 
1974
Los nervios del Waldstadion

Spagna e Jugoslavia si ritrovano a Francoforte. La posta è alta: prenotare o meno un albergo in terra tedesca per partecipare alla Coppa del mondo. Il torneo di qualificazione ha visto le due squadre chiudere alla pari; parità di punti, parità di differenza reti. Il Waldstadion è un inferno, dai rispettivi paesi sono convenute decine di migliaia di persone. Nervosa e imbrigliata, la Spagna delude. Perde, e non c'è appello. A casa anche questa volta, come nel '70. Il castigatore è Josip Katalinski (foto), grande difensore centrale dello Željezničar di Sarajevo.


2000
L'inviato di Eupalla

Liquidato il Maghreb con sei gol tra quarti e semifinali (tre all'Algeria, tre alla Tunisia), il Cameroon è trascinato da Samuel Eto'o (foto) alla finale di Coppa d'Africa. Si Gioca a Lagos, capitale della Nigeria, contro la Nigeria, imbattuta in casa da secoli. Chi vince, fa il tris di titoli. Match memorabile, due a due (Nigeria in rimonta), si va ai supplementari e poi ai rigori. La spunta il Cameroon, tra le polemiche. Un gol fantasma è stato inviato da Eupalla - sotto forma di penalty non convalidato, ma la sfera era entrata -, affinché anche nell'Africa ingenua se ne conoscano i capricci e i misteri.


27 gennaio

1899
Il giramondo

Nasce, a Budapest, Béla Guttmann. Ha giocato soprattutto in America ma ha allenato quasi tutte le squadre del mondo. Quarant'anni in panchina: a Vienna, in Olanda, nella sua Ungheria, in Romania, a Padova e a Trieste, in Argentina, in Israele, in Brasile, in Uruguay, in Svizzera, in Grecia, in Portogallo. Suo massimo capolavoro è stato il Benfica, con il quale ha messo fine al regno madridista in Europa. E' considerato tra i padri di tutti i padri del calcio moderno.


1935
Vince (quasi) sempre l'Uruguay

Ultima partita di un torneo a quattro (campionato del Sudamerica, sì, ma senza il Brasile), si gioca tutto in Perù. Naturalmente, la sfida è tra Argentina e Uruguay, e favorita è l'Argentina, che ha liquidato facilmente peruviani e cileni (doppio 4-1). Dall'altra parte, tuttavia, sono ancora in grande spolvero alcuni di quelli che avevano trionfato al Centenario nel 1930 e ad Amsterdam nel 1928: fra tutti, Héctor Castro (nella foto) e José Nasazzi. Con tre gol incassati già nel primo tempo, l'albiceleste è stordita e annientata.


1943
Morte di un dottore goleador

Si suicida a Milano il dottor Francesco Bontadini, capitano medico di complemento, due volte decorato al Valor militare nella grande guerra. E' stato il primo importante giocatore passato dal Milan all'Inter, e accadde nel corso del 1911. In nerazzurro milita per dieci anni, prima e dopo la guerra, segna molto, smette solo quando finalmente riesce coi suoi a conseguire il titolo. E', inoltre, autore del gol che assicurò la prima vittoria della nazionale italiana fuori dai confini: accadde al Rasunda e contro la Svezia, nelle Olimpiadi del 1912.


1963
L'1-3-1 del Madrid

Lo schema allude ai gol che (non in ordine di segnatura) Di Stéfano, Puskas e Gento infilano nella rete di un Barça male in arnese, a Camp Nou, per il Clàsico di ritorno della Priméra Division. L'ungherese (foto) non aveva mai timbrato il cartellino a casa del suo amico Kocsis in un match di campionato. A differenza di Alfredo Di Stéfano, suo vorace compare, Puskas si era educatamente astenuto, con la sola eccezione di una semifinale di Coppa dei campioni nella primavera del 1960.


1974
A metà del cammino
Finisce il girone di andata. Il Bologna, che di solito pareggia (fin qui, nove volte su quattordici), abbassa la guardia e si offre alla Lazio: quattro a zero. Maestrelli (nella foto) gira al vertice della classifica e avanti di tre punti rispetto alla Juve, dunque campione d'inverno. La quale Juve si arena al Comunale contro il derelitto Lanerossi. Nell'anno II dell'Era Pedonale, i supporters della Vecchia Signora si abituano ai mesti ritorni dallo stadio in tram, mentre a Roma preparano trombette, coriandoli e bandieroni.
Tabellino (sub data) | Highlights


2000
World's Eight Wonder

Si spegne a Victoria, in Canada, Sebastião Lucas da Fonseca, mozambicano, detto Matateu. Il predecessore di Eusébio (come lui era nato a Maputo), ma non giocò nel Benfica, e nella Seleçao portoghese uno iniziò quando l'altro aveva appena finito. Indossò la maglia del Belenenses dal 1951 al 1964, e non riuscì mai a vincere un titolo. Le volte che stava per riuscirci, gli venivano annullati gol decisivi, in partite decisive tra Belenenses e Benfica. A metà dei 1950s s'innamorarono di lui gli inglesi, e diventò l'ottava meraviglia del mondo.

