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26 febbraio

1907
L'inventore della Coppa d'Inghilterra

Si spegne, a Londra, Charles William Alcock. Non fu un grande calciatore, è vero. Ma un grande, grandissimo organizzatore. Da questo punto di vista, la sua vicenda precorre quella di Jules Rimet. E' tra i fondatori dei Wanderers, nella tradizione auroriale delle Publich Schools inglesi. Si applica con successo nell'allestimento di incontri internazionali. E' conosciuto, autorevole, e perciò di frequente viene ingaggiato come referee. Soprattutto, e tuttavia, inventa la FA Cup: ciò basti, perché ai devoti di Eupalla sia degno di ricordo il suo nome.
Profilo


Mazzandro, capitano, dà disposizioni
alla barriera
1974
Patto di non aggressione

All'Olimpico è ancora carnevale, dunque Italia e Germania scendono in campo mascherate, fingono di valere poco o nulla, pareggiano senza lo straccio di un gol e si danno appuntamento (dicono) per la finale della coppa del mondo, che costituirà senz'altro la vera rivincita della semifinale giocata all'Azteca nel 1970. "L'amicizia è salva". Già. Negli azzurri fa capolino Pino Wilson, il libero della Lazio. Al posto di Gigirriva c'è Luciano Chiarugi, il biliardista. Juliano batte Rivera, resta in campo per due minuti (gli ultimi della partita). Morini giocava? Le telecamere non l'hanno mai inquadrato, ma sì che giocava. Lo stesso dicasi per Gerd Müller. Mai inquadrato neppure lui. Merito di Morini, dicono. Zoff è imbattuto da mille e sette minuti. Non è che l'abbiano particolarmente impegnato. Ci rivediamo a Monaco? Sì. Buonanotte.


1986
L'artigianato di JPP

Negli anni a cavallo del 1990, la stella del calcio transalpino era Jean-Pierre Papin. Visse (e parecchi palloni insaccò) fra il tramonto di Platini e l'alba di Zinedine Zidane; vinse qualcosa con l'OM e col Milan, ma con la maglia dei Bleus conobbe solo delusioni, pur esercitando il suo buon artigianato del gol. Gli inizi, peraltro, non furono entusiasmanti: ne produsse solo tre nelle prime quindici apparizioni. Lasciò i francesi con la bocca asciutta all'esordio, occorso in un'amichevole sull'erba ghiacciata del Parc des Princes contro l'Irlanda. Zero gol, zero a zero.


1999
L'eroe di Berlino

Si spegne, a Milano, Annibale Frossi. Velocissima ala destra, eroe italiano alle Olimpiadi di Berlino del 1936, giocò ed ebbe buoni successi nell'Ambrosiana: "possedeva grande scatto e ammirevole coordinazione: non aveva gran tocco di palla ed era scarso in acrobazia perché, miope, doveva giocare con gli occhiali" (Gianni Brera). Il suo stile di gioco - dicono - era freddo, essenziale. Un giorno del 1938, all'Arena - ultimo campionato di Meazza da centravanti -, "aveva mancato un pallone. Platealmente se ne doleva. Meazza lo raggiunse, gli tolse gli occhiali, li volse al cielo quasi li volesse ripulire. Esplose la più colossale risata della storia calcistica" (Mario Fossati). 

10 febbraio

1985
Lo sciabolone veronese

L'Hellas fu protagonista di svariate imprese, nella stagione che portò lo scudetto sotto il balcone di Giulietta. Fra le principali, un cinque a tre esterno, per la precisione al Friuli, e contro l'Udinese di Zico. L'andamento bislacco della partita suscitò lo sgomento di Gioanncarlofubrera, per gli enormi spazi lasciati in contropiede a Elkjaer e a Briegel (nella foto): 0-3 in un amen, poi 3-3, poi 3-5. E tuttavia, "adesso che il Verona ha inciso lo sciabolone nel burro furlano, tutti a esaltarne la inopinata potenza di taglio". Ci godemmo tutti un grande campionato, e amen.


