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7 febbraio

1891
La stella della Distilleria

L'ottava edizione della British Home Championship prende le mosse da Belfast: Irlanda e Galles si disputano teoricamente il cucchiaio di legno. La modestia dei pedatori s'indovina dalle squadre in cui militano: gli irlandesi sono tutti o quasi del Linfield FC; i gallesi più distribuiti, con prevalenza di quelli prestati alla causa dal Chirk FC. Pronostico favorevole agli ospiti, e infatti vince l'Irlanda: 7-2. Sugli scudi e con un pallone da portare a casa Olphert Stanfield, stella del Distillery FC.
Tabellino


1942
Titoli di coda al Centenario

Il Campeonato sudamericano è agli sgoccioli: manca una partita, ed è praticamente la finale. Uruguay e Argentina sono in testa a pari punti. L'Albiceleste fa paura, ma è difficile che la Celeste si faccia intimorire. C'è già Obdulio, lì in mezzo è complicato passare. Basta un gol, e lo segna l'ala sinistra, Bibiano Zapirain (foto). Titoli di coda, Uruguay campione. Zapirain giocava nel Nacional, l'eco delle sue gesta arrivò in Italia, e dopo la guerra fece capolino nell'Inter.
Tabellino (sub data)



1965
Se Altafini gioca per l'Inter

San Siro è in festa per il figliol prodigo. E' tornato José! Il "coniglio" aveva finalmente dimenticato le offese. Non poteva scegliere un momento migliore per rientrare all'ovile: il Milan domina il campionato, l'Inter arranca a sette punti di distanza. Rientra in un match ritenuto d'ordinaria amministrazione, in casa e contro il modesto Lanerossi Vicenza. Riceve omaggi floreali dal parterre (foto). Morale? Disastro. Il Milan perde la partita e inizia a smarrire se stesso. "Altafini il salvatore dell'Inter", titolerà "Il Calcio illustrato".


2007
Invencible armada

La Roja destinata a dominare il mondo per almeno cinque anni nasce nel Teatro dei Sogni, in una fredda serata d'inverno. Il ciclo era iniziato male, con due pesanti sconfitte nel girone di qualificazione dell'europeo. A Manchester la musica cambia. Iniesta è ancora un imberbe o quasi, ma la sua danza col pallone è già arte matura. E' proprio lui a schiodare il match e a decretare l'ennesimo stato di crisi per l'XI albionico. Da quella sera in poi, la Spagna è stata, per tanti anni, praticamente imbattibile.
Tabellino | Highlights | Commento (The Guardian)

31 gennaio

1915
Il giorno dei fratelli Cevenini

Aldo e Luigi (nella foto), entrambi del Football Club Internazionale Milano, giocano insieme per un'unica volta in maglia azzurra. Luigi è all'esordio, Aldo ai saluti - la nazionale italiana tornerà al calcio solo nel 1920. La partita è in programma allo Stadium di Torino, avveniristico ma per l'occasione semi-deserto. Test-match gelido contro la Svizzera, l'arbitro è un genoano, componente della commissione tecnica italiana. Agevole tre a uno. Il tabellino è uno stato di famiglia: due gol Luigi, uno Aldo.
Tabellino

1932
La fretta di Peppino

Serie A, 18ma giornata. Il Casale si reca all'Arena con l'animo leggero di chi galleggia nelle placide acque del centroclassifica. L'Ambrosiana, invece, ha parecchio terreno da recuperare rispetto a Juve e Bologna, e ambizioni quasi ridimensionate. Meazza, pur rinvigorito da due settimane di vita sana sui monti, non è in condizioni brillanti, ma sgomma e infierisce. Tripletta nel primo tempo, poi cala: malinconico pomeriggio per il portiere dei nerostellati, Vincenzo Provera (foto).


1944 
Dallo scudetto ad Auschwitz

"Mi sembra si chiamasse Weisz, era molto bravo ma anche ebreo e chi sa come è finito" (Enzo Biagi). L'allenatore pluriscudettato dell'Ambrosiana-Inter e del Bologna finisce i suoi giorni ad Auschwitz; muore della morte di cui lì si era soliti morire. Morte e oblìo; solo di recente, e giustamente, ci si è ricordati di lui. Era ungherese, di Solt: "sapeva e capiva di calcio come pochi" (Gianni Brera).
Profilo | Il libro di Marani 



1954
Il capitano olimpico

Si spegne, a Ealing, Vivian Woodward. Chi era? Semplicemente il capitano del football team britannico alle Olimpiadi del 1908 e del 1912. Le due sole competizioni internazionali (escludiamo ovviamente dal novero la British Championship) che gli inglesi potevano rivendicare prima del '66. Giocò nel Chelsea e nel Tottenham, ma con la casacca albionica fece davvero parecchi gol. Così tanti, che si dovette aspettare l'epoca di Lofthouse e di Finney per espungere il suo nome dagli albi statistici correnti.