14 gennaio

1966
Münchner Derby

Campionato di transizione per il Bayern, appena arrivato al fussball
che conta dalle scampagnate della Regionalliga Süd. Obiettivo principale:  togliersi qualche soddisfazione. Per esempio, vincere il derby con quegli snob del 1860. All'esordio agostano era andata male: zero a uno (al Grünwalder, ospitava il TSV). La rivincita è ridondante: tre a zero. Secondo obiettivo: inserire in prima squadra e consentire una tranquilla crescita ai promettentissimi giovani bavaresi che si stanno facendo le ossa: Sepp Maier, Franz Beckenbauer (nella foto, lui e Wilfried Kohlars), Gerd Müller.  Quando saranno grandi, vinceranno tutto, dappertutto. Al 1860 ricordano però ancora bene quella stagione, se non proprio quel derby: perché alla fine si presero il titolo, primo e ultimo della loro storia.


1970
What a load of rubbish!

L'Olanda non era mai stata a Wembley, e pochi erano anche i precedenti tra Oranje e albionici. Ramsey prepara la spedizione messicana, c'è un titolo da difendere. E' giusto capire se ci sono alternative ai titolari. Per esempio, perché non vedere come se la cava quell'attaccante del Nottingham, Ian Storey-Moore? Beh, ci vuol poco a capire che questa maglia è troppo per lui. E non solo per lui, perché "ciò che ha maggiormente indispettito il pubblico è stata soprattutto la mancanza di idee degli attaccanti, che una volta ricevuta la palla sembravano non sapere assolutamente cosa farne" (La Stampa, servizio speciale). Nella linea avanzata, però, c'era anche Bobby Charlton. Svogliato; il declino dei grandi pedatori, del resto, inizia a manifestarsi così. Sicché "neither England's status as world champions nor gratitude for Sir Alf Ramsey could stop the choruses of what a load of rubbish and bouts of slow hand-clapping castigating an experimental team's failure to pierce the opposition's defence during a goalless draw" (The Guardian).
TabellinoHighlights (Britishpathé)


2000
Il club del mondiale per club

La vecchia, gloriosa e rognosa Coppa intercontinentale sta per andare in pensione. Ci vogliono kermesse più lunghe e attrattive per i network televisivi. La prima edizione (sperimentale) del 'mondiale per club' si disputa in Brasile: tutte le partite al Maracanã e al Morumbi. United e Real (soprattutto lo United) sgambano, snobbando la competizione. In finale ci arrivano il Vasco di Edmundo e il Corinthians di Nelson de Jesus Silva (alias Dida: i due insieme nella foto) : ai rigori, la coppa è paulista.

28 novembre

2000
Hombre de la pelicula

Poi, alla fine, nonostante da questa parte dell'Atlantico abbia combinato pochissimo; nonostante anche dalla sua abbia vissuto costantemente (e si parla di campo) sopra e sotto le righe, non essendo costanza e regolarità il suo forte; nonostante le sue gesta più note siano sempre all'insegna dell'esagerazione (i tre rigori sbagliati in una sola partita, o i gol di testa segnati da quaranta metri, ma il catalogo delle sue imprese - esaltanti o disperanti - sarebbe assai lungo); nonostante tutto, poi devi ammettere che in fondo la sua dimensione di idolo della dolce, la calda tifoseria Boquense, non è usurpata.
Per esempio, in quell'anno che secondo taluni appartiene ancora al XX e secondo altri invece è già XXI secolo, in quell'anno dunque così speciale, chi è che decide la coppa del mondo per le squadre di club? Lui, el Loco, che da vero hombre de la pelicula non accetterebbe mai un ingaggio da comparsa nei kolossal proiettati sugli schermi dei cinque continenti.
Martin Palermo, che nel giro di cinque minuti, i primi della partita, ha già beffato due volte Iker Casillas, per poi estraniarsi e aspettare i titoli di coda, e il ritorno a Baires con la copa, quella che sola ancora mancava nel suo palmarés.

25 agosto

1967
Rispetto per la Lega Pirata!

E certo, che colpa ne hanno gli organizzatori? Chi poteva pensare che su New York piovesse ininterrottamente per giorni e giorni, alla fine di agosto? Qualcuno dirà: di solito, a pallone, si gioca anche quando piove. E, di fatto, è ciò che pensano anche quelli del Santos e l'allenatore dell'Inter. Del resto, le due squadre hanno in programma un fitto calendario di amichevoli, il rinvio di una sola di queste manda a pallino la preparazione e costringe ad accumulare stanchezze impreviste. Dunque, si gioca o no? No, si rinvia a domani. E perché? Prevendita fiacca, dicono. Ma - soprattutto - perché allo Yankee Stadium il campo sarebbe talmente zuppo che - aggiungono i tenutari del medesimo - giocandoci "con più di dieci millimetri di acqua a terra" ne verrebbe rovinato, impedendo così la disputa (prevista domani pomeriggio) di una partita della 'Lega Pirata'. Tutto vero, lo scriveva Gianni De Felice sul Corriere. Ma cosa diavolo era la 'Lega Pirata'? Facendo opportune ricerche, l'abbiamo capito. Ma una spiegazione sarebbe lunga e - tutto sommato - la cosa non interessa a nessuno.


