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22 febbraio

1931
Il tabù infranto

Il disegno di Carmelo Silva - basato sulle cronache dei tempi - la dice lunga: gli austriaci stanno troppo alti e lasciano a Meazza cinquanta metri di campo per andare in porta. Uno a uno, palla al centro, San Siro esplode di entusiasmo e solleva gli azzurri là dove non erano ancora arrivati: all'altezza dell'Austria. Mai battuta prima. Un tabù. "Gli Azzurri hanno superato felicemente la prova più difficile della stagione. Una prova al cospetto della quale si erano infranti gli sforzi di quattro generazioni di calciatori nostri" (Vittorio Pozzo). Monsù esagera (addirittura quattro generazioni!), ma il suo squadrone aveva davvero preso forma.
Tabellino



1961
Il Barça abdica in Scozia

Detentore delle uniche due edizioni disputate della Coppa fieristica, il Barça incrocia nei quarti gli scozzesi dell'Hibernian. Pare un turno agevole per i catalani. Eppure, nonostante Sándor Kocsis infili quattro palloni complessivi nella porta degli Hibs, in semifinale ci vanno gli edimburghesi. Partite mozzafiato, uno sprint interminabile. Chiude i fuochi d'artificio Bobby Kinloch (nella foto, l'euforia dell'impresa), dal dischetto, a tre minuti dal 180'.
Tabellino 


1987
Pazienza e buon senso

Questo era il motto di Umberto Lenzini, modesto pedatore in gioventù e presidente della Lazio dal 1965. Si spegne, a Roma, il 22 febbraio 1987. Con lui al timone, il club raggiunge traguardi in passato nemmeno sfiorati. Nei primi '70, una progressiva ascesa porta la Lazio nell'élite del calcio italiano; rincorsa che si conclude con il leggendario trionfo della stagione 1973-74.


1989
Gli spiccioli di Stefano

Prosegue serrata la processione degli Azzurri negli stadi italiani, per incontri solo amichevoli in preparazione del mondiale. A Pisa, arriva la Danimarca. Avversario sempre temibile, va da sé. Il risultato conta poco, schiodato dallo Zio dopo un'ora di gioco (è il suo ultimo gol con questa maglia addosso); contano di più gli 'esperimenti', il buon Azeglio dovrà selezionare uomini vincenti e di patrio ardore animati. Tra gli undici iniziali, solo Nicola Berti ha messo finora da parte qualche gettone. Ma sullo scorcio, alzatisi dalla panchina, esordiscono Massimo Crippa e, soprattutto, Stefano Borgonovo. Spiccioli di partita, che Stefano sommerà a quelli raccolti in altri due test-matches di fine marzo, tra Vienna e Sibiu. Spiccioli senza gloria per lui, o forse ricordi preziosi da custodire nei giorni futuri, quelli della straziante agonia.


2004
Il guardameta del maracanaço

Si spegne, a Montevideo, Roque Máspoli. Fu il guardameta dell'Uruguay nelle Coppe del Mondo del 1950 e del 1954.
Basta e avanza.



27 dicembre

1961
Com a beleza ímpar de seu futebol

Prima di Pelé, il Santos aveva vinto poco o nulla, e certamente non era uno dei club più prestigiosi di quell'enorme paese. Nella sua grande scalata del mondo il primo momento davvero significativo fu dunque la conquista del titolo nazionale, e avvenne il 27 dicembre 1961, a Villa Belmiro. Vi si giocava il ritorno della finale col Bahia, in palio la Taça do Brasil, l'andata si era chiusa in parità. Non ci fu storia. Pelé fece tre gol, e per la torcìda del Peixe iniziò una serie di stagioni indimenticabili.