1885
Sheffield Rules

Si spegne, a Sheffield, William Prest. Giocava a cricket, e anche bene - pare. Poi studiò il football, e fu tra i fondatori (e vicepresidente) dello Sheffield FC, club avviato nel 1857. Soprattutto, si mise a scrivere le regole del gioco (appunto: le cosiddette Sheffield Rules), molte delle quali furono mantenute nelle redazioni successive e definitive. A Prest, in sostanza, si deve l'esistenza del calcio d'angolo, del calcio di punizione e della rimessa laterale. Oggi sembrano l'invenzione dell'acqua calda, ma non c'è da ironizzare. Che il suo nome sia sempre nel cuore dei devoti.
Profilo | Sheffield Rules




1999
Enfant terrible

Bisogna essere obiettivi. Se non hai ancora vent'anni e sei già titolare dell'Arsenal, e alla quinta apparizione con la maglia dei Bleus rifili un paio di sberle agli inglesi, e per di più a Wembley, un grande futuro nessuno te lo potrà negare. Passano gli anni, qualcosa hai fatto, meno di quel che ci si aspettava da te. Di ciò che hai vinto, non sei stato quasi mai il protagonista assoluto. Sto parlando con te, Nicolas, Nicolas Anelka.




9 febbraio


1941
Peppino non perdona se stesso

Derby all'Arena, i capitani sbucano per primi sul prato (foto). Quello in maglia rossonera è Peppino. Già, è del Milano, e gli tocca giocare contro i ricordi della propria gloriosa gioventù. Tensione che sbrana le gambe e le idee. Il Milano va sotto due a zero, l'Ambrosiana è brillante. Manca poco alla fine. Il Milan ha dimezzato, e attacca furiosamente. Meazza si trova un pallone nella sua posizione antica, dalla quale il tempo e la classe l'hanno costretto ad arretrare. Per un attimo è lui, il centravanti. E segnando il gol del pareggio, è come se non volesse perdonare se stesso per aver accettato di andarsene dal club che lo aveva giudicato pronto per allenare i bambini.
Tabellino 


1977
Il sovrano e il suo paggio

L'uomo del Totaalvoetbal è alle sue ultime apparizioni nell'Arancia meccanica. L'Empire Stadium, ovviamente, ne ispira la mente e le giocate. "Johan Cryuff ha dominato il match di ieri sera come nessun altro grande giocatore era mai stato capace di fare a Wembley" (Brian Scovell). Gli inglesi ne riconoscono la sovranità; ma a far ridere di più gli olandesi è il paggio Jan Peters (nella foto): "Giocavo in un piccolo club, giocare a Wembley - lo stadio più bello del mondo - e segnare due gol fu meraviglioso". Fece immediatamente il gran salto: dal Nec di Nijmegen all'AZ di Alkmaar.


1999
Teudisci in Florida

Esibizione di pedatori all'Orange Bawl di Miami, sono teutonici e colombiani. Nonno Lothar fa 132 caps, non molla, vuole arrivare - minimo - a 150. Con lui dietro, la difesa è debole. I sudamericani sono veloci davanti, con Faustino Asprilla (doppietta). E' una goleada amichevole - tre a tre -, e persino Iván Ramiro Córdoba (nella foto) si permette il lusso di finire sul tabellino. La potenza calcistica teutonica, sullo scorcio del secolo, pare decisamente in declino.



30 novembre

1999
Man of the match

Povero Marcos, all'anagrafe Marcos Roberto Silveira Reis, ma per tutti solo Marcos. Si fa il segno della croce; i compagni lo consolano, gesti di solidarietà ma soprattutto di fiducia. E' forte, il portiere del Palmeiras, e se ha commesso un errore è perché talora capita, e poi non c'è da essere del tutto sicuri che sia stato davvero un errore. Il demonio gallese, infatti, ha seminato tutti sull'out sinistro, è troppo veloce e obiettivamente pare difficile stargli dietro in determinate circostanze, poi quando è arrivato sul fondo ha calibrato una traiettoria parabolica e con effetto a rientrare che - non a caso - doveva concludersi esattamente nel punto e nel momento in cui era tacitamente fissato l'appuntamento con l'irlandese, pure lui arrivato da molto lontano. Sono incastri difficili, specie se combinati a gran velocità. Il pallone rotola in rete, Marcos non l'ha intercettato (forse poteva, forse no), questo gol resta l'unico della partita, la partita vale un mappamondo, e del mappamondo è finalmente padrone lo United. I Red Devils furono dunque la prima compagine delle isole britanniche a conquistare un titolo mondiale, poco prima che finisse il millennio. Sul tabellino venne inciso il nome di Roy Keane, l'irlandese; ma uomo del match fu per tutti Ryan Giggs, il gallese (foto).
Cineteca

27 ottobre

1954
Uno strano mercoledì

Si gioca, a Firenze, un'amichevole infrasettimanale tra la Viola e la Pistoiese. "Verso la fine del primo tempo la partita è stata temporaneamente sospesa perché pubblico, giocatori e allenatori se ne stavano col naso in aria ad assistere al passaggio di due presunti dischi volanti" (Corriere dello sport, 28 ottobre).
Contemporaneamente, a Casteggio, il Milan giocava una partitella senza schierare però alcuno dei suoi assi. Per ritorsione, il pubblico sequestrò tutti i palloni e l'amichevole venne sospesa all'inizio del secondo tempo (La Stampa, 28 ottobre).



