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17 febbraio


1937
Il poliglotta

Si spegne, a Vienna, Hugo Meisl. Era il genio indiscusso del football amato da Vienna. Un maestro conosciuto e riconosciuto del mondo di cui parlava tutte le lingue. Forse spetta a lui l'onore d'essere considerato il primo costruttore di una squadra 'diversa' da ogni altra. Almeno in Europa.





1974
La manita

E' un Real che naviga nelle mediocrità del centroclassifica, e ospita un Barça - capolista e su di giri - su cui la vitamina Cruijff sta conseguendo effetti prodigiosi. In effetti, si può dire che la storia moderna del club catalano inizi con questa partita al Bernabéu, divenuta ovviamente storica. Cinque a zero, senza discussioni. "Sensacional!", è il commento (sobrio, tutto sommato) di El Mundo Deportivo.


1906
Solitude Ground

Siamo a Belfast, e da qui muove la British Home Championship del 1906. C'è Irlanda-Inghilterra, appuntamento fisso di ogni anno, dal 1882. La Football Association inglese non è che perciò sospenda le proprie competizioni per club, anzi: giornata regolare in prima e in seconda divisione. Una decina gli esordienti messi in campo dai due XI. Tra tutti, tuttavia, brilla l'ala destra del Preston, Richard "Dicky" Bond (nella foto) - tra i migliori pedatori albionici della sua generazione -, che mette la firma sul tabellino, aprendolo e chiudendolo: 5-0. Uniche sue reti per l'Inghilterra.
Tabellino



2005
L'idolo lunatico

Si spegne, a San Nicolás de los Arroyos (Buenos Aires), Enrique Omar Sívori. Era un fuoriclasse tipico della sua epoca: fantasioso, irridente, irascibile. E' stato, in qualcosa, l'annunciazione di Maradona. Dribbling funambolici, lingua tagliente, umori lunatici. Ha indossato poche maglie, ma è sempre stato l'idolo indiscusso dei suoi stadi: al River, alla Juve, al Napoli. Non lo amavano gli arbitri: "liberaci, o Signore, dalla luna di Sivori. Amen" (Emilio Violanti).





2 novembre

2005
Zio Uccio

Fu lui a riportare la nazionale d'Italia là dove non era più stata nel dopoguerra, cioè al vertice del calcio mondiale; eppure, di lui si preferivano ricordare i giudizi sui coreani, l'assurdità della staffetta in México, il 'vaffa' ricevuto da Chinaglia e l'ingloriosa ritirata dalla Germania nel '74. Non che, da calciatore e poi da allenatore in squadre di club, avesse mai prodotto cose strabilianti. Ma sulla panca degli azzurri c'era lui nel '68, e c'era lui all'Azteca il giorno di Italia-Germania. "Dicono che il tempo sia galantuomo. Fosse così anche la morte, Ferruccio Valcareggi (zio Uccio per i suoi giocatori) si scrollerebbe finalmente di dosso vecchie etichette inopportune se non ingiuste, che ricordano solo i bassi e non gli alti della sua carriera di allenatore" (Gianni Mura). Valcareggi si spegne, a Firenze, il 2 novembre 2005.

22 settembre

2005
Il debutto dell'inglese

Beh, non si può certo dire sia stato un grande affare, avranno pensato quelli del Real quando, verso la metà del secondo tempo, l'inglese arrivato un anno prima da Newcastle (ma che ancora non aveva giocato uno straccio di partita, grazie alla sua ricca collezione di infortuni) becca il secondo giallo (foto) e torna negli spogliatoi. Ma quelli del Real sono di buonumore, perché due minuti prima il solito Raul aveva infilato il pallone del sorpasso, e l'ennesima sfida contro i perfidi baschi dell'Athletic volgeva a loro favore. Beh certo, si dicevano l'un l'altro quelli che affollavano gli spalti del Bernabéu, come esordio poteva essere una tragedia; infatti era stato proprio l'inglese, alla metà giusta giusta del primo tempo, a beffare con una magnifica zuccata in tuffo l'ancor giovane Casillas. Invece, col senno di poi, si può dire che è stata solo una comica. Già: l'avventura di Jonathan Woodgate nel più grande club dell'universo iniziò così, con un autogol e un'espulsione. Il resto del suo tempo a Madrid andò meglio, certo, ma sicuramente nessuno ha nostalgia della sua lunga chioma britannica.
Tabellino | Video | Mundo Deportivo