2000
Jardel stasera gioca nel Gala e dà la paga ai Galácticos

Se n'è andato Hakan Sukur, e pazienza. Ma è arrivato Mario Jardel, e tanto basta. A Istanbul è un'altra notte di festa, dopo la Coppa UEFA arriva anche la Supercoppa. Un'annata fantastica. Nello stadio ultra-moderno del Principato, il Gala schianta i Galácticos: ai supplementari, ma solo perché l'arbitro regala un penalty al Real. Ai supplementari, ci pensa Jardel: doppietta. Ciao Luis. Luis Figo, appena arrivato anche lui. Ciao Luis, gli fa Mario. Jardel, del resto, ha appena iniziato a girare il mondo, e al Gala resterà una sola stagione. Prima di sbarcare in Turchia aveva segnato valanghe di reti nel Porto, che aveva scommesso su di lui dopo qualche stagione non esaltante in patria, nel Vasco e poi nel Gremio. Un anno in Turchia, un gol a partita. Poi andrà nello Sporting (a Lisbona), poi in Inghilterra (Bolton), in Italia (Ancona), poi in Argentina (Newell's), poi in Spagna (Alavés), poi tornerà in Brasile (Goias e Beira-Mar), poi ha nostalgia del Mediterraneo e firma per l'Anorthosis Famagosta, poi è curioso di visitare l'Australia (Newcastle's Jets), poi tre anni (e quattro squadre) in Brasile (Criciuma, Ferroviario, America, Flamengo Piauí), poi fa mente locale e quattro conti ("dove non sono ancora stato? Ma certo, in Bulgaria!"), eccolo per un anno a Varna, poi un altro in Amazzonia (a Manaus, nel Rio Negro), e poi a godersi il deserto saudita, a Buraidah. Ma non ha più vissuto una serata come quella del Louis-II, e nessuno sa dire con certezza cosa cercasse (oltre, forse, al quattrino) in questo suo inesausto girovagare.
Cineteca

9 agosto

2000
Helsingborg

Mi telefona un amico, ma sono tentato di non rispondere. Trovandomi in vacanza, preferirei non essere costretto a parlare di argomenti che non mi interessano. Ma poi, come si fa? Non si trattano così gli amici, e allora rispondo.
Ehilà, come va?
"Diciamo che sono scappato di casa senza dir niente a mia moglie. Ma torno domani".
Scappato di casa? E dove sei ora?
"A Stoccolma. Ma ho un problema".
Santiddio, cosa ci sei andato a fare?
"Indovina".
No, non lo voglio sapere.
"Ma ho un problema, ripeto".
Beh, come posso risolverlo?
"Non puoi. Mi manca il tempo. Pensavo che Helsingborg fosse da queste parti, e invece è molto più a sud".
Bravo! E perché ti interessa così tanto Helsingborg?
E' esattamente la domanda che non avrei dovuto fare. Inizia ad urlare, urla così tanto che non capisco nulla, e poiché non ho voglia di urlare a mia volta per far presente la cosa, chiudo la telefonata. Certo, poi me ne pento, e comincio ad avere sospetti che però ritengo infondati, in fondo siamo nel cuore del cuore dell'estate. Il giorno dopo, casualmente al bar mi si apre il giornale sulle pagine sportive. Ah ecco, penso. Sotto sotto, me lo immaginavo. Voleva vedere una partita. Helsingborg-Inter, Champions League, anzi 'turno preliminare' di Champions League, l'Inter ha perso uno a zero, ci sarà rimasto male. Pover'uomo. Mentre sorseggio il solito ottimo caffé, mi arriva un messaggio sul cellulare. E' sua moglie. "Se hai notizie di lui, non le voglio sapere".
Tabellino | Highlights


2012
Italo-americano con sospetto di ascendenze scozzesi

Lecco. Alla presentazione della squadra locale, serie D, i giocatori sono stati insultati e, alla prima reazione verbale (a conferma della contiguità culturale tra teppisti e pedatori), aggrediti a calci e pugni dagli ultras nell'antistadio, dandosi poi alla fuga da un'uscita secondaria. Il motivo? Ostilità verso il nuovo proprietario, l'italo americano Joseph Cala. L'allenatore Stefano Franciosa ha constatato l'ovvio ("è vergognoso"), ma anche l'ineffabile: "alcuni giocatori non erano nemmeno tesserati". Forse bastava esibire il tesserino per non essere menati? Dal canto suo, Joseph Cala, pittoresco presidente del Lecco (che nel febbraio 2011 aveva provato a rilevare la Salernitana - foto - per poi dileguarsi dopo nemmeno due settimane), dichiara alla stampa di essere stato aggredito dagli ultras: "sei o sette criminali mi hanno picchiato e minacciato affinché io me ne vada". Alla polizia però non risultano denunce e al pronto soccorso il suddetto è stato refertato con un codice bianco, senza segni di ecchimosi e tumefazioni. Ancora Cala commenta la vicenda eticamente: "A Lecco non è possibile fare calcio, pagatemi quel che ho speso: 100 mila euro e me ne vado. Ma voglio i soldi, non le chiacchiere. Sono 60.000 euro di spese, più la fideiussione che ho versato". Le origini sono palesemente italiche. Con sospetto di ascendenze scozzesi però.