1982
L'impresa mai immaginata

Zoff, il Vecio e la gloriosa compagnia che vinse in estate il Mundial si presentano all'Olimpico (semi-deserto, vai a sapere) per esporre all'adorazione dei fedeli il sacro bottino. Scende in campo la formazione-tipo - età media abbastanza avanzata, ma gli eroi (si sa e si crede) non invecchiano mai. C'è anche Arnaldo Coelho, l'arbitro del Bernabéu. Insomma, tutto è studiato nei minimi particolari. Accettano di fare una scampagnata a Roma per giocare a pallone con noi gli elvetici, che non ci battono da millenni, per la precisione dal 1954, quando avevano organizzato la Coppa dalla quale - assai gentilmente - si erano incaricati di estrometterci. Tieh! Eccola qui la coppa, almeno la potete vedere, se volete potete anche toccarla, tanto di alzarla non vi capiterà mai e poi mai e poi mai, never never never. Insomma, non è una cosa seria. La nazionale disputa la sua partita numero quattrocento. Ma la festa è finita, si torna sulla terra. Con grande orgoglio e soddisfazione, i rossocrociati riescono nell'impresa che mai avevano osato immaginare: vincere in Italia. Il giustiziere è Rudolf Elsener (foto), un centrocampista esterno, un'ala, gioca in qualche squadra di Zurigo. Non conta niente il risultato, d'accordo, non ci sono punti in palio. Ma il prestigio sì. Il solidissimo undici che Bearzot aveva pazientemente assemblato, portandolo a disputare due fantastiche coppe del mondo, inizia a mostrare larghe crepe.
Tabellino | Highlights


1999
La presa di Wembley

Da tre decenni la Fiorentina non calcava i prati della Coppa dei campioni. Ora è cambiata la formula, le è bastato un terzo posto in campionato nella stagione 1998-99, ha superato il turno preliminare, ma poi finisce in un girone di ferro, con Barça e Arsenal. Con qualche (poca) speranza ma a parità di punti in classifica i Viola raggiungono Wembley. Resistono con tenacia, finché, a un quarto d'ora dalla fine, Batistuta avvia un'azione ancora da dentro la propria metà del campo. Il pallone viaggia rapido, i giocatori si muovono chi di qua chi di là, sembrano uno sciame di vespe nervose che punta l'area dei Gunners. Il Re Leone resta defilato sulla destra, ma è per lui l'ultimo passaggio. Con la forza della disperazione, di sinistro si porta in avanti la sfera, quel tanto che basta per tenerla lontana da Winterburn e caricare il destro (foto). La posizione è angolata, ma potenza e precisione del tiro sono ancora negli occhi di tutti. Il pallone finisce all'incrocio dei pali, quello più lontano. Un capolavoro.


24 luglio

1999
Vampiro e capeta

Certo: gli stadi scelti per la seconda Confederations Cup fanno venire i brividi, al solo menzionarli. L'Azteca. Il Jalisco di Guadalajara. Sono le arene in cui vennero giocate, nel 1970, alcune tra le partite più evocate nella storia della Coppa del mondo. L'esordio, all'Azteca, è la finale che non ci fu allora. Al posto dell'Italia, la Germania. Nel catino immenso e senza ombra del mezzogiorno in altura, il Brasile è ispirato. Quattro gol, come quel giorno ormai lontano. Anche senza Ronaldo. Ma - questo è il punto - c'è un altro potenziale campione. Un altro presunto campione. Un centrocampista che ha ingolosito l'Inter. Si chiama Marcos André Batista dos Santos, gioca nel Corinthians, ma è già stato in Europa, a Eindhoven. Passa da una squadra all'altra, sempre in prestito. Chissà perché, Luxemburgo ha iniziato a convocarlo in nazionale. Non solo lui, sia chiaro. Ci sono altri pedatori che - chissà perché - fanno parte della Seleçao. Per esempio, Odvan Gomes Silva. Qualcuno se lo ricorda? Eppure lo conoscono dappertutto, non c'è club brasiliano in cui non abbia militato durante la sua lunga carriera. In Europa non ha mai messo piede; in compenso, è stato una stagione a Washington, dove ha vestito la maglia del glorioso D.C. United: l'hanno cacciato subito, a quanto pare. Ma torniamo a Marcos André Batista dos Santos. In realtà, è meglio adoperare il soprannome: Vampeta. Sì, era via di mezzo tra un diavolo e un vampiro. Più un vampiro, diremmo, vista la sua capacità di succhiare ingaggi a destra e a manca. Giocò, come si diceva, una stagione nell'Inter. Anzi, meno. Arrivato nell'agosto del 2000 - in fondo, era un amicone di Ronaldo -, non fece in tempo ad assaggiare il panettone. Anzi, in campionato giocò solo una partita. "Non è possibile che in Brasile ci siano 175 milioni di stupidi che mi apprezzano e qui solo gente che mi disprezza". Qualche motivo ci sarà stato, Marcos André.
Cineteca


