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27 gennaio

1899
Il giramondo

Nasce, a Budapest, Béla Guttmann. Ha giocato soprattutto in America ma ha allenato quasi tutte le squadre del mondo. Quarant'anni in panchina: a Vienna, in Olanda, nella sua Ungheria, in Romania, a Padova e a Trieste, in Argentina, in Israele, in Brasile, in Uruguay, in Svizzera, in Grecia, in Portogallo. Suo massimo capolavoro è stato il Benfica, con il quale ha messo fine al regno madridista in Europa. E' considerato tra i padri di tutti i padri del calcio moderno.


1935
Vince (quasi) sempre l'Uruguay

Ultima partita di un torneo a quattro (campionato del Sudamerica, sì, ma senza il Brasile), si gioca tutto in Perù. Naturalmente, la sfida è tra Argentina e Uruguay, e favorita è l'Argentina, che ha liquidato facilmente peruviani e cileni (doppio 4-1). Dall'altra parte, tuttavia, sono ancora in grande spolvero alcuni di quelli che avevano trionfato al Centenario nel 1930 e ad Amsterdam nel 1928: fra tutti, Héctor Castro (nella foto) e José Nasazzi. Con tre gol incassati già nel primo tempo, l'albiceleste è stordita e annientata.


1943
Morte di un dottore goleador

Si suicida a Milano il dottor Francesco Bontadini, capitano medico di complemento, due volte decorato al Valor militare nella grande guerra. E' stato il primo importante giocatore passato dal Milan all'Inter, e accadde nel corso del 1911. In nerazzurro milita per dieci anni, prima e dopo la guerra, segna molto, smette solo quando finalmente riesce coi suoi a conseguire il titolo. E', inoltre, autore del gol che assicurò la prima vittoria della nazionale italiana fuori dai confini: accadde al Rasunda e contro la Svezia, nelle Olimpiadi del 1912.


1963
L'1-3-1 del Madrid

Lo schema allude ai gol che (non in ordine di segnatura) Di Stéfano, Puskas e Gento infilano nella rete di un Barça male in arnese, a Camp Nou, per il Clàsico di ritorno della Priméra Division. L'ungherese (foto) non aveva mai timbrato il cartellino a casa del suo amico Kocsis in un match di campionato. A differenza di Alfredo Di Stéfano, suo vorace compare, Puskas si era educatamente astenuto, con la sola eccezione di una semifinale di Coppa dei campioni nella primavera del 1960.


1974
A metà del cammino
Finisce il girone di andata. Il Bologna, che di solito pareggia (fin qui, nove volte su quattordici), abbassa la guardia e si offre alla Lazio: quattro a zero. Maestrelli (nella foto) gira al vertice della classifica e avanti di tre punti rispetto alla Juve, dunque campione d'inverno. La quale Juve si arena al Comunale contro il derelitto Lanerossi. Nell'anno II dell'Era Pedonale, i supporters della Vecchia Signora si abituano ai mesti ritorni dallo stadio in tram, mentre a Roma preparano trombette, coriandoli e bandieroni.
Tabellino (sub data) | Highlights


2000
World's Eight Wonder

Si spegne a Victoria, in Canada, Sebastião Lucas da Fonseca, mozambicano, detto Matateu. Il predecessore di Eusébio (come lui era nato a Maputo), ma non giocò nel Benfica, e nella Seleçao portoghese uno iniziò quando l'altro aveva appena finito. Indossò la maglia del Belenenses dal 1951 al 1964, e non riuscì mai a vincere un titolo. Le volte che stava per riuscirci, gli venivano annullati gol decisivi, in partite decisive tra Belenenses e Benfica. A metà dei 1950s s'innamorarono di lui gli inglesi, e diventò l'ottava meraviglia del mondo.

24 gennaio

1943
Impetuoso Livorno

L'Ardenza è stracolmo. Il Livorno (nella foto, in una formazione della strepitosa annata 1942-43) riceve da primo in classifica (già!) il Torino, determinato a fare vedere "che è e si sente forte, che ha polmoni doppi e garretti d'acciaio. Un Livorno che, raffigurato come una giovane triglia guizzante, è, invece, un mastino dai denti aguzzi, pronto a mordere e a lasciare il segno" (Luigi Cavallero). Il Livorno azzanna il Toro, lo morde, lo strapazza nel primo tempo. Reclama rigori, lamenta ingiustizie, spreca occasioni. La linea difensiva dei piemontesi non è ancora quella leggendaria, ma tiene. Lentamente, la baldanza dei toscani si spegne. Hanno dimostrato quello che dovevano dimostrare, in fondo. Zero a zero. Ne approfittano la Juve e l'Ambrosiana, che dispensano cinquine alle provinciali. Ma il campionato, si sa, è sempre e ancora molto lungo.