1964
Gigi e Gigi

Era penultimo. Stasera è ultimo. Ultimo in classifica, da solo. Il Cagliari, già. Vero, non siamo nemmeno alla fine del girone di andata. Vero, la trasferta non era tra le più semplici. I granata, guidati dal Paròn, sono tirati a lucido. Gli isolani, al guinzaglio di Arturo Silvestri, battono in testa, nessuno fa quello che dovrebbe fare. Specie in difesa. Al Gigi ventenne di Leggiuno non arriva un solo pallone. Il Gigi ventunenne di Como, invece, finalmente va a rete. Doppietta, e i trecento milioni finiti in estate nelle casse del Genoa cominciano a ad avere un senso preciso. Quattro a zero, è una sconfitta pesante. Al novantesimo, c'è chi sogna lo scudetto, e c'è chi teme la retrocessione. Ma nulla, nel futuro del calcio, è mai quello annunciato da una sola partita. Di lì a qualche anno, con lo stesso risultato, ma a parti (e doppiette) invertite, si concluderà l'ultima partita del campionato, l'incubo sardo si era trasformato in sogno e il sogno in realtà. Ma di quei due giovani campioni, solo uno correva ancora potente e felice sui campi dell'Italia e del mondo.
Tabellino (1964)
Tabellino (1970)

16 dicembre

1961
Il mondo oltre l'ultima gradinata

Concetto Lo Bello dirige il traffico, di San Siro già conosce ogni zolla, e una volta tanto sul prato e nei dintorni non ci sono italiani. Anche sugli spalti sono pochi gli indigeni, e di chissà cosa curiosi. Il campo è neutro, non favorisce e non danneggia nessuno, e di questi ventidue pedatori è difficile dire se qualcuno tornerà mai da queste parti - sì, ci tornerà qualcuno del CDNA (poi CSKA) di Sofia, a incrociare la declinante Inter di HablaHabla fra qualche anno. In palio ora, tra Francia e Bulgaria, c'è semplicemente la partecipazione al settimo campionato del mondo, sulla carta è ovvio che dovrebbe spuntarla la Francia, ma la generazione di Kopa e Fontaine ha ormai esaurito il suo ciclo - gli anni d'oro del football à la rémoise -, e gli eredi non sono all'altezza. Basta un piccolo gol (fotogramma) all'inizio del secondo tempo, e i bulgari già si domandano se sporgendo lo sguardo oltre l'ultima gradinata del secondo anello non si veda per caso l'oceano, e in fondo all'oceano la benedetta terra del Cile.
Cineteca


1987
La terribile morte del 'Mastino'

Di coloro che giocavano nella Viola e si ammalarono per cause 'misteriose', il primo ad andarsene fu Bruno Beatrice, il Mastino. Non aveva ancora quarant'anni. Dolori alle ossa, alle gambe, febbre cronica, quasi tre anni di infinita agonia: leucemia linfoblastica acuta. Fino alla morte, occorsa il 16 dicembre 1987, ad Arezzo. Nessuno, sulla terra, gli ha ancora reso (e difficilmente gli renderà) giustizia.

25 ottobre

1961
Una partita tranquilla per Walter Winterbottom

Bene, anche questa volta ce l'abbiamo fatta e dunque andiamo a giocarci la partita senza patemi, dice ai suoi Walter Winterbottom. E' così. Inghilterra-Portogallo sarà tra qualche anno la semifinale della coppa del mondo e nessuno lo può sapere, oggi è praticamente un'amichevole. I Leoni si sono qualificati con largo anticipo, li attende una bella avventura in Cile, l'ultima volta in Sudamerica si sono accorti di loro solo perché erano riusciti a perdere con gli Yankees, ma è certo che stavolta la musica cambierà. Intanto si è visto nel girone di qualificazione. Avversari spazzati via. Avversari tosti. Tipo? Il Portogallo, appunto. Ma a Lisbona era finita uno a uno. Calma. Il Portogallo ma anche e soprattutto il Lussemburgo. E poi? Basta. Girone a tre, passa la prima. Tredici gol in due partite ai supremi pedatori del Granducato. Un'impresa. E i lusitani, invece, contro costoro, a casa loro, ne hanno buscati quattro, era il giorno dell'esordio di Eusébio e giocava l'attacco del Benfica, due settimane fa. Tu cosa penseresti, che sia debole il Portogallo o che sia fortissimo il Lussemburgo? Io propendo per la seconda ipotesi. Bene, inizia la partita. Wembley è pieno, come al solito, il pomeriggio è tiepido. Ecco i due capitani che cavallerescamente si scambiano i soliti gagliardetti. Sono John Haynes e José Águas. Speriamo di vedere del buon football.
Cineteca