1965
Oronzo ammutolisce HH

Il Mago porta la truppa in gita in Puglia, e Oronzo Pugliese (nella foto) imbandisce un'accoglienza festosa. Non è solo folklore, al Zaccaria. I bravi mercenari veneti e toscani reclutati dal Foggia fanno vedere i sorci verdi ai bauscia. Abbuffata di gol nel secondo tempo, l'Inter perde e va a meno sette dal Milan. Campionato in archivio, si pensava. Però ci sono ancora quindici partite in cartellone, il thriller è solo alle battute iniziali.
Tabellino


1987
Lineker cortó tres orejas

La stampa catalana inorgoglisce, il Barça ha insegnato calcio alla scolaresca madridista. La stagione di Gary Lineker (foto), la prima in blaugrana, ne conferma le abilità di gran scorer: insacca due palloni all'inizio del primo e un altro all'alba del secondo tempo. Poi Valdano e Hugo Sanchez mettono un po' di zucchero sul risultato. Tre a due, barcellonisti a più tre in classifica. "Victoria epica" (Mundo Deportivo) e illusori progetti di fuga.

10 gennaio

1965
Nebbia nella Bassa

S'inizia a giocare sotto uno splendido sole (foto),  i padroni di casa nel primo tempo insaccano due palloni alle spalle di Albertosi e reclamano due rigori che l'arbitro, chissà perché, non concede. In tribuna c'è il commissario tecnico della nazionale, è la seconda volta che osserva il Mantova quest'anno, esprime giudizi lusinghieri: "non mi sembra proprio una squadra che debba lottare per non retrocedere". Vero, al momento è penultimo, ma potrebbe risalire, e i due punti di oggi sarebbero vitali. Inizia il secondo tempo. Il sole è sparito, vi sarebbe una certa foschia. Dopo nemmeno dieci minuti non si vedono più gli alberi che circondano il Parco del Te. La gente in tribuna studia la direzione del vento. Si accendono i riflettori. Ma è vietato per regolamento, e l'arbitro li fa spegnere. La nebbia si infittisce. Di nuovo i riflettori, ma il regolamento non è cambiato nel frattempo. A sei minuti dalla fine, non si vede più nulla. I giocatori della Fiorentina protestano, come facciamo a rimontare se non sappiamo neppure dove sia la porta difesa da Zoff? Piovono fischi dagli spalti. Arbitro e giocatori rientrano negli spogliatoi, poi tornano in campo, poi rientrano, poi tornano. Niente da fare. Triplice fischio, partita da ripetere. Si ricomincerà da zero, anzi dallo zero a zero. E, alla fine di quella stagione, il Mantova retrocederà. Nonostante le previsioni di Fabbri.
Tabellino (sub data)


1909
Primo derby di Milano

Non in assoluto, ma in campionato sì. Si gioca sul campo del Milan, il "Monforte", in via Fratelli Bronzetti, dove c'è una piccola, vera tribuna in legno (foto). E' un happening: aprono la festa le squadre B, per il torneo di seconda categoria. A seguire, la sfida fra gli XI iscritti al 'campionato federale di prima categoria'
"Lo stato deplorevole in cui per il maltempo si trovava ieri la pélouse del Milan Club, ha fatto sì che le due squadre milanesi scese ieri per incontrarsi nella prima gara di eliminazione per i Campionati federali, abbiano svolto un gioco pesante e monotono. La vittoria, per u sol punto, arrise alle camicie rosso e nere. L'una e l'altra squadra non erano complete: il Milan Club però aveva potuto surrogare il suo centro di prima fila con Trerè junior, che è sempre il giocatore italiano che abbia maggiore padronanza della palla. Il F. C. Internazionale, dopo venti minuti di gioco, perse il suo capitano, che è il miglior giocatore della squadra, in seguito a uno sfortunato accidente di gioco, che lo costrinse a ritirarsi. E dobbiamo dire che i neri e azzurri, ridotti a dieci, senza troppo scoraggiarsi dell'abbandono del loro duce, hanno fatto del loro meglio e hanno tenuto testa validamente agli avversari, fino al termine del match. Il Milan Club segnò 3 goals, per merito di Treré junior, Lana e Laich, rispettivamente; l'Internazionale se ne aggiudicò 2, per opera di Du Chené junior e di Schuler. Pubblico non molto numeroso, ma in compenso animatissimo, largo di applausi e di fischi" (Corriere della Sera), L'arbitro di questo match fu Harry Goodley, ex giocatore e allora dirigente della Juventus. Altri tempi.
Tabellino | Documentazione di Magliarossonera: il derby - il campo 