2 luglio

1950
Girone di ferro per l'Uruguay

Inizia e finisce, in una sola partita, il gruppo 4 della fase preliminare. E' composto di due sole squadre, entrambe arrivate qui per rinuncia delle nazioni contro cui avrebbero dovuto guadagnarsi la qualificazione. Bolivia e Uruguay. Per l'Uruguay, un autentico girone di ferro. Non si fa dell'ironia. L'ultima volta, cioè poco più di un anno fa, a Rio, la Celeste ha buscato. Era una partita di Copa América. Era la prima volta che perdeva con la Bolivia, dalla quale anzi non aveva mai incassato nemmeno una rete nelle precedenti occasioni. Però, a ben pensarci, non giocava quasi nessuno dei titolari. La poderosa delantera del Peñarol (Ghiggia, Schiaffino, Hohberg, Vidal, Miguez) era in sciopero, e a far figuracce in Brasile mandarono dei ragazzini. Ora la situazione è diversa. Gli assi ci sono, e soprattutto sono tirati a lucido. Sono tra i candidati al titolo, e hanno voglia di dimostrarlo. Infieriscono senza pietà: otto gol, ben distribuiti tra primo e secondo tempo. L'Uruguay è una bomba ad orologeria.
Cineteca



1982
Tu quoque, Diego?

Per sfortuna di Ciro Menotti, il centravanti del Brasile non è più quello del 1978. Oddio, non che Serginho sia meglio del Dinamite, anzi. Fa il palo, là davanti. Anzi, lo spaventapasseri. Ma non spaventa nessuno, ed è per questo che si trova da solo in mezzo all'area quando, verso la metà del secondo tempo, esausto per una furente percussione vista e accompagnata da Zico con delizioso tocco di esterno destro, Falcao mira la sua capoccia, la centra in pieno, il pallone rimbalza in direzione di Fillol ed è la rete del due a zero. I detentori della coppa capiscono che ormai la cuccagna è finita, ma Zico la deve pagare. Ci pensa Passarella, specialista dell'intimidazione, e mentre il Galinho viene accompagnato fuori molti si domandano come faccia un uomo di quella statura ad avere una caviglia così grossa. Poi anche el Pibe, sul quale i barcellonisti cominciano a fare discorsi densi di punti interrogativi, si indigna nei confronti di Batista, che era entrato giustappunto per sostituire Zico e ha pensato valesse la pena di colpire al volo il testone di Juan Barbas, infischiandosene delle conseguenze. "Ma sì, state vincendo tre a zero, almeno tu ricordati di me", e come souvenir gli sistema una magnifica suola bella piena di tacchetti nel basso ventre. A questo punto Mario Rubio Vasquez perde la pazienza: "tu quoque, Diego?". Essendo l'arbitro, ha il diritto di amministrare la giustizia almeno in questa partita, e dunque la amministra: cartellino rosso (foto). Finisce così, tra i fischi del Sarrià, la disperata avventura dell'albiceleste al mundial di Spagna. Maestoso e tremendo, il Brasile si è liberato degli argentini come fossero insetti nemmeno troppo fastidiosi. Si sbarazzerà facimente anche dell'Italia, pensano i più, e poi via, rotta su Madrid.

2000
La dignità di un allenatore

L'arma preferita dagli italiani quella sera si inceppò. Il destro di Del Piero era caricato a salve, e millanta occasioni da gol andarono sprecate, nonostante il deserto nella trequarti difensiva dei francesi. Così, un pallone in zona Cesarini trova la strada per passare in mezzo alle gambe di Toldo, e un altro viene scaraventato alle spalle del medesimo e con cattiveria platense da Trezeguet (foto), confermando il trend inaugurato nel '98: gli azzurri sprecano, i galletti capitalizzano. Inutile girarci intorno: il reiterato scialo moltiplica automaticamente le possibilità che faccia capolino la nemesi, e quella sera andò esattamente così. Quando hai di fronte avversari insidiosi, possono sempre e improvvisamente trovare la combinazione giusta e spalancare la tua cassaforte. Il gollettino di un carneade come Marco Del Vecchio costituiva appunto - dopo tanto sperpero - quanto rimasto all'Italia sul conto della finale nei minuti conclusivi; il bullismo multietnico transalpino lo razziò quasi per inerzia, e i rappresentanti della nazione avviarono la caccia al colpevole di tanta demenza. Ex post, la partita è ricordata soprattutto per il violento attacco frontale portato dal capo dell'opposizione politica e parlamentare al commissario tecnico della nazionale: a Dino Zoff, bandiera vivente del football italiano. Declassato improvvisamente a dilettante: "Si poteva vincere e bisognava vincere. I problemi riguardano la conduzione della squadra: non si può lasciare la fonte del gioco Zidane sempre libero. Era una cosa che non si poteva non vedere, anche un dilettante l'avrebbe vista", disse Silvio Berlusconi, a reti unificate. Trascorrono quarantotto ore, e il furlano reagisce, con stile e compostezza. Rassegna le dimissioni, gesto raro. "Dal signor Berlusconi non prendo lezioni di dignità. Non è giusto denigrare il lavoro degli altri pubblicamente, non è giusto che non si rispetti un uomo che fa il suo lavoro con dedizione e umiltà". Con dedizione e umiltà, l'Italia stava per sollevare la coppa in faccia ai campioni del mondo. Ma non era destino.
Cineteca