11 ottobre

1961
La lupa ha sbranato i leoni

Che gli anni '60 sarebbero stati favolosi per il calcio italiano di club (e, sul finire dei medesimi, anche per la nazionale), fu immediatamente chiaro. La Fiorentina conquistò la prima Coppa delle Coppe. La Roma si prese la terza Coppa delle Fiere - la prima con calendario allineato alle altre due competizioni, sebbene ancora frequentata da improbabili ed estemporanee compagini -, e nel 1962 (ma alla fine di un torneo iniziato nel giugno dell'anno precedente) il Bologna alzerà la decaduta ma sopravvissuta Mitropa Cup. Fiorentina, Roma, Bologna. E le milanesi? E la Juve? Guardavano e imparavano. La Roma che, in un assolato mercoledì pomeriggio, entra nell'albo d'oro rispedendo il Birmingham in Inghilterra con due palloni nel sacco, era una bella squadra: ci giocavano Angelillo, Manfredini, Losi (il capitano: nella foto, mentre si gode gli applausi del pubblico), Menichelli, e anche Cudicini, come no, qualche volta addirittura Ghiggia e Schiaffino, per quanto già onusti (oltre che di gloria) di svariati acciacchi e dolori. L'Olimpico era pieno di gente, e tutti videro quel che l'arbitro (un francese) si rifiutò di vedere. Un match - a dir poco - burrascoso, ricco di colpi proibiti. Dall'una e dall'altra parte, ma soprattutto dall'altra. Così, gli inglesi iniziano a tranquillizzarsi quando beccano il primo gol, e si deprimono terribilmente appena subiscono il secondo. Leoni sì, ma non indomabili, soprattutto fuori dal loro territorio. E la lupa li sbranò poco a poco.
Cineteca

19 settembre

1937
L'ultimo giorno felice di Sindelar

Hugo Meisl se n'è andato a febbraio, e negli annali del calcio la sua morte viene fatta coincidere con l'estinzione del Wunderteam. In realtà, l'anno successivo - con l'Anschluss - sarebbe 'morta' anche l'Austria, e l'anno ancora dopo ci sarà la tragica fine del giocatore-simbolo di quell'undici e di quell'epoca, Matthias Sindelar. Date - e dati - noti a tutti. Ma preferiamo scegliere un altro giorno significativo: il 19 settembre 1937, appunto. Siamo al Praterstadion, naturalmente si gioca a pallone. Per la Coppa Internazionale: Austria-Svizzera. Favoriti, i padroni di casa vincono la partita, di misura ma con tanti gol: quattro a tre. Dopo due minuti, Sindelar ha già lasciato il segno. E' questo il momento da ricordare. E' il suo ultimo gol, e lo segna nell'ultima partita che può disputare con quella maglia rappresentando una nazione libera. 
Tabellino

1961
'El Pepe' Sasía

José Francisco Sasía,  nato a Treinta y Tres (Uruguay) guarda caso nel 1933, ha trascorso la carriera attraversando il Rio de la Plata; ha vestito le casacche del Boca, del Defensor, del Peñarol, del Nacional e altre ancora. In particolare, è stato attaccante del Pinerolo fra il 1961 e il 1965. E' sbarcato cioè a Montevideo quando gli Aurinegros erano campioni intercontinentali e del Sudamerica. Lui fu l'uomo del bis. Il trono dei due mondi era conteso quella volta dal Benfica; sconfitta di misura a Lisbona, goleada (cinque a zero) al Centenario. Le bizzarre regole dell'epoca prescrivono lo spareggio, a nessuno importa contare le tacche messe a referto e fare le dovute somme. Dunque si rigioca, ancora al Centenario, a distanza di soli due giorni dalla seconda partita. Il 19 settembre 1961, 'El Pepe' Sasía ingaggia un duello con Eusebio, campione promesso mozambicano-portoghese. Due a uno per lui, per 'El Pepe', la coppa rimane dov'è, da quella notte lui è l'ennesima leggenda uruguayana cui va dedicato un capitolo nel romanzo delle infinite leggende uruguayane, mentre mezza Montevideo saltava per aria ubriaca di gioia.