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4 luglio

1954
La nascita della Germania

L'istante che cambia la storia del mondo cade quando gli orologi del Wankdorf segnano le 19:42. Disponiamo solo di immagini non chiare, incomplete e comunque prese da angolazione insufficiente a una valutazione puntuale e condivisibile. Ecco Ferenc Puskás, ha appena ricevuto il pallone - dicono le cronache - grazie a una deviazione di testa di Kocsis; si vedono alcuni difensori tedeschi, più al largo, in fase di ripiegamento, e uno solo che insegue l'ungherese, ma non riesce a raggiungerlo prima che, in scivolata, egli spedisca la sfera sul palo più vicino, beffando Turek. Tre a tre, la finale a due minuti dalla fine non è ancora finita, anzi sembra stia per ricominciare. Biró esulta, ma i bianchi alzano le braccia, dicono di no (foto). Gol annullato per offside, conviene la terna arbitrale. Giustamente o no? I resoconti della stampa non sono concordi, e sembrano dettati soprattutto da considerazioni di 'simpatia' politica: per taluni il fuorigioco era dubbio, per altri assai netto. La partita volge all'epilogo, il risultato rimane quello: tre a due per la Deustsche Fussball-Nationalmannschaft. Muore l'Aranycsapat, e nasce la Germania contemporanea.
Cineteca | L'azione del gol non convalidato



1990
Elementare, Watson

Che prestazione! Non avevano mai giocato così bene, gli inglesi, dai tempi delle prime British Home Championship, sullo scorcio del XIX secolo. Nemmeno al mondiale domestico del '66, quando vinsero senza dare grande  spettacolo. Tuttavia hanno perso, e le lacrime di Paul Gascoigne dopo l'ammonizione che gli avrebbe precluso la finale non commuovono più nessuno, dato che per i Leoni non vi sarà alcuna finale. Inizia per loro in questa notte di Torino, contro la Germania, una storia infinita: la storia delle partite che l'Inghilterra perde dopo averle pareggiate. C'è da giurarci: capiterà ancora, e dovremo tenere l'inventario aggiornato. E' un fenomeno che periodicamente produce in loro un sentimento di cupa disperazione. Perché Lady Luck ci volta sempre le spalle, anche quando avrebbe buoni motivi per stare dalla nostra parte? "Elementare, Watson. Semplicemente perché non sappiamo tirare i calci di rigore". That's it.

1999
Momentos inolvidables

Ho letto da qualche parte che l'Argentina ne avrebbe (condizionale d'obbligo) presi tre (a zero) dalla Colombia. In Copa América. "Confermo, e fin qui ci sarebbe (condizionale d'obbligo) nulla da dire, dev'essere l'effetto funesto e combinato degli interisti - peraltro, gli unici ad emergere in una squadra di rattristante modestia". La cosa esilarante è che in questo match del secolo sarebbero (il condizionale è sempre d'obbligo) stati assegnati cinque rigori, tre all'Argentina e due alla Colombia. "Confermo: l'ho vista fino al terzo rigore calciato da Palermo, poi sono andato a letto ma confermo soprattutto che tale Palermo, cognome del bomber del Boca e sostituto in nazionale di Batistuta, li ha (qui il condizionale finalmente sparisce) sbagliati tutti e tre". Palermo? Martin Palermo? "Confermo, osserva questa foto, i colombiani lo guardano e sghignazzano, lui sta cercando di sparire dalla partita, con l'espressione di uno che vorrebbe essere cancellato dall'indice dei nomi della storia del futbol, perché di questo suo exploit si parlerà e scriverà sicuramente per saecula saeculorum". Così è stato, così è, così sarà. Momentos inolvidables.