2010
L'istante più crudele nella vita di Asamoah Gyan

Osservate lo sguardo di quest'uomo. Ha le mani in testa. Tra un istante, potete scommetterci, inizierà a piangere. Si chiama Asamoah Gyan, soprannominato Baby Jet. Anzi, a ben pensarci, la sua è un'espressione incredula. Cos'è successo? Semplice: stava per entrare nella storia, ma all'ultimo istante la storia ha tirato giù la saracinesca. Sa che un'intera nazione dell'Africa nera, il Ghana, che è poi la sua patria, in questo momento sta pensando cose orrende di lui. Perché? Solo e semplicemente perché ha sbagliato un calcio di rigore. Cosa c'è di più apparentemente normale, banale, ricorrente nel calcio, di un calcio di rigore sbagliato? Tutti i giocatori si disperano, quando accade. Il portiere graziato fa salti di gioia, e la vita di quelli che hanno tratto vantaggio dall'errore torna a fluire, ordinaria e piena di vere o false promesse. Stavolta, però, siamo davvero al cospetto di un caso limite. Estremo. Mai verificatosi nella storia, e che difficilmente ricapiterà, vai a sapere. Tornate a guardare il volto di Asamoah. In questo momento, l'arbitro ha appena fischiato la fine della partita. Anzi: la fine del secondo tempo supplementare. Sul dischetto, Baby Jet andò sapendo che a lui spettava il gesto finale e decisivo. Che avrebbe portato il Ghana in semifinale e, dunque, nella storia. Ora, riavvolgiamo il nastro del tempo, ma solo per qualche secondo. Ecco, da qui. Il giocatore prende la rincorsa. Colpisce la sfera. La sfera si muove, decolla, decolla ancora, non cessa di muoversi all'insù. Asamoah vorrebbe tanto che restasse impigliata nella rete tesa alle spalle di Muslera, il portiere dell'Uruguay. Ma il pallone si alza ancora, e se continua così - pensano in tutta Johannesburg - viaggerà fino in fondo alla notte, e atterrerà su qualche pianeta situato al di là del sistema solare. E invece no. Quel pallone si schianta in volo, contro la traversa. Non esplode in mille frammenti sintetici, ma nella mente di Asamoah tutto un futuro già immaginato dissolve all'istante. Non vorrebbe crederlo, ecco ancora la sua espressione. Il futuro deve ricominciare, molto è accaduto ma è come non fosse accaduto nulla. C'è un'altra partita da giocare, fatta solo di altri e tanti calci rigore, e la vincerà l'Uruguay. 


  • Vedi anche le partite del 2 luglio in Cineteca

29 giugno

1950
Frankie voleva giocare a baseball

"I britannici, consci della loro superiorità tecnica, hanno dormito troppo fra gli allori ed hanno sottovalutato l'importanza dell'incontro. Hanno incassato senza batter ciglio la rete statunitense, senza scomporsi hanno tentato di rimontare lo svantaggio e, senza perdere mai la calma, hanno perso la partita" (Monsù Poss). Accadde nel primo torneo mondiale cui l'Inghilterra si degnò di partecipare. Spezzate le ossa al Cile nello storico match d'esordio, pagò il tremendo sforzo con l'amatoriale truppa americana. Non è vero che nelle redazioni dei giornali inglesi, quando fu telegrafato l’esito della partita, si pensò a un errore, e dunque non corrisponde a verità quanto spesso si legge, e cioè che annunciarono la vittoria dei Leoni col risultato di dieci a uno. Frank Borghi (foto) chiuse la saracinesca, e difese l'unico gol della partita, segnato per gli Stati Uniti dall'haitiano Joe Gaetjens. A proposito di Frankie. Gli sarebbe piaciuto diventare un grande giocatore di baseball, ma non ebbe fortuna. Decise allora di darsi allo sport meno popolare negli States: il soccer. Non aveva la minima idea di come si calciasse la sfera. Un pedatore meno che modesto, anche per i canoni del suo paese. Allora lo misero in porta - come sempre capita a quelli scarsi, si dice -, e giocò qualche partita nella selezione degli Stati Uniti. Di mestiere, però, faceva l'autista. In un'agenzia di pompe funebri. Nessuna battuta: sarebbe poco divertente e molto scontata.


1958
Questa maliarda e girovaga Coppa

Fu (e resterà) l'unica volta che il team della nazione ospitante perse in finale la coppa del mondo, perché quella del 1950 non era una vera e propria finale. A differenza di quel che accadde a Rio, qui non fu una tragedia. Anzi. Ragazzini dalla biondissima zazzera, e dunque sicuramente indigeni, dopo la partita, irruppero tumultuosamente nello spogliatoio dei brasiliani per fare incetta di autografi. L'autobus dei nuovi campioni percorse a tetto scoperto le vie di Stoccolma seguito da un corteo di auto strombazzanti. Naturalmente, si possono soltanto immaginare le sarabande che, nelle medesime ore, venivano organizzate da Copacabana a Sao Paulo. Anche Monsù Poss potè partecipare alla festa, invitato da Feola. "Rividi la Coppa che avevo tenuto per qualche giorno sul mio tavolo vent'anni prima. Le diedi un memore e nostalgico bacio di addio prima che essa varchi, dopodomani, l'Oceano nelle mani dei suoi nuovi padroni. Ne valeva la pena. Non siamo tanto sicuri di rivederla ancora, questa maliarda e girovaga Coppa".