17 agosto

1995
Un uomo di poche parole

Conferenza stampa a Milanello, cioè nel bunker del Milan. Fa capolino Marco Van Basten, uomo di tanti gol ma di poche parole. "La notizia che devo darvi è corta. Semplicemente ho deciso di smettere di fare il calciatore. Grazie a tutti”. Se ne andrebbe subito, ma lo torturano con un sacco di domande scontate. Certo, la caviglia. Mille operazioni tutte inutili, anzi, dopo ciascuna - dice lui - le cose andavano peggio. Tornassi indietro. Certo, che grande centravanti. Il più grande, dicono tutti. "Quando un giocatore smette, diventa sempre migliore. Ma io ho giocato tante brutte partite, ho sbagliato gol clamorosi. Adesso mi dite che sono stato il più grande ma la verità è che ho fatto parte di una squadra imbottita di campioni". Vero, come dargli torto. "Ma ora, scusatemi, devo guardare al futuro. Ho già parlato troppo del passato", conclude. Giusto. Il pallone è finito, ma la vita continua. "Una vita senza calcio è bella lo stesso", dice. Ed è meglio coltivare la nostalgia di pochi istanti indimenticabili per tanti e sicuramente unici, piuttosto che rimpiangere il tempo mancato per offrire la semplice replica di cose già viste.
2005
I numeri di David Benjamin James

Ci dev'essere una ragione per cui, negli scorsi centocinquant'anni, il solo cittadino inglese che meriti di essere considerato un ottimo goalkeeper è Gordon Banks. Ci dev'essere, e prima o poi qualcuno la indagherà e - magari - la scoprirà. Altrove, di solito, in porta giocano quelli che da ragazzini con il pallone tra i piedi non sono dei fenomeni; in Inghilterra, invece, per un posto di lavoro tra i pali reclutano preferibilmente dei clown. Strani personaggi. Per esempio, il 17 agosto 2005, il Parken di Copenaghen fece un buon incasso: oltre quarantamila spettatori paganti perché speranzosi di vedere lo show di David Benjamin James, estremo del Manchester City e della nazionale inglese. Purtroppo, tuttavia, James restò in panchina per tutto il primo tempo, in un gioco privo di gol e di emozioni. Ma il manager albionico, Sven-Göran Eriksson, lo manda sul palco all'inizio del secondo. Lui ha bisogno di un quarto d'ora per scaldarsi, ma poi la sua prestazione è formidabile. Incassa tre palloni in sei minuti (e un quarto pezzo di bravura lo dispensa a tempo ormai scaduto: come un grande cantante che concede il bis), ma veramente memorabile è stato il numero che regalò sul primo. Un'uscita senza senso dall'area di rigore, incontro a Thomas Gravesen, che lo supera con un tunnel ma è poi costretto ad allargarsi per l'arrivo intimidatorio di Ashley Cole. Contrasto vinto dal danese, e intanto passa un bel po' di tempo. James, esaltato dal proprio acuto, desta la rumorosa approvazione del pubblico e lentamente si incammina verso il proprio ufficio, in tempo per vedere Gravesen mettere il pallone comodamente sui piedi di Dennis Rommedahl, che a porta vuota segna ma già si sta rotolando dalle risate. Applausi a scena aperta.