27 maggio

1952
I Moscoviti stendono l'Aranycsapat

La rappresentativa di calcio delle repubbliche sovietiche è stata allestita con una missione politico-rivoluzionaria ben precisa: vincere la medaglia d'oro alle Olimpiadi di Helsinki. Sotto vario nome, gioca alcuni incontri di preparazione al torneo. Uno, in particolare, va ricordato, poiché non è riconosciuto ufficialmente dagli organi internazionali: quello che vide sbucare sul prato del Dynamo Stadium, per incontrarvi una 'selezione moscovita' (in realtà la nazionale dell'URSS), nientemeno che l'Ungheria. E' la seconda volta in pochi giorni: la prima finì pari, uno a uno. Stavolta, i padroni di casa hanno la meglio (due a uno), sicché questo match costituirebbe una soluzione di continuità nella striscia vincente della grande Ungheria – ufficialmente, appunto, interrotta solo dalla Germania nella finale di Berna.
Eupallog Storie e microstorie


1961
La coppa della Viola

Triste coppa, la prima Coppa delle coppe. Non è ufficialmente riconosciuta - lo sarà a distanza di tempo, su pressione di Giuseppe Pasquale, presidente della F.I.G.C. Partecipano solo dieci squadre, poiché la maggioranza delle federazioni calcistiche europee non vanta ancora una competizione simile alla FA Cup. In fondo a quella sfiancante maratona di partite, in vista del traguardo, si presentano con pari chances i Rangers di Glasgow e la Fiorentina di Nándor Hidegkuti. La formula, allo scopo di rendere ancora più massacrante il torneo, prevede si disputino gare di andata e ritorno. La Viola sbanca Ibrox Park, il 17 maggio, con una doppietta del Milan (sì, Luigi Milan: figurina); al Comunale, quindi, dove è fissato il traguardo finale, si staglia con un distacco pressoché incolmabile. Segna ancora il Milan (eddai!), poi i Gers pareggiano, ma alla fine Kurt Hamrin mette il cappello e dà a tutti la buonanotte.
Tabellino | Frammenti (con il gol di Hamrin)


1964
La capitale d'Europa

Subentrato al Milan come campione d'Italia, l'Inter si posiziona subito dopo i rossoneri anche nell'albo d'oro della Coppa dei campioni. L'Europa del football è Milanocentrica, grazie a questa sana competizione infracittadina. Al Prater la maramalda masnada herreriana trova di fronte a sé l'antico e cigolante colosso madridista, nel quale i vecchi titani stanno ormai cantando le loro ultime canzoni. E' un repertorio ormai superato, va da sé. Sandrino Mazzola è l'uomo del match, con i suoi due gol; la sua agile freschezza propone al continente una nuova stella da ammirare. E l'Inter sarà ammirata per qualche anno; più per il suo tremendismo che per la bellezza del gioco. Esattamente un anno dopo (il 27 maggio 1965) i nerazzurri si confermeranno sul trono, battendo il Benfica in una fradicia serata milanese, mostrando la coppa nel cielo di San Siro.
Inter-Real: cineteca
Inter-Benfica: cineteca


1971
Capitano, mio capitano

Si spegne, a Sanremo, Armando Picchi. A soli trentacinque anni, quando aveva smesso di giocare da poco, avviandosi a una carriera di allenatore che l'avrebbe portato di sicuro molto lontano. Per andarsene, colpito da una grave malattia, ha atteso il giorno che aveva sottolineato sul calendario, perché coincideva con i suoi ricordi migliori: era lui il capitano dell'Inter nel 1964 e nel 1965; fu lui che alzò la coppa dopo i trionfi sul Real e sul Benfica. "Aveva il volto incavato già a venticinque, trent'anni. E in mezzo ai solchi profondi, appena sotto le rughe della fronte lignea, muoveva occhi di castagna scintillante. Occhi rassicuranti, occhi da far paura; a seconda che il guerriero li usasse, come lui solo sapeva, per dire amicizia o per scagliare addosso l'ira del giusto" (Nando Dalla Chiesa).
In mortem (Giovanni Arpino)