1986
La corsa a perdifiato del Burru

La mossa del Kaiser sembra intelligente. Piazzare il terribile Lotario in marcatura fissa sul Pibe. Lotario è un bull-dog, è veloce, reattivo, capisce il gioco. Se il Pibe è messo in condizioni di nuocere poco, o di non nuocere affatto, i tedeschi vincono sicuramente la partita. Infatti, tolto Lui, gli altri cosa sono? Poeti e ronzini. Solo che, senza Lotario, il centrocampo della Germania è in balìa della propria assoluta pochezza. Quindi il Kaiser ha commesso un errore. Anche Bilardo. Carlos Bilardo - uno per il quale i giocatori si sostituiscono solo da morti - tiene in campo Brown, spalla fuori uso e braccio al collo (come Franz, sempre all'Azteca, nel '70), nell'ultima mezz'ora. Anche per questo i tedeschi rimontano due gol in pochi minuti. Ma non riprendono fiato, in attesa dei supplementari. I caratteri originali della natio producono altri immediati e dissennati arrembaggi. Beckenbauer urla, ma nessuno lo sta a sentire. Così, nell'unica artistica intuizione del pomeriggio, Diego spedisce Burruchaga nella prateria infinita che si stende davanti a Schumacher. El Burru si dispone in apnea, corre più veloce che può, e nessuno riesce a raggiungerlo fino a che, ormai in agonia, riesce a indirizzare il pallone sull'angolo più lontano. Tre a due, e coppa del mondo che torna in Argentina. Il vecchio Franz, quando ci ripensa, si mangia il fegato.


2000
A testa alta sulle barricate

D'accordo, non sei uno specialista. Ma tocca a te. Vai sul dischetto, posizioni la sfera, prendi la rincorsa. L'hai fatto apposta a spedire il pallone fuori dallo stadio? Certo che no. Infatti la colpa non è tua. La colpa è dell'allenatore. Il mite Frankie Rijkaard accusa se stesso prima che lo facciano gli altri, e rassegna le dimissioni. Gli olandesi sono dei poveri cristi, spossati e prostrati. Hanno giocato in undici contro dieci per più di un'ora e mezza. Hanno tirato in porta migliaia di volte, e poi hanno sbagliato una quantità impressionante di calci di rigore. Chiaro che, se sprechi tutto ciò che è possibile sprecare, la nemesi è in agguato e perdi la partita. Così, oggi i giornali italiani cantano le lodi del calcio all'italiana. Resistenza eroica, Nesta e Cannavaro a testa alta sulle barricate. Certo, abbiamo vinto immeritatamente. E' il nostro modo. Non siamo nati per dare spettacolo, bensì per impedire ai nostri avversari di divertirsi giocando a pallone - il che può essere molto spettacolare, secondo taluni. E' per questo che ci detestano, anche se - sotto sotto - ammirano la nostra praticità.  "Non c'è tanto da stare a discutere se il calcio degli italiani è bello o no: finché vince ha ragione", taglia corto Thierry Henry, il nostro prossimo avversario.


  • Vedi anche le partite del 29 giugno in Cineteca

17 giugno

1954
Il pallottoliere

Misteriosamente qualcuno regalò a Eupalla un pallottolliere, vai a sapere chi (forse l'inventore) e perché. Accadde poco prima che, sugli altipiani elvetici, gli uomini si sfidassero nel gioco del pallone per vedere di quale nazione fossero i più bravi del mondo. Dopo tanti anni, quel campionato tornava ad essere disputato in Europa, nascosto dalle Alpi ma con trasmissioni in diretta delle partite, alle quali si poteva assistere acquistando un apparecchio televisivo o recandosi in visita - all'ora giusta - presso lo possedeva già. Ma torniamo alla storia del pallottolliere. "A cosa servirà mai?", si domandava Eupalla. A un certo punto capì: serve per contare i gol e tenere il conto di quelli che vengono segnati in ciascuna partita. E' uno strumento molto utile, ma certo: ai portieri non piace.  "Che meraviglia!". Lo sperimentò durante la prima partita in programma al Saint-Jakob di Basilea, dove scendeva in campo una delle squadre più forti che siano mai esistite: l'Inghilterra, che credeva di mangiarsi il Belgio in un solo boccone (come sempre era accaduto). Funzionò davvero alla perfezione, perché a Gilbert Merrick (foto) - portiere albionico in forza al Birmingham City, club di seconda divisione - quel pomeriggio si appannarono i riflessi e la vista. Finì quattro a quattro dopo i tempi supplementari. Altri, nei giorni successivi, manifestarono lo stesso problema di Merrick. Infatti, durante la Coppa Rimet del 1954 si disputarono in tutto ventisei partite, e furono realizzati centoquaranta gol.
Inghilterra-Belgio: cineteca