2004
Il terzo jolly di Angelos Charisteas

Fate vobis: il centravanti del Portogallo non ha segnato lo straccio di un gol in tutto l'europeo, ma è il bomber del Paris Saint-Germain; il centravanti della Grecia ammuffisce tra le riserve del Werder Brema, ma ha già castigato la Spagna e la Francia. Non c'è due senza tre. Charisteas pesca il suo terzo jolly nel torneo (foto), e la Grecia festeggia la terza vittoria consecutiva, tutte e tre con il medesimo risultato: uno a zero. Entra nell'albo d'oro del campionato europeo per nazioni: "it is an event to stun the whole football world into silence" (Kevin McCarra, The Guardian). Certo, ai portoghesi ha detto molto male: organizzare la coppa e poi perderla in finale, a Lisbona, contro la Grecia (con tutto il rispetto) sembra, più che una beffa, un accanimento di Eupalla: "prima dovete capire che a pallone senza qualcuno che faccia i gol è inutile giocare, poi magari organizzate anche la coppa del mondo". A dire il vero, in questa memorabile finale la porta dei greci non è rimasta inviolata. Manca pochissimo alla fine, un tifoso del Barça invade il campo, raggiunge Luis Figo e gli 'consegna' una sciarpa blaugrana. Poi corre, corre, corre, e va "a schiantarsi come una falena nella rete di Nikopolidis" (Gianni Mura). E' l'ultima emozione regalata dalla notte di Lisbona. I cancelli dell'Estádio da Luz si chiudono, e la Lusitania si addormenta sapendo di dover restare là dov'è sempre stata, avvinghiata all'oceano su cui l'Europa tramonta.
Cineteca


2006
Nel solco della tradizione

Chiaramente, per noi e per loro questa è la finale. Chi vince questa partita, vincerà per inerzia la coppa del mondo. Come tutti sanno, l'Italia, verso la fine del secondo tempo supplementare, segna due gol, espugna il Westfalestadion e muove verso Berlino. "Quei due gol, signore e signori, sintetizzano e rappresentano e tramandano alla memoria del XXI secolo cosa sia il cosiddetto 'calcio all'italiana': una miscela di ingredienti irriducibili alla formula del catenaccio, come ancora oggi spesso si sente dire. Guardate Andrea Pirlo. Raccoglie la sfera al limite dell'area dopo un corner, e immediatamente davanti a lui si parano quattro tedeschi. Finge di tirare, lentamente si sposta in orizzontale. Improvviso e beffardo, il colpo di tacco che nessuno immaginava, un invito per Fabio Grosso che, di prima intenzione e di interno sinistro, scolpisce un pallone che gira e gira e gira con rotazione perfetta, e imprendibile muore là dove per Lehmann è impossibile arrivare. Astuzia e doti tecniche sopraffine, ecco il primo ingrediente. Passiamo al secondo gol, occorso a distanza di un solo minuto, quando la vostra furente Fussballmannschaft si era rovesciata disperatamente nella metà campo italiana. Podolski esibisce tutta la sua mesta broccaggine con un controllo di palla amatoriale; Fabio Cannavaro ha capito benissimo l'antifona. Lo aggredisce, rubargli la sfera è un gioco da ragazzi. Pochi metri più avanti c'è Totti, che allunga in profondità per Gilardino. Situazione di uno contro uno, siamo già al limite dell'area. Gilardino rientra sul destro, finge il tiro ma sa che da dietro, alla sua sinistra, sta arrivando a tutta velocità Alessandro Del Piero. L'appoggio è calibratissimo, e Del Piero, ancora di prima intenzione ma di interno destro, indirizza il pallone all'incrocio dei pali, quello alla sinistra del vostro incolpevole Lehmann. Il tutto in una dozzina di secondi, molto meno di quanto è stato necessario per descrivere l'azione. Contropiede fulmineo, razionale e maligno, ecco il secondo ingrediente. Signore e signori, le due azioni appena rievocate hanno un contenuto artistico ed emotivo immisurabile. Sono due capolavori esposti nel museo del football di questo secolo appena nato, prodotto di quella scuola che, da Meazza in giù, non ha mai cessato di reinventarsi, sempre nel solco della sua alta tradizione". 