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24 maggio

1961
Inferiority complex

Mariolino Corso indossa la sua prima maglia azzurra, e per poco non accade il miracolo. All'Olimpico di Roma, l'Italia - quando manca meno di un quarto d'ora al triplice fischio - sta vincendo sugli inglesi. E caspita, sarebbe anche ora, quelli ormai non fanno paura a nessuno. Ma è evidente che li soffriamo. E' chiaro che, in fondo, abbiamo ancora nei loro confronti un notevole inferiority complex. Altrimenti non riuscirebbero a ribaltarci proprio sullo scorcio del match. Due gol, li segnano proprio Jimmy Greaves e Gerry Hitchens. Sembrano due fuoriclasse - e Greaves potrebbe esserlo, non fosse (Brera dixit) "un gran lavativo"; Milan e Inter li ingaggiano, ma se ne pentiranno molto presto. Resta il dato: degli inglesi - per quanto presuntuosi e modesti - ancora non veniamo a capo. Nonostante Mariolino. 

1972
Il prototipo dell'ala sinistra

Camp Nou, finale di Coppa delle coppe. E' la grande serata di William McClure ("Willie") Johnston (foto), ala sinistra dei Rangers. Un bel tipo. Di lui si ricordano parecchie storie. Per esempio, un Old Firm di un sabato d'ottobre nel 1970. Era talmente incontenibile sulla sua fascia, quel pomeriggio, che nessuno del Celtic osava più affrontarlo, temendo di esserne ridicolizzato. Cosa fece allora? Lì, ad  Hampden Park, davanti a (dati ufficiali) 106.263 spettatori, improvvisamente fermò la corsa, fermò il pallone e ci si sedette sopra, aspettando che qualcuno mostrasse d'avere sufficiente coraggio per provare a sottrargli il giocattolo. Un anno dopo, il 4 settembre 1971, in un match di First Division a Maryhill (periferia di Glasgow) contro il Partick Thistle,  mise ko (bel pugno!) un terzino che aveva passeggiato sul suo ginocchio mentre lui era a terra, brutalmente falciato dal medesimo.  Espulso, naturalmente; i Rangers persero inopinatamente, la squalifica fu pesante e gli inibì per diversi anni la chiamata nella Tartan Army. Nel '78, tuttavia, lo portarono in Argentina; e va beh, quando risultò positivo al test anti-doping dopo Perù-Scozia, la sua carriera era ormai agli sgoccioli. Episodi ritagliati dalla vicenda agonistica (sempre sopra le righe) di un pedatore irascibile e controverso, che tuttavia resterà indimenticabile perché scritta nella storia dei Rangers: fu Willie Johnston, infatti, ad aprire (virtualmente chiudendola) con una fantastica doppietta la polemica finale di Camp Nou, contro la Dinamo di Mosca. L'unico alloro europeo, in definitiva, a tutt'oggi conquistato dai Gers. Molti gli avranno chiesto e gli chiederanno ancora di raccontare qualche dettaglio di quella serata, nel pub-museo che gestisce insieme al figlio a Kirkaldy, piccolo centro affacciato sul mare, East Coast della  grande madre Scozia. 

2000
Picnic allo Stade de France

E' la prima, davvero la prima volta che due club dello stesso paese vanno in gita fuoriporta per contendersi il più prestigioso alloro continentale. Capita al Real Madrid e al Valencia Club de Fútbol  - il sorprendente Valencia di Héctor Cúper, dove vivevano formidabili anni alcuni formidabili jugadores che poi, adocchiati e strapagati da club italiani, si rivelarono poco più che formidabili bidoni. Il picnic si tenne nientemeno che allo Stade de France, ma ai Murciélagos le vivande andarono tutte di traverso. Un secco tre a zero, nessuna discussione. Bambini si torna a casa, è stata comunque una bella cosa. L'unico un po' accigliato era proprio Héctor (foto), la cui fama di vincente che perde sempre le partite più delicate si stava consolidando.