25 maggio

1938
El Monumental
Il River Plate è la più forte squadra d'Argentina. Ha vinto la Priméra División nel 1936 e nel 1937. Il suo stadio, costruito nel Barrio de Palermo, è ormai troppo piccolo. Ma oggi si inaugura quello nuovo, una cancha per 70.000 persone. Il Peñarol di Montevideo è l'ospite d'onore scelto per l'apertura del Monumental.

1940
La Bombonera
Il vecchio Estadio Brandsen y Del Crucero è piccolo e non porta più fortuna, visto che negli ultimi anni i titoli finiscono spesso nella bacheca del River. Così anche il Boca si costruisce uno stadio nuovo. Si inaugura oggi, con un'amichevole tra i Xeneizes e il San Lorenzo de Almagro, La Bombonera.



Amari calici per le grandi italiane

1967
Lisbona
The Bhoys fecero il 'triplete'. Anzi di più. Scottish League, Scottish Cup, League Cup ('triplete' domestico), completato dalla coppa più importante, quella che ancora si chiamava 'dei Campioni d'Europa'. Impresa leggendaria. Anzi, di più. A Lisbona avevano di fronte la temuta, cinica e detestata macchina da guerra costruita da HablaHabla. L'Internazionale, dopo un triennio di dominio pressoché totale, improvvisamente crollò. In un caldo pomeriggio di primavera avanzata, le gambe e i muscoli dei nerazzurri tennero per una decina di minuti, forse venti; la velocità e il ritmo del Celtic, alla lunga, travolsero un meccanismo difensivo collaudato da anni e reputato insuperabile.  "Il 'catenaccio' non moriva con la Grande Inter, ma il mito della sua invincibilità certamente sì. Il Celtic aveva dimostrato che un modo di giocare votato all'attacco aveva un futuro" (Jonathan Wilson).

1983
Atene
I top-players del momento - tolti Zico e Maradona, pur essendo el Pibe ancora lontano dalla sua definitiva e divina dimensione - giocano tutti nella Juventus. Ci sono svariati campioni del mondo - la colonna vertebrale dell'XI di Bearzot, in sostanza -, e in più due acclamate stelle del football europeo, Platini e Boniek (due tipi, peraltro, che sembravano nati per giocare insieme). Ad Atene, la finale con l'Amburgo sembra meno di una formalità. Ma la squadra non ingrana. Non è concentrata; o lo è eccessivamente. Batte in testa. Prende un gol - un gol che sarà evocato milioni di volte da coloro che tengono in antipatia la vecchia signora -, ha il nome di Felix Magath. Nonostante la partita fosse a quel punto ancora lunga, i bianconeri non risalgono più la corrente, incupiti dalla prospettiva di una sconfitta rumorosa e inattesa. Sarà per un'altra volta. La coppa - la prima - arriverà presto, ma - quando sarà - non sarà un giorno di gloria. Anzi.

2005
Istanbul
Alla fine del primo tempo, c'è chi decide di anticipare il corso degli eventi. Prende sciarpe, bandiere e trombette, sale in macchina e comincia a scorrazzare allegramente e chiassosamente lungo i viali di Milano. Ci sono in giro solo atei e interisti. Vanno compresi: un primo tempo sontuoso, il Liverpool è sotto di tre, che si gioca a fare il secondo? Si gioca, è obbligatorio per regolamento, ma stare davanti alla tivù è tempo perso. Anche i giocatori del Milan hanno già festeggiato. Soprattutto Sheva: dev'essersi scolato qualche litro di vodka, perché non ne azzecca più una. Sembra veda doppio, fallisce ogni traiettoria, anche la più semplice. I Reds invece riemergono dagli spogliatoi gonfi di rabbia e determinazione. Quando, quarantinque minuti dopo, inizia la sarabanda dei penalties, nessuno scommetterebbe un solo centesimo sul Milan.