1986
L'inutile mordacchia

Un amico mi telefona prima della partita, è su di giri. "Cosa pretendono i francesi? E va bene, sono campioni d'Europa. Bella forza, hanno giocato in casa e noi non c'eravamo. Ma ora che mi viene in mente: noi non siamo campioni del mondo? Yes,oui, ja, da. Lo siamo. C'è Platini? Bene: lo francobolliamo. Non gli si fa toccar palla, e se serve gli facciamo passare la voglia di riceverla. Chiedi ragguagli in proposito a Zico e a Diego. Come? Gentile? Certo che gioca, sì è probabile che sia lui l'eliminatore ... pardòn, il marcatore. Come? Ah, credevo che il Vécio l'avesse convocato. Allora ricorreremo a una gabbia e se serve al disco di Norimberga; gli metteremo la mordacchia, stai tranquillo. E comunque, non ci battono dal 774 dopo Cristo, qualcosa significherà. Ci sentiamo per i quarti di finale". Roi Michel, dopo un quarto d'ora, ha già fatto servire le paste: significa che tra poco l'Universitario della Ciudad chiude i cancelli. Con un'alzata di spalle, spengo la TV: le cose vanno esattamente come immaginavo. Abdichiamo mollemente: non me ne rallegro, ma è il naturale corso degli eventi. Il giorno dopo apro il giornale, e scopro che il mio amico, almeno in parte, aveva ragione. "Italia-Francia inizia e finisce con la caccia irrefrenabile a Michel Platini. Prima in campo, poi negli spogliatoi. La gente lo ascolta come si guarda una stella cadente che è splendida e che lascia sgomenti".


2000
L'inutile eccezione alla regola di Lineker

Allora, avranno pensato i sudditi della Regina, l'unica cosa da fare è giocare con la maglia rossa, come nella finale del 1966. A mitigare l'entusiasmo sono le notizie in arrivo dal Belgio: gli hooligans hanno messo a ferro e fuoco la bella Carloré, Vallonia. Colpa loro se, nel 2006, i mondiali si giocheranno in Germania e non in Inghilterra. A onor del vero, una certa sfortuna non se la sente di abbandonare gli inglesi. Sarà un effetto collaterale di altre magagne, non discuto. Per una volta che la legge di Lineker non viene applicata, per la santa volta (c'è sempre, ed è appunto santa) che l'eccezione conferma la regola, per una maledettissima volta che riescono a spuntarla con i tedeschi, finiscono tutti insieme (inglesi e tedeschi) nelle immaginarie e sulfuree paludi di un girone che non c'è più nemmeno ai tornei olimpici dai tempi dei Giochi di Amsterdam: quello di consolazione. Già. Inghilterra Germania uno a zero (Alan Shearer: foto), ma nei quarti del campionato d'Europa ci andranno Portogallo (passi) e Romania. Bella roba. "Troppi giocatori che la nazionale dovrebbero vederla in televisione" (Gianni Mura) schierano le due gloriose rappresentative.
Tabellino | Highlights

  • Vedi anche le partite del 17 giugno in Cineteca

24 maggio

1961
Inferiority complex

Mariolino Corso indossa la sua prima maglia azzurra, e per poco non accade il miracolo. All'Olimpico di Roma, l'Italia - quando manca meno di un quarto d'ora al triplice fischio - sta vincendo sugli inglesi. E caspita, sarebbe anche ora, quelli ormai non fanno paura a nessuno. Ma è evidente che li soffriamo. E' chiaro che, in fondo, abbiamo ancora nei loro confronti un notevole inferiority complex. Altrimenti non riuscirebbero a ribaltarci proprio sullo scorcio del match. Due gol, li segnano proprio Jimmy Greaves e Gerry Hitchens. Sembrano due fuoriclasse - e Greaves potrebbe esserlo, non fosse (Brera dixit) "un gran lavativo"; Milan e Inter li ingaggiano, ma se ne pentiranno molto presto. Resta il dato: degli inglesi - per quanto presuntuosi e modesti - ancora non veniamo a capo. Nonostante Mariolino. 

