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14 agosto

1963
La sagra del football scandinavo

Qualcuno certamente non si è accorto della sua esistenza, e dunque può essere utile sapere che la Nordic Championship era una delle tante competizioni 'vicinali' nate prima della Coppa del mondo. In sostanza, la versione scandinava della British Championship o della Coppa Internazionale; avviata nel 1924, si è regolarmente giocata fino al 1985.
Normalmente di durata triennale o quadriennale (solo la quarta edizione - se ne immaginerà il motivo - si è protratta per un intero decennio, fra il 1937 e il 1947), dunque tre anni (talora quattro) lungo i quali ciascuna partecipante disputava dodici partite: in media, una ogni tre-quattro mesi.
Con calma, dunque, è l'irresistibile lentezza del football.
Già.
Ma in certe giornate la fretta è terribile.
Il 14 agosto 1963, infatti, la Svezia giocò contemporaneamente due partite. Una a Solna, l'altra a Göteborg; sue ospiti, la Finlandia al Råsunda e all'Ullevi la Norvegia. Una giornata dedicata al calcio, dunque, un festoso mercoledì nell'ormai declinante estate del nord.
Una giornata speciale, ma che dev'essere stata anche terribilmente noiosa: nonostante l'impegno profuso e i molti pedatori impiegati, i Blågult non andarono oltre un doppio, soporifero zero a zero.

[Tratto da Michele Ansani, Lenta può essere l'orbita della sfera]
Tabellini: Solna - Göteborg



2001
Un fulmine a ciel sereno

Un classico del calcio d'estate, il Trofeo Santiago Bernabéu, che - con varia formula - si disputa dal 1979, cioè dall'anno immediatamente successivo alla scomparsa del presidente, cui lo stadio del Madrid era stato intitolato addirittura nel 1955, e cioè ancor prima del lungo dominio europeo dei Blancos. Naturalmente, questo trofeo lo vince quasi sempre il Real. Poche volte è capitato che una delle squadre (o la sola squadra) invitate si ribellasse a un destino pressoché scontato. Per esempio, capitò nel 2001. In quella circostanza si vide qualcosa di anomalo. Real Madrid e Inter erano sull'uno a uno, e il novantesimo scaduto da un po'. Per i nerazzurri un'opportunità: punizione dal limite dell'area, in posizione leggermente defilata, ottima per un destro morbido e competente. Si pensava la battesse Clarence Seedorf, che teneva le mani sui fianchi, guardava verso la porta e avrebbe calciato appunto di interno destro, un colpo a rientrare, sopra la barriera. E invece, anticipandone le intenzioni, partiva con scatto da centometrista un ragazzino che l'Inter aveva appena ingaggiato, un promettente centravanti arrivato da Rio, dove si era messo in luce nel Flamengo. Si chiamava Adriano Leite Ribeiro. Bene, difficilmente chi era davanti al televisore quella sera scorderà la prodigiosa, inaudita potenza e la precisione balistica con cui il pallone fu indirizzato, a immisurabile velocità, giusto giusto all'incrocio dei pali, lasciando senza parole Casillas, incredulo il Bernabéu, il telecronista e i telespettatori anche più distratti. Un autentico fulmine a ciel sereno.

29 luglio

1966
La strana vigilia

Accadono cose strane a Londra, nel giorno che precede la finale delle finali di tutte le finali dell'unica vera coppa del mondo, unica perché è l'unica che si è giocata finora in Inghilterra, dove peraltro sarebbe giusto che si giocasse ogni coppa del mondo, perlomeno finché sarà ritenuto giusto organizzare questo tipo di manifestazione. I fratelli Charlton, il fuoriclasse Jimmy Greaves e altri nazionali albionici hanno fatto visita a Cassius Clay, forse nella speranza di averne utili consigli. Lui sa molto di football, specie di football americano. "Gli avversari vanno ridotti così" (foto), illustra. Chiaro che tifa per gli inglesi. Vedremo. A Londra ci sono anche i dirigenti dei club italiani, nonostante la cosiddetta chiusura delle frontiere. Specie quelli di Milan e Juve. Chi hanno nel mirino? Beckenbauer, si dice. La Juve avrebbe offerto al Bayern un paio di Seicento multiple, il Milan 300 milioni di lire, più un bonus di 150 per il futuro Kaiser. Ma sì, notizie di stampa. Suvvia!


2001
Il signore dei signori del Sudamerica

Iván Ramiro come sempre sale, gli piace tutta quella folla nell'area di rigore, s'intende quella degli avversari, spazio nel quale - prima di un corner o di un calcio di punizione - la tensione tra giocatori è massima; gli piacciono quei pochi (ma talora tanti) secondi di guerra psicologica, fatta di sguardi, spinte, proteste, movimenti, schemi simulati o reali. Iván Ramiro Córdoba Sepúlveda, s'intende, non è un gigante. Ma è dotato di buona elevazione, e soprattutto riesce a galleggiare nel vuoto quando la forza di gravità costringe tutti gli altri a tornare - non metaforicamente - con i piedi per terra. Così, se lo guardate bene, anche adesso esibisce la sua specialità. Azzecca la traiettoria del pallone, ma è una traiettoria strana, che scende prima del previsto, e così, mentre si trova lì, quasi fermo nel vuoto - non sta più salendo, ma ancora non ha iniziato a precipitare, c'è tutto il tempo per pensare al futuro, agli amici, a qualche bel progetto da realizzare, ma anche per immaginare i volti contratti di quanti, da Medellin a Caracas, da Barranquilla a Cartagena, a Neiva, a Puerto Carreño, sono in questo momento davanti alla tv, ansiosi di conoscere l'esito della scena -, riesce ad abbassare il capo, quel tanto che basta per provare a intercettare la sfera e mutarne la direzione. La colpisce, e ora il nuovo viaggio dell'oggetto rotondo ha per destinazione finale l'angolo destro della porta presidiata da Oscar Pérez Rojas, arquero messicano, rimasto immobile, come paralizzato dal buio improvviso, non è bello trovarsi in una posizione da cui è impossibile indovinare il corso degli eventi. "El Campín" esplode, ci sarà solo questo gol nella partita, e Iván Ramiro, con la coppa tra le mani, è ora il signore dei signori del Sudamerica.
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