1870
Pedatorum pater multorum

A Nottingham nasce Herbert Kilpin. Entro la fin du siècle avrà già fondato un club calcistico a Torino e poi, appena trasferitosi a Milano, avviato il Milan Cricket and Football Club. Del proto-Milan è giocatore, capitano, allenatore. Ci mette poco a vincere lo scudetto. Anzi, ne vince tre (l'ultimo, solo da anziano pedatore, nel 1907; probabilmente vanta un record assoluto: tre titoli vinti in sole ventisette partite disputate). "We are a team of devils. Our colours are red as fire and black to invoke fear in our opponents!", è la frase a lui da sempre attribuita.
Profilo



1973
Dispetto gallese

Ramsey l'antipatico vorrebbe zittire le cassandre vincendo il mondiale del '74. La Germania gli ha già portato fortuna una volta, no? Ha solo un problema. Riuscire a qualificare l'Inghilterra per quel torneo. Ci sono solo due avversari (Galles e Polonia), di valore considerato modesto. Ma a Wembley non va oltre un pari contro il Galles che costerà carissimo nella psicologia del girone. Uno a uno, e bolletta emessa da John Benjamin Toshack (nella foto). Piaccia o meno, gioca nel Liverpool, come il portiere degli inglesi, Ray Clemence.
1990
Ultimo giro per la Germania dell'Est

L'annuario calcistico mondiale del 1990 è l'ultimo a registrare dati relativi alla nazionale di calcio della Germania Est. Un anno senza gloria e, per i tedeschi al di là del muro, senza mondiale. Saranno solo inutili test-match in funzione di altri inutili test-match. L'anno agonistico inizia a Kuwait City, in un triangolare pubblicitario cui partecipa anche la Francia. Per Eric Cantona, ancora giovane e ambizioso (nella foto), una buona occasione per fare esperienza e avanzare coi gol nel ranking di Eupalla. Doppietta, e spazio nel tabellino anche per il di lui più giovane Didier Deschamps.
2010
Il derby di Mou

L'Inter vince due a zero, vola in classifica. Ma è nervosa oltre il lecito. Due espulsi (Lucio e Sneijder), gesti e gestacci in panchina. "Questa partita l'avremmo potuta perdere solo se fossimo rimasti in sei, per regolamento. Per fortuna siamo rimasti in nove, ma avremmo vinto anche in sette", sbruffoneggia il portoghese. Sente puzza di marcio, e non le manda a dire. 

17 gennaio

1926
Piacere, Plánička

Al Motovelodromo di Corso Casale, in Torino, l'Italia affronta la Cecoslovacchia, che secondo la stampa torinese è "la più forte équipe calcistica del continente". Naturalmente, l'argomento è buono per ingigantire un'eventuale vittoria degli azzurri. Infatti. Finì tre a uno, e il migliore dei cechi fu un giovane ed esordiente portiere: František Plánička (foto). "Fino all'eroismo, fino al rischio di averne gli arti e il capo vulnerato. Il senso della posizione e della tempestività hanno brillato in questo giocatore che si è battuto leoninamente. Egli è stato grande. E a lui la sua squadra deve se il bagaglio dei punti non è salito a una numerazione ... iperbolica. Se della sua classe fossero stati i compagni, noi avremmo registrato ben altro risultato. Ma sulla base dei 'se' non è il caso di arzigogolare. Il suo eroismo ha salvato la squadra da una disfatta, non da una sconfitta che non poteva non essere meritata". In effetti, il boemo era destinato ad imporsi come uno dei grandi interpreti del ruolo nella storia del football

1942
Il buongiorno si vede dal mattino?

Ecco che sbuca sul prato Tomás Soares da Silva, col tempo lo chiameranno "Zizinho" (foto). E' il suo battesimo con la maglia della Seleçao, per la quale giocherà più di cinquanta partite. Considerato tra i migliori attaccanti nella storia del calcio brasiliano, sarà anche lui protagonista del maracanaço. Il buongiorno si vede dal mattino? Nel giorno del suo esordio, il Brasile perse due a uno con l'Argentina: all'Estadio Centenario di Montevideo, ed era la seconda partita del Brasile nel Campeonato Sudamericano.