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2 aprile

1961
La fascia e la terza maglia di Kubala

Quanti pedatori hanno indossato la maglia di tre nazionali? Eccone uno: László Kubala, coetaneo di Puskás e nato come lui a Budapest, che giocò per la Cecoslovacchia sei volte - i suoi genitori erano originari di quel paese - quando militava nello Slovan Bratislava, per l'Ungheria tre volte quando militava nel Vasas di Budapest e per la Spagna diciannove volte quando militava nel Barcellona. Era un fuoriclasse, certo. Giocò sempre per le nazionali giuste, ma sempre nel momento sbagliato. Perlomeno, dalla Roja si congedò con la fascia di capitano (nella foto, con Kopa) e una vittoria: due a zero, al Bernabéu, sulla Francia.


1967
I molli e avviliti resti del Milan

Nei favolosi 1960s il derby d'Europa si giocava a Milano: le due squadre dominavano la scena continentale, conquistando svariate coppe dei campioni. Cose risapute. Nella stracittadina, tuttavia, l'Inter di HH riusciva ad avere più di frequente la meglio. Questo è un quattro a zero senza repliche. "Giunto Rivera a sazietà agonistica, non vi è più luce di idee negli schemi del Milan" (disse un critico). Herrera è su di giri: "avremmo potuto vincere otto a uno, basti pensare ai due rigori negatici". Già. Capita, del resto. Amarildo, costretto a rincorrere Facchetti (foto), rimediava brutte figure. Esordiva nel derby Anguilla Anquilletti: "esalta Cappellini fino ad illuderci sul centravanti della nazionale: ma chi lo protegge, povero diavolo?" (aggiunse il medesimo critico). Herrera è parecchio su di giri: "l'Inter è in forma, in gran forma: fisica, mentale, morale. Abbiamo di fronte il 'mese di ferro', e noi in questo mese vogliamo vincere lo scudetto per presentarci distesi alla finalissima di Coppa". Già. Come poi quella stagione finì, è cosa risaputa.
Tabellino | Documentazione


1992
L'ultimo e vano dribbling di Juanito

Quando, al Bernabéu, scocca il settimo minuto di gioco, qualunque sia la partita e il risultato, la curva inizia a cantare: "illa, illa, illa, Juanito maravilla". Onorano così la memoria di Juan Gómez González, che la camiseta blanca col numero sette portò per dieci anni, dal 1977 al 1987. L'appuntamento con un tragico destino era fissato sulla strada che da Madrid porta a Merida; un autocarro carico di tronchi d'albero perde il controllo, si rovescia. Juanito arriva in quel momento, dribbla rapidamente quegli inediti avversari, ma si schianta frontalmente contro il camion che lo precede. Era il 2 aprile 1992. "Illa, illa, illa, Juanito maravilla".
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26 marzo

1961
Signori, questo è il derby

Così si apriva il resoconto di Gianni Brera. L'Inter domina, ma il Milan vince. Partita condizionata da Altafini, che va in gol dopo 20 secondi. "David avrebbe voluto legnare in porta: ha sparato invece a due spanne da terra in direzione di Altafini: il quale, grandissimo, ha saputo controllare quel proietto con il destro e ribatterlo fulmineamente a rete di sinistro, cavandone un tiro imparabile da Belzebù, non dico dal prode Buffon". L'Inter "inghiotte e si avventa". Il Milan trionfa, la Juve sorride.

1977
L'ultima profezia

Ad Anversa, Belgio e Olanda si giocano o quasi la qualificazione ai mondiali d'Argentina. Vincono gli Orange, un gol per tempo. Osserviamo il secondo. Willy van der Kuijlen, totem del PSV, è appena entrato, sostituendo Kees Kist, totem dell'AZ. Praticamente dal centro del cerchio del centrocampo, alza un pallone a scavalcare la difesa belga. Spunta, oltre la linea difensiva molto avanzata dei padroni di casa, la sagoma di Johan Cruijff. Forse è in fuorigioco. Forse no. Solo davanti a Piot, lo irride con un pallonetto che più morbido non potrebbe essere. Tutto normale, per lui. Ma si tratta del suo ultimo gol per l'Olanda, e merita di essere ricordato.

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