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26 maggio

1972
Olympiastadion

Eccolo, lo stadio costruito a München per le Olimpiadi del 1972 è pronto. Qui si giocherà anche la finale della Coppa del mondo, tra due anni. E sarà questa la casa del Bayern, che si appresta a diventare uno dei più grandi club europei. Si inaugura oggi, con un Fußballspiel. E' un'amichevole, ma è Germania Ovest-Unione Sovietica. L'evento ha dunque molteplici valenze politico-simboliche. Ed è anche (ma ancora non si sa) anticipazione della finale che le due nazionali giocheranno tra meno di un mese a Bruxelles, e che varrà il titolo europeo. Nella nuova cattedrale del calcio, le omelie di Gerd Müller sono noiosamente ripetitive, ma piacciono ai fedeli. Del resto, a pregare di solito non è lui, ma il portiere che se lo vede sbucare davanti. Nel pomeriggio accade quattro volte, e non c'è nessuna indulgenza per Rudakov.


1989
History Man

Il ragazzino è nato a Lambeth nel 1967, quartiere londinese del sud-ovest, eppure nel cassetto tiene la sciarpa del Tottenham, club insediato nell'area di North London. Le prime serie pedate al pallone le tira nelle squadre giovanili dell'Arsenal (e, naturalmente, al debutto fra i 'grandi' si vedrà di fronte le maglie degli Spurs); ma poi, a ben vedere, gli anni della sua maturata carriera (quasi tutti i '90) scorrono ad Anfield, dove si vivono stagioni non indimenticabili. Non si sta parlando di un fuoriclasse. Lui è stato qualcosa di diverso: the History Man. Chissà quanti rivivono devotamente ogni giorno quella sequenza, racchiusa - come autentica reliquia - in un compact disk o in un DVD, diffusa in mille file-video su YouTube, o semplicemente custodita nella memoria di quell'emozione incancellabile. Lui, Michael Thomas, riceve palla da Alan Smith, che l'ha avuta da Lee Dixon - un preciso lancio di quaranta metri, a superare la metà campo. Thomas vince fortunosamente un rimpallo, entra in area. E' solo, incredibilmente. Indugia, forse per trovare coordinazione ed equilibrio, ma è un istante lungo abbastanza perché Bruce Grobbelar si distenda, credendo a uno shot rapido e basso. E invece un morbido tocco di esterno destro, lento e inesorabile, lo scavalca, e si deposita in rete (foto). Quando riprenderà, il gioco si protrarrà per soli altri quaranta secondi. L'Arsenal espugnava Anfield, raggiungeva il Liverpool in classifica, lo superava per la differenza prodotta da quel solo gol. La First Division di quella stagione 1988-89 non prevedeva altre partite. E lui, Michael Lauriston Thomas, fan dichiarato del Totthenam, regalava il titolo ai fieri rivali dell'Arsenal; poco più tardi, si accaserà a Liverpool, forse per aiutare la Kop a dimenticare le calde lacrime che, quella sera, molti versarono nelle fredde acque del Mersey.


1993
Le jour de gloire

L'Olympiastadion di München è il teatro scelto per la prima finale della rinnovata Champions League. Ci arrivano una neofita (l'Olympique di Marseille) e una abituée (il Milan). Tra i due club ci sono precedenti non simpatici, ma il Milan ha dominato il torneo in lungo e in largo: dieci partite, dieci vittorie, ventitré gol fatti, uno solo subito. Anche i francesi arrivano in fondo imbattuti, ma con maggiore fatica. Favoriti - noblesse oblige - i rossoneri. Naturalmente, trionfano i francesi con fortuna non pari al merito e - forse - grazie a iniezioni 'vitaminiche' confessate e impunite. Da quella sera, nessuna squadra di Francia riuscirà più nell'impresa - inutile aggiungere che mai ci era riuscita prima. Imperscrutabili, come sempre, la volontà e i disegni di Eupalla.


1999
L'irresistibile fascino del Fußball

Si disputano la coppa dalle grandi orecchie, a Camp Nou, due giganti del football europeo: United e Bayern. I tedeschi dominano in lungo e in largo. Segnano subito, poi sprecano tutto ciò che è calcisticamente possibile sprecare. Ma è possibile anche vincere con un solo gol, se si riesce a scansare la nemesi. Il che, a dire il vero, accade di rado. Collina dice: tre minuti, godiamoci ancora qualche istante di questa bella serata. "Yes Sir, grazie, noi abbiamo appena iniziato a divertirci", sospirano Teddy Sheringham e Ole Gunnar Solskjaer. In effetti erano rimasti per quasi tutta la partita ai margini, in castigo. Ferguson a un certo punto ha ritenuto che, forse, anche loro avevano il diritto di giocare un po' a pallone, in una festa così, su quel magnifico prato. Tre minuti, due palloni nell'area teutonica, due gol - uno di Sheringham e uno di Solskjaer -, e quelli del Bayern vorrebbero sprofondare nella voragine dell'oblio, ritornare bambini e poter decidere di ignorare l'irresistibile fascino del Fußball.