1943
Ultima razzìa al Filadelfia

Nonostante "una superiorità meglio della quale non si può immaginare in una partita di calcio" (Monsù Poss, 'La Stampa'), il Toro viene sconfitto dall'Ambrosiana Inter sul proprio campo. "Metà salamandra e metà riccio, la squadra nerazzurra non brucia al fuoco dell'azione granata e vince con tre reazioni che lasciano il segno (Mario Zappa, Gazzetta dello Sport). Doppietta di Gaddoni (foto), onesto giugadùr e nulla più. Errori difensivi ed errori arbitrali, "ambiente in subbuglio", aggiungono le cronache. Lezione appresa. Fino a dopo Superga, nessuna squadra espugnerà più il Filadelfia.


13 giugno

1943
La endeble moral de los azulgrana

Un punteggio assurdo, anomalo, causato dalla fragilità degli azulgrana - occhiella El Mundo Deportivo. Si sta parlando della semifinale di ritorno della Copa de Su Excelencia El Generalísimo de fútbol, edizione 1943. La prima gara, a Camp de Les Corts, fu largamente dominata dal Barça; tre a zero, secondo pronostico. Nessuna delle due squadre aveva disputato una temporada indimenticabile, è vero: ma - indiscutibilmente - i catalani parevano superiori. Spostiamoci a Chamartín. Un po' di gente c'è, non è detto che creda alla remuntada, ma si tratta pur sempre del Clásico. Alla fine del primo tempo non c'è più nulla da vedere. Il Real è avanti di otto gol. Già: otto a zero in quarantacinque minuti. La partita continua, e finisce undici a uno. Se ne parlerà per molti anni; per molti anni questa partita verrà analizzata e discussa; generazioni e generazioni di nuovi e giovani barcellonisti guarderanno l'albo d'oro e sgraneranno gli occhi, chiedendosi come sia stata possibile, nel tempo dei tempi, una disfatta di tali proporzioni. Si dice che, prima della partita, un agente della sicurezza di Stato abbia fatto ingresso negli spogliatoi del Barça  con un fucile in mano, e abbia edotto i catalani sulle possibili conseguenze di una loro qualificazione alla finale. Sarà vero? 
Mundo Deportivo (cronaca, commento e tabellino) | VideoFacebook


1956
Coupe des clubs champions européens

"Realmente ha valido la pena el cubrir los 1.900 kilómetros que separan Lisboa de Paris, para contemplar este formidable partido". Questo fu il primo commento di Don Agustin Puyol. Non era poi così malmesso, il fútbol español. Già: esattamente dieci giorni prima, la Roja aveva buscato pesantemente dal Portogallo, e quella lezione era stata mal digerita da Don Agustin, membro della FIFA e Presidente della Federazione calcistica catalana. Frammenti di discorso che lasciano immaginare quanto carico di mesti pensieri sia stato quel suo lungo viaggio (durato dieci giorni?) fino a Parigi. A Parigi era in programma Real Madrid-Stade de Reims, finale della prima Coppa dei Campioni (foto). Quanti dei satanassi madridisti si erano dovuti sorbire lo stesso chilometraggio di Puyol? Solo due: José Héctor Rial Laguía e Francisco "Paco" Gento López. Il primo, peraltro, era nato a Buenos Aires, ma giocava da due stagioni con i blancos (dove se no, con quel cognome?) e aveva già risposto all'appello calcistico della sua nuova nazione. Lo chiamavano 'el Pibe', nonostante fosse già più vicino ai trenta che ai venti. Héctor Rial non diede alcun segno di stanchezza o di depressione, al Parco dei Principi, di fronte agli scatenati pedatori della Marne. Anzi. Il Real dopo dieci minuti era sotto di due gol; alla mezz'ora lui depositava il pallone del momentaneo pari. Il Real andò sotto di nuovo, pareggiò di nuovo e infine, gloriosamente, lui insaccò il quattro a tre, mandando in visibilio Don Agustin Puyol. Naturalmente, a parte lui, i catalani restarono abbastanza indifferenti all'evento, come mostra lo spazio che gli destinò Mundo Deportivo il 14 giugno. Un box in prima pagina, di piccole dimensioni e con rimando alla terza; più piccole di quello che annunciava, per quella sera, l'arrivo a Barcellona degli Harlem Globetrotters e della loro nuova star, Meadowlark Lemon. Avrà fatto in tempo Agustin Puyol a percorrere i millanta kilómetros che separavano Paris da Barcelona, per godersi un altro formidable espectáculo?
Cineteca | Mundo Deportivo: prima pagina - commenti