1972
Il prototipo dell'ala sinistra

Camp Nou, finale di Coppa delle coppe. E' la grande serata di William McClure ("Willie") Johnston (foto), ala sinistra dei Rangers. Un bel tipo. Di lui si ricordano parecchie storie. Per esempio, un Old Firm di un sabato d'ottobre nel 1970. Era talmente incontenibile sulla sua fascia, quel pomeriggio, che nessuno del Celtic osava più affrontarlo, temendo di esserne ridicolizzato. Cosa fece allora? Lì, ad  Hampden Park, davanti a (dati ufficiali) 106.263 spettatori, improvvisamente fermò la corsa, fermò il pallone e ci si sedette sopra, aspettando che qualcuno mostrasse d'avere sufficiente coraggio per provare a sottrargli il giocattolo. Un anno dopo, il 4 settembre 1971, in un match di First Division a Maryhill (periferia di Glasgow) contro il Partick Thistle,  mise ko (bel pugno!) un terzino che aveva passeggiato sul suo ginocchio mentre lui era a terra, brutalmente falciato dal medesimo.  Espulso, naturalmente; i Rangers persero inopinatamente, la squalifica fu pesante e gli inibì per diversi anni la chiamata nella Tartan Army. Nel '78, tuttavia, lo portarono in Argentina; e va beh, quando risultò positivo al test anti-doping dopo Perù-Scozia, la sua carriera era ormai agli sgoccioli. Episodi ritagliati dalla vicenda agonistica (sempre sopra le righe) di un pedatore irascibile e controverso, che tuttavia resterà indimenticabile perché scritta nella storia dei Rangers: fu Willie Johnston, infatti, ad aprire (virtualmente chiudendola) con una fantastica doppietta la polemica finale di Camp Nou, contro la Dinamo di Mosca. L'unico alloro europeo, in definitiva, a tutt'oggi conquistato dai Gers. Molti gli avranno chiesto e gli chiederanno ancora di raccontare qualche dettaglio di quella serata, nel pub-museo che gestisce insieme al figlio a Kirkaldy, piccolo centro affacciato sul mare, East Coast della  grande madre Scozia. 

2000
Picnic allo Stade de France

E' la prima, davvero la prima volta che due club dello stesso paese vanno in gita fuoriporta per contendersi il più prestigioso alloro continentale. Capita al Real Madrid e al Valencia Club de Fútbol  - il sorprendente Valencia di Héctor Cúper, dove vivevano formidabili anni alcuni formidabili jugadores che poi, adocchiati e strapagati da club italiani, si rivelarono poco più che formidabili bidoni. Il picnic si tenne nientemeno che allo Stade de France, ma ai Murciélagos le vivande andarono tutte di traverso. Un secco tre a zero, nessuna discussione. Bambini si torna a casa, è stata comunque una bella cosa. L'unico un po' accigliato era proprio Héctor (foto), la cui fama di vincente che perde sempre le partite più delicate si stava consolidando.

  • Vedi anche le partite del 24 maggio in Cineteca

7 aprile

1963
La Juve e i suoi centroavanti 

Se n'è andato il vecchio John Charles, ma la rosa della Juve trabocca di centravanti. Nicolé, grande promessa, che però all'ombra del gallese ha dovuto imparare il mestiere dell'ala; il ‏giovanissimo Zigoni, troppo acerbo - dicono; Dario Cavallito, figlio del tizio che gestisce il bar del Filadelfia (e dunque, capirai: zero presenze); Miranda, il brasiliano, spilungone capace di grandi bordate dalla distanza e poco altro; infine, Bruno Siciliano (foto), nato a Rio ma di origini italiane e dunque ingaggiato come oriundo. In virtù del nome, contro il Catania gioca lui. Partita importante, se vogliono sperare di continuare la volata con l'Inter i bianconeri devono vincerla. Niente da fare. Restano all'asciutto, ancora una volta. "Senza ali e senza centroavanti non si segnano goals", dice l'amico inviato di 'La Stampa', e ormai gli ultimi messi a tabellino risalgono alla notte dei tempi. Sicché il Catania ne approfitta. Si difende con sette, otto uomini (nemmeno poi tanti), "un solo contropiede, uno solo, ed è venuto il goal". Beh, capita, nel calcio capita, e non di rado. Dunque l'Inter saluta la compagnia, il campionato in pratica finisce oggi. E chi ha segnato per il Catania? Ha segnato Milan. Luigi Milan, di Mirano. Proprio lui.


2000
La seconda morte

Si spegne, a Santos, Moacir Barbosa Nascimento. Era già morto da tempo, in realtà. Da quando, in un pomeriggio d'estate di Rio, non riusci a intercettare due palloni calciati verso la sua porta da Schiaffino e da Ghiggia. Non erano tiri imparabili, dicono. Il Brasile perse la coppa del mondo, e lui fu ritenuto il principale colpevole. "Guardalo, figlio mio. E' l'uomo che fece piangere tutto il Brasile", diceva una madre al supermercato vent'anni dopo il maracanaço. "Piangeva sulle mie spalle. Sino all'ultimo momento ripeteva: eravamo in undici, non posso essere considerato l'unico colpevole di quella sconfitta": questa è l'ultima testimonianza, resa da una sua amica dopo la morte.
Profilo | Necrologio (Alex Bello, The Guardian, 13 aprile 2000) | Eupallog Biblioteca


2004
Riazoraço

Nessuno avrebbe scommesso un cent sui Turcos, specie dopo che al Meazza erano stati messi sotto dal gran gioco del Milan di Carletto. Una primavera brillante e spettacolare, nella quale emergeva di partita in partita il nuovo astro rossonero: Ricardo Izecson dos Santos Leite. E invece, al Riazor accadde l'inimmaginabile. Il Deportivo si produce in un'epica remuntada, il Milan stramazza sotto l'umiliante peso di uno 0-4 che lo estromette dalla Champions League proprio nell'anno in cui era sicuramente la miglior squadra d'Europa. I galiziani non fecero strada, invece. Dall'ultima curva sbucherà, inattesa e fortunata, la sagoma di José Mourinho.



Vedi anche le partite del 7 aprile in Cineteca