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19 maggio

1957
Le nuvole di Dublino e il centravanti part-time

Beh, l'Inghilterra andrà in Svezia, e ci andrà da favorita (dicono le cronache). Ma ci andrà grazie a un gol di Peter Atyeo, centravanti del Bristol City, uno che la First Division non l'ha mai vista, nemmeno col binocolo; uno che si allenava part-time, spendendo il proprio tempo a studiare per diventare insegnante di matematica. Una sua bella inzuccata al novantesimo, su preciso cross di Finney che aveva portato a spasso tutta la difesa irlandese, salvava la regina nonché i programmi degli appassionati inglesi per l'estate del '58.
Cineteca


1982
Gli svedesoni di Eriksson

Ernst Happel sa tutto del calcio, e non si preoccupa. Anzi, si diverte. Fa pretattica. Gli Hamburger hanno perso la finale di andata della Coppa Uefa, a Göteborg, per un solo gol. Forse giocherà il Kaiser, sì. Forse. Il suo rientro potrebbe incutere, di per sé, un certo timore reverenziale agli avversari, sono abituati a giocare contro gente di basso lignaggio, e sa Dio come sono arrivati fino a qui. Inoltre, pensa Happel, non avendo segnato lo straccetto di un gol fuori casa, sarà bene preoccuparsi anzitutto di non prenderne in casa. Di qui, onde spegnere sul nascere le possibili bellicose intenzioni dei boscaioli, la minaccia di piazzare il totem in campo. Anche Hrubesch, il supercannoniere e degno erede di Seeler, è del medesimo avviso: prudenza, ci vuole prudenza. Così, alla fine, Beckenbauer non gioca e gli svedesoni di Eriksson vincono tre a zero, in un Volksparkstadion incredulo.
Cineteca


1999
Cala il sipario sulla Cup Winners' Cup

Pochi (nella ridotta dimensione dell'immagine) saranno in grado di riconoscere l'undici schierato al centro del campo. Diciamo che occhi buoni individuano, qua e là, pedatori di notevole fama. A confondere le idee potrebbero essere i colori della divisa da gioco indossata. Una divisa speciale per un'occasione speciale. Per l'ultima finale, la trentanovesima nella lunga storia del torneo rottamato sulla soglia del nuovo millennio. Una competizione affascinante, trentanove edizioni e trentadue vincitrici, delle quali solo otto sono state in grado di salire anche sul tetto d'Europa. Di alcuni club che figurano nell'albo d'oro, si sono ormai perse o quasi le tracce: il Magdeburgo, la Dinamo Tbilisi, il glorioso West Ham United, costretto a un frequente saliscendi nell'ultimo decennio tra la Premier League e la Championship. L'ultima volta toccò a una compagine italica, la Lazio (guidata da Sven Goran Eriksson), opposta al Mallorca di Héctor Cúper. Era una grande Lazio, come spiegano i nomi di alcuni che ne facevano parte, e che la foto scattata al Villa Park immortala a novanta minuti dall'epilogo. Nella serata di Birmingham finiva la prima era moderna del calcio europeo, avviato a una ristrutturazione delle sue competizioni per club orientata primariamente a trarre e garantire il massimo lucro. E il loro fascino, inevitabilmente, scemerà.
Cineteca