1974
Il Brasile intrappolato nella foresta

Il mondo è cambiato, il football anche: manca solo l'ufficialità. A Francoforte, nel rinnovato Waldstadion che emerge come frutto degenere della natura nel bel mezzo di una fitta boscaglia (foto), si aprono le tabulae e si comincia a scrivere una storia nuova. I primi a far capolino sono ombre del passato: il Brasile, ormai senza Pelé e con un'anima ibrida; la Jugoslavia, compagine da sempre corsara, temutissima soprattutto dagli europei perché capace tradizionalmente di esprimere un gioco fatto di tecnica, astuzia e cattiveria. Finisce zero a zero, ma gli slavi avrebbero meritato di vincere. "Dove sono i Rivelinho e gli Jairzinho di ieri, anzi di quattro anni fa?" (Giovanni Arpino). Sono fantasmi. Presto entreranno in scena i nuovi, tremendi guerrieri del nord. Saranno aspre, terribili battaglie. 
1982
Il mesto esordio del Pibe a Camp Nou

Mentre la stampa italiana conta i giorni che mancano all'inglorioso ritorno in patria della sbandatissima truppa azzurra, l'XI che detiene il titolo mondiale  battezza la competizione. E' l'Argentina, e tutti la ritengono molto più forte adesso di quattro anni fa. Perché? Per via di quel riccioluto e apparentemente grassoccio ragazzino, il cui piede sinistro è già sacro alle genti di Eupalla. Ma al gran ballo di Camp Nou - proprio lì, nella nuova, enorme casa arredata per Diego - è invitato l'ospite più sgarbato che si possa immaginare: il Belgio. I belgi non giocano mai a pallone: disturbano l'avversario con variazioni tattiche, lo innervosiscono, gli fanno perdere tempo e tempi di gioco, ne mettono a durissima prova la pazienza. E quando l'hanno sfiancato nascondendo ogni varco e seminando trappole su tutti i sentieri, colpiscono. Ricordate? Il numero sei si chiama François Vercauteren, ha un sinistro vellutato e gioca nell'Anderlecht. Vede il movimento di Erwin Vandenbergh, il centravanti, che ha girato alle spalle dei difensori sudamericani. Calibra un passaggio di trenta metri, con effetto a rientrare. E' perfetto, ma non è un pallone semplice da addomesticare. Di petto, Vandenbergh lo mette a terra, ne studia il rimbalzo e colpisce di collo, incrociando con scienza e mestiere una traiettoria letale (foto). Si spengono i canti, e la nuova casa adesso sembra a Diego indifferente e disadorna.
Cineteca


  • Vedi anche le partite del 13 giugno in Cineteca

9 aprile

1905
Ci telefonano da Genova ...

Alla redazione centrale di La Stampa, in via Dora Grossa (oggi via Garibaldi) il telefono squillava a ogni ora del giorno. Il turnista forse dormiva già, erano le 23 del 9 aprile 1905. Fece un balzo sulla sedia, ma rispose. E trascrisse. "Ci telefonano da Genova. Oggi ebbe luogo il nuovo incontro tra la prima squadra del «Genoa Cricket» e [quella] dell'«Unione Sportiva Milanese» per il campionato nazionale. Le due squadre segnarono entrambe due goals. Così la squadra di Genova segna in totale cinque punti e quella di Milano un punto. Il Club Juventus di Torino (foto) vince così con sei punti, per la prima volta, il campionato nazionale delle prime o seconde squadre".
Laconico.
Il campionato del 1905

1943
Il portiere che cercava lavoro

Si spegne, a Liverpool, James "Jimmy" Ashcroft.  Trent'anni prima, sul finire di una lunga carriera, era rimasto senza squadra. Non voleva saperne di appendere scarpe e guanti (giocava in porta) al chiodo. E quindi pubblicò un annuncio su The Athletic News, foglio che si stampava a Manchester: "Ashcroft, goalkeeper, Blackburn Rovers, open for engagement; free transfer – Willaston Road, Walton, Liverpool". Lo ingaggiò il Tranmere, club che cercava di emergere dalle serie minori. Correva l'anno 1913. Nei suoi giorni migliori aveva difeso i pali dell'Arsenal e del Blackburn. Fu il primo Gunner a guadagnarsi la chiamata per l'XI della Regina.


  • Vedi anche le partite del 9 aprile in Cineteca