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1° maggio


1993
Orgoglio elvetico

Dino Baggio (foto) viene cacciato dal campo verso la fine del primo tempo, e gli azzurri guidati da Righetto Sacchi entrano in crisi. Le trasferte in Svizzera non sono mai state agevoli; questa contava parecchio, perché la strada per l'America passava dal Wankdorfstadion. Finiva con una sconfitta di misura, e il cammino si complicava, rendendo palesi i difetti strutturali di una compagine che Sacchi stava cercando di abituare a un calcio diverso da quello di una tradizione pressoché millenaria. "Animata da quella fede che permette di sollevare le montagne" (Le Matin, Losanna), la Svizzera canta orgogliosa e sogna di attraversare l'Atlantico. Si sveglierà al suono di realistici campanacci e nelle frescure dei verdi altipiani.

2005
Doppio lob

Il Barça viene a capo del derelitto Albacete, e lascia il Real a meno sei: la Liga è ampiamente ipotecata. La serata di Camp Nou è tuttavia e soprattutto illuminata da un lampo di futuro. Lionel Messi, il nuovo pibe venuto dall'Argentina, sta imparando l'arte, e ha a disposizione maestri davvero sopraffini. Così, appena subentrato a Samuel Eto'o quando la partita è agli spiccioli, riceve dal dentone un delizioso assist a scavalco, e si trova solo davanti all'arquero avversario. Per non essere da meno del suo famosissimo compagno di squadra, trasforma l'opportunità con un delicato lob. Scolpisce così per la prima volta il proprio nome negli albi ufficiali. Presto, del suo nome traboccheranno infinite le tabulae di Eupalla.

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9 marzo

1908
Internazionale Football Club Milano

"San Siro, quando gioca l'Inter, perde il brillio entusiasta e diavolesco del rosso milanista, diventa un catino ombroso, spesso anche adombrato, il catino che riflette e raccoglie l'incertezza degli umori celesti, mezzo azzurri mezzo neri" (Michele Serra)

Marzo: il mese matto. La storia dell'Inter è scritta nel momento stesso in cui inziava. L'inizio è tutto sommato non diverso da vari altri inizi di storie: sono alcuni soci del Milan Football and Cricket Club (una quarantina) che - uscendone - fondano la nuova società. Alle origini della fronda una questione sempiterna nel calcio italiano: il reclutamento di stranieri. Chi era a favore, chi era contro. Quelli che avviarono l'Internazionale Football Club erano a favore. Come che sia, la diaspora si rivelò una fortuna. Milano ebbe due grandi squadre, per sempre rivali.
Sito ufficiale | Il verbale della fondazione


1966
L'imprevedibilità degli jugoslavi

Non di rado accadeva, un tempo, che i club dell'Europa orientale facessero un po' di strada in Coppa dei campioni. La prima che riuscì ad arrivare sino in fondo, senza farsi bucare le ruote dagli squadroni britannici o latini, fu il Partizan di Belgrado, che contese (con sfortuna) il trofeo al Real Madrid nell'edizione 1965-66. Nei quarti di finale il sorteggio mise il Partizan di fronte allo Sparta di Praga, club di grande tradizione. L'andata in Cecoslovacchia fu disastrosa: quattro a uno, e ghigno sarcastico di Andrej Kvašňák, centrocampista dal gol facile, visto che ne infilò tre. Ma poi, al JNA Stadion, a Belgrado, quello che suona la carica è un vero campione: Velibor Vasovic (nella foto, svetta a inzuccare). Non a caso, verrà scelto come balia di campo per i giovani olandesi dell'Ajax, di cui accompagnerà l'irresistibile ascesa. Ma eravamo al JNA. Come finisce la partita? Cinque a zero per il Partizan e biglietto soffiato ai boemi per la semifinale, gli jugoslavi sono sempre così: mattoidi, cioè imprevedibili, cioè capaci di qualsiasi impresa, nel bene e nel male.
2005
Il Grande Etienne