2012
David Luiz, the troll

Non c'è calice più amaro di quello che devi bere quando perdi la finale nel tuo stadio. Statisticamente, capita di frequente: almeno una volta su due. Beh, è una statistica da prendere con le molle, almeno per la Coppa dei campioni o Coppa che dir si voglia, perché finora è capitato solo in quattro circostanze che una finalista si sia trovata a scendere in campo sul proprio campo potendo sfruttare il fattore-campo (la conoscenza di ogni zolla, l'incitamento del pubblico, il timore dell'arbitro e quant'altro): è toccato al Real Madrid nel 1957, all'Inter nel 1965 (entrambe detentrici del titolo, che confermarono), poi alla Roma nel 1984 (e furono dolori) e al Bayern nel 2012 (pure). Il Bayern aveva di fronte il pullman di Roberto Di Matteo, vale a dire il Chelsea Football Club. Sembra ce la faccia, ma una tremenda inzuccata di Drogba a due minuti dalla fine rimanda tutto al giudizio di Dio, che si esprime indirizzando le esecuzioni dal dischetto. Tutti ricordano com'è finita, ma uno che lo sapeva sin dall'inizio era David Luiz, che per tutto il match ha trollato gli avversari. Tormenta Mario Gomez: "Lo vedi? Facciamo schifo, giochiamo un calcio orrendo, voi siete molto meglio, ma alla fine vinciamo noi". Poi, su un corner, sbeffeggia Schweinsteiger: "Ah, mi stai addosso? Nessun problema, non sarò io a farvi il gollettino". Drogba segna, e Schwein non la prende benissimo: "What the f***?", dice il suo sguardo mentre incrocia di nuovo quello del brasiliano. Ma eccoci ai rigori. Il Bayern ha realizzato i primi due, Mata ha ciccato il suo, tocca a Luiz. Schwein gli si avvicina: "Bene bene bene, voglio vedere adesso cosa sei capace di fare". Luiz trasforma, con una certa nonchalance. Il Chelsea alza la coppa. "Oh my God, e chi sei? non dire più nulla", è l'ultima frase pronunciata da Schweinsteiger, rivolta a Luiz, nella triste serata dell'Allianz Arena.
Cineteca | Fonte 



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27 marzo

1949
Applausi a Chamartín

C'è grande attesa a Madrid, e il tutto esaurito a Chamartín. L'España si misura con i campioni del mondo, nessuno vuole perdersi la sfida. Pozzo, dal canto suo, coglie l'occasione per misurare lo spessore di alcuni giovani: Becattini, Lorenzi, Amadei, tutti e tre all'esordio. Così, del Toro ne schiera 'soltanto' sei: Bacigalupo, Ballarin, Rigamonti, Castigliano, Menti e Mazzola. L'Italia vince facilmente (tre a uno). Per Valentino e i suoi compagni sono gli ultimi applausi in maglia azzurra.


1963
Giacintone

Lo spilungone che gioca sull'out di sinistra sarebbe un terzino. Ma occorre stare attenti: è fortissimo sulle palle alte, è veloce, va di frequente all'attacco. Soprattutto quando gli attaccanti non riescono a far gol (e lui ne fa, eccome): così l'ha impostato il Pepp Meazza nelle giovanili dell'Inter. Edmondo Fabbri lo porta in Turchia, retour-match di un preliminare in cartellone per il Campionato europeo. C'è da difendere un comodo sei a zero. L'Italia vince, ma delude. Giacintone Facchetti è ancora timido, ma era facile prevedere che quella maglia nessuno gliel'avrebbe sfilata per molti, moltissimi anni. "Ho vissuto con Facchetti cento e più partite in azzurro, io attaccante lui capitano. Giorni belli e meno belli ma comunque con una costante: Giacinto era una persona straordinaria, pulita, onesta. Per noi tutti era un esempio, un punto di riferimento costante, era il nostro angelo" (Gigi Riva).
Tabellino 

1976
Michel & Michel

Uno in panca, l'altro in campo. Al Parco dei principi. Di fronte i cecoslovacchi, cioè i futuri campioni d'Europa (mancano pochi mesi): ancora non lo sanno, probabilmente non osano nemmeno pensarlo. Michel Hidalgo e Michel François Platini, invece, lo diventeranno di lì a otto anni; e quella lunga cavalcata, fatta di applaudito calcio-champagne, ubriacherà la nazione portandola dove non era mai stata; nell'élite del calcio mondiale. Michel brinda all'esordio con il gol del due a zero; e pace se i cechi, prima del 90°, riescono ad acciuffare il pari.
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1999
Un torrente de goles y alegrìa

Non erano state prolifiche, le prime apparizioni di Raúl González Blanco nella Roja. Giovane asso del Real pigliatutto a cavallo dei millenni, dopo venti partite può vantare la miseria (per lui) di cinque gol. La Spagna però va bene, è lanciata verso la qualificazione all'europeo belga-olandese. Al Mestalla ospita la nazionale austriaca forse più derelitta di sempre. Umiliazione è dire poco: nove a zero. Raul si esalta, e quattro palloni finiti alle spalle del malcapitato Wohlfarth (foto) sono firmati da lui. "Un torrente de goles y alegrìa", sottolinea Mundo Deportivo.



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