1960
Crolla il modulo Viani

Così, sarcasticamente, Bruno Roghi riassume il senso di Milan-Juventus: 14ma del girone di andata, la Juventus è in testa, il Milan insegue a due punti. San Siro è stracolmo, il campo leggermente innevato. "Ha giocato solo la Juventus. Il Milan invece si è giocato addosso". Sivori e Charles, tuttavia, restano all'asciutto: il due a zero è timbrato da Stacchini e Cervato (nella foto, l'azione del gol). Milan intimidito, Vecchia Signora già distante in classifica.
Leggi Roghi (Il Corriere dello Sport, con tabellino) | Highlights


1981
La bolgia del Centenario


Brasile-Uruguay è sempre la rivincita di una rivincita; di solito chi segnava per primo perdeva. Capitò all'Uruguay nel 1919, nell'ultima partita della Copa América (in vantaggio di 2:0, fu raggiunto; nel necessario spareggio, o Brazil la spuntò con un golletto nei supplementari), capitò al Brasile nel '50, all'Uruguay nel '70. Anche stavolta va in vantaggio la Celeste, e viene raggiunta: rigore di Socrates,  il destino pare segnato. Ma se si trattava di una regola scritta, la cancellò Victorino (e chi se non lui; nella foto). Il 'mundialito' andava ai rognosissimi rioplatensi.
Cineteca


29 dicembre

1946
Il 'fattore campo'

La quattordicesima di andata del campionato 1946-47 fece registrare un primato "di tipo speciale": il primato negativo del fattore campo. Sei vittorie esterne, solo due interne, e due pareggi. Del resto, come nota Monsù Poss (Vittorio Pozzo, all'anagrafe), già "all'inizio della presente stagione accennava ad essere in ribasso, il fattore campo, poi le cose si erano venute gradatamente normalizzando: ora è giunto improvvisamente il tracollo". Già. In un turno spalmato, "ha cominciato la Triestina a perdere a Trieste". Poi il Vicenza (naturalmente a Vicenza). "E poi, come nel giuoco dei mattoni, sono ceduti l'uno dopo l'altro i pezzi grossi": il Bologna (a Bologna), l'Internazionale (all'Arena), la Sampdoria (a Genova). "Naturalmente l'Atalanta a Bergamo". Perché naturalmente? Beh, "avendo come avversario il Torino, non poteva fare a meno di capitolare anch'essa, ed ha seguito la sorte comune". E poi va detto che il Livorno (a Livorno) e l'Alessandria (ad Alessandria) hanno evitato la sconfitta solo riuscendo a non subire reti o pareggiando appena in tempo per evitarla. "Con tutto ciò, la classifica non è stata rivoluzionata". Già, guida il Torino, poi la Juve, poi (oddio) il Modena, "che è una bella squadra". E in coda? "In coda la povera Triestina, tutta sola, e davanti ad essa mezza dozzina di squadre, fra cui qualcuna col nome famoso, che arrancano". Campionato interessante? "Campionato interessante".


1965
Il mese migliore di 'Gundi'

E' lento e massiccio, ma potente, fortissimo nel gioco aereo, tecnicamente tutt'altro che sprovveduto. In questo mese di dicembre del 1965, tutti hanno compreso che quello del Levski è un centravanti coi fiocchi. Ha tenuto a galla la barca dei suoi all'Estadio da Luz, segnando una doppietta e costringendo il Benfica a una faticosissima qualificazione ai quarti di Coppa dei campioni; oggi, a Firenze, è lui a trascinare la Bulgaria nella partita di spareggio che vale l'ultimo posto libero nel tabellone della Coppa Rimet. C'è parecchia gente allo stadio, è un bel pomeriggio di sole. Il Belgio sarebbe favorito, ma lui, intorno al ventesimo, decide che la pratica è da sbrigare con una certa urgenza. Due gol in un minuto, uno di capoccia l'altro di giustezza, poi un'altra inzuccata che manda il pallone a stamparsi sulla traversa, ma ormai il più è fatto. Georgi 'Gundi' Rangelov Asparuhov è l'uomo del match e una possibile attrazione del circo che metterà le tende in Inghilterra, oltre che il sogno proibito di molti club del continente. Il regime bulgaro lo blinderà, e la sua fortuna dileguerà molto presto, a ventott'anni compiuti da poco, schiantata da un frontale in auto sulla strada per Vratsa, ai piedi dei Balcani, il 30 giugno 1971.



1967
Certe notti di Rio

Sembrano spesso notti scure quelle che avvolgono il Maracanã, nelle immagini del secolo scorso. E così sono anche le poche che restano dello spareggio che vi giocarono il Palmeiras e il Náutico di Recife, per aggiudicarsi il titolo di squadra campione del Brasile. In più, era una notte di pioggia battente. Così, vediamo pedatori che cercano in precari equilibri di strappare un contrasto vincente; ammiriamo Cesar Maluco, che scaraventa in porta da trenta metri un pallone arenato nel fango, di pura potenza (foto); e poi ridiamo, quando scorre la sequenza di Tupãzinho che, a porta vuota, alza da due passi un lob che si infrange sul palo. La chioma bionda di Ademir da Guia compare verso la fine; un dribbling secco al limite dell'area, un destro preciso, senza scampo. Il titolo era del Palmeiras. Non poteva che sigillarlo lui, il Divino. Iniziava il periodo migliore nella storia dell'Alviverde; e, in Brasile, sfioriva l'egemonia santista.
Tabellino (sub data) | Highlights


26 dicembre

1917
Polidoro

"Era, Caimi, un pezzo di ragazzo grande e grosso, che giuocare sapeva, quando voleva. Compariva a lato di Fossati nell'Inter o ne prendeva il posto. Ma era irregolare in tutto quello che faceva. Era tutto istinto, scatti, impulso, improvvisazione, tratti di genio, anche, a cui succedevano periodi di rilassamento. Una domenica faceva grandi cose, e la seguente non arrivava nemmeno fino al campo perchè, per istrada, aveva trovato una bella ragazza. Ho ancora la sua tessera delle Olimpiadi, già pronta e firmata. A cose quasi già fatte, lo lasciai a casa. Eravamo amici. Mi scrisse una lettera di fuoco, gli risposi, ribadì. Stemmo senza vederci, offesi, qualche tempo. Venne la guerra. Una sera, ad una mensa ufficiali alpini ci ritrovammo: la lunga penna nera fece da paciere, ci riconciliammo nel caos di una sbornia piramidale. Pochi mesi dopo Giuseppe Caimi doveva scomparire in un vortice di gloria. Era al 7° Battaglione Feltre, comandava il plotone esploratori, alternando ad atti di valore ed a ferite, scappatelle e scappatone di ogni tipo. Cantava, suonava, dipingeva, beveva, amava ... ed andava a ricuperare l'attendente ferito, sotto il naso degli austriaci. Nel dicembre del '17, a Cima Valderoa (Monte Grappa), ferito gravemente, scappò dal posto di medicazione, tornò in linea come una furia, colpito a morte si gettò nella mischia, e non fu più visto" (I ricordi di Vittorio Pozzo). Giuseppe Caimi detto Polidoro, centrocampista dell'Inter per alcuni anni prima della Grande Guerra, morì il 26 dicembre 1917, a Ravenna (presumibilmente in un ospedale militare).
Profilo


1965
Bidoni, bidoni!!!

Pedro Manfredini, dopo la lunga e proficua militanza in giallorosso, voleva tornare in Argentina, c'erano trattative con il Racing di Avellaneda. La società aveva deciso di cederlo, dopo aver fatto cassa con Sormani, De Sisti e altri buoni pedatori. Poi s'era proposta l'Inter, perché Peirò sembrava destinato al Barcellona. Trattative sempre fallite sicché, nel mercato autunnale, 'Piedone' si accasò a Brescia. Le rondinelle erano appena tornate in Serie A (mancavano all'appello da quasi vent'anni); a fine anno navigavano tranquille a metà classifica, e al Rigamonti c'era filo da torcere per le squadre in trasferta. Era passato solo il Milan, a inizio torneo; l'Inter aveva strappato un due a due, a fatica, grazie a Guarneri, che non segnava quasi mai. Ora, a Santo Stefano, arrivava la Juve. Orfana di Sivori, certo, ma Heriberto la stava organizzando a dovere. Difesa ermetica, solo sei reti incassate nelle prime tredici partite. Bene. Proprio alla Juve, Manfredini segnò l'unico gol di quella sua prima stagione da ex romanista. Il secondo della partita (foto). Finì quattro a zero, e la sconfitta (inimmaginabile) della Juve garantì vincite da sogno ai due soli capaci di azzeccare tutti i pronostici del totocalcio. Heriberto ne fu stordito: "Non capisco perché non obbediate ai miei ordini", disse ai suoi negli spogliatoi. E il pullman bianconero ripartì circondato da tifosi (bresciani o juventini? Chi lo sa) che intonavano un coro poco di frequente indirizzato ai giocatori di Nostra Signora: "Bidoni, bidoni!!!"
Tabellino


1966
Adios Guillermo

Alla Coppa del mondo del 1930 saltò la prima partita; poi fece tre gol al Messico, due al Cile, due agli Stati Uniti e, nella finale, uno (quello del momentaneo vantaggio argentino) all'Uruguay. Non brillava nell'arte