Si spegne, a Subotica, István Etienne Nyers. Il giramondo. Non fosse stato una testa matta, avrebbe forse giocato stabilmente nell'Aranycsapat. Ma fece le fortune - e le vittorie - dell'Inter nei primi 1950s. Due scudetti; valanghe di gol. Andava all'allenamento "a bordo di auto americane. Le cambiava spesso, al pari delle fidanzate. Erano gli anni della ricostruzione, non è che ci fossero tanti ricchi in giro e la sua fama di tipo brillante si sparse in fretta nell’universo femminile" Amava donne e poker: "giocava e pagava, pagava e giocava. Anche a biliardo, anche fuori del nostro giro" (Sergio Brighenti).

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3 marzo

1929
I declinanti Boemi

"Per coloro che serbano nella memoria il ricordo del giorno in cui i Boemi ci batterono a Praga per l'impressionante marcatura di cinque a uno, torna ovvia la constatazione che il giuoco svolto ieri dai compagni di Kada appaia al confronto decaduto di tutta una classe".
Monsù, il paragone con una partita di sei anni fa non è un po' azzardato? In fondo, li abbiamo anche battuti, nel frattempo ...
"L'edizione attuale di squadra è pallida, sbiadita ed incolore rispetto a quella di un tempo. Gli uomini sono su per giù ancora i medesimi, ma la voce del cantore non è più quella. L'arresto della palla permane magistrale, e la tendenza a tenere il giuoco a terra continua ad essere una delle caratteristiche spiccate, come marcato è tuttora il senso dell'ordine nelle azioni e la capacità del piazzamento".
Ma? Perché allora ne hanno beccati quattro?
"Ma la velocità se n'è andata, le idee non sono più chiare, la potenza è scomparsa. Kada per il primo".
Kada? Intende alludere a Karel Pešek (foto), colonna dello Sparta ormai quasi trentacinquenne e che preferisce l'hockey al football?
"Kada per primo, il capitano e centro di seconda linea, colui che fu forse il miglior uomo che l'Europa calcistica abbia prodotto nel dopoguerra nella sua posizione, ha perduto quella personalità, quei tratti marcati od energici che tanto lo facevano emergere in passato. Il biondo mediano parve ieri ad un certo punto della partita come sfiancato ed abbattuto dallo sforzo".
Ei fu, certo. Vittorio Pozzo preferisce non esaltare la vittoria dei suoi, che tornano in corsa per la conquista della Coppa Internazionale. Rossetto, la punta di diamante del Toro, finalmente esplode. Tripletta, ma questa è la sua penultima presenza in azzurro. Sta per arrivare Peppino Meazza, che già in questo campionato 1928-29 (l'ultimo prima del 'girone unico') compie sfracelli nell'Ambrosiana; e quando arriverà, la storia del calcio italiano cambierà definitivamente.

1953
Il Pelé bianco

Nasce, a Rio de Janeiro, Arthur Antunes Coimbra 'Zico'. Crescerà poco, di statura; ma avrà piedi e intelligenze raffinate. E così diventerà uno dei pedatori più famosi e aprezzati del mondo; leggenda del Flamengo, la cui maglia portava già nella culla. "Un direttore di partite. Gli hanno dato la maglia numero 10 di Pelè e se l'è infilata senza problemi: aveva un'autorità da grande. Un tipo sensazionale e un giocatore fantastico" (Diego Armando Maradona).

2005
Il modernizzatore

Si spegne, ad Aalst (non lontano da Bruxelles), Marinus Jacobus Hendricus Michels. Cresce nell'Ajax, di cui fu centravanti tecnicamente modesto ma di grande energia e buone abilità realizzative. Degli ajacidi diviene poi, come si sa, l'uomo chiave. Lancia Johann Cruijff, e costruisce una macchina perfetta: anzi, un capolavoro. Quando, parlando della storia del calcio, si affronta il capitolo del calcio totale, si parla soprattutto di lui. Di questa lunga storia, è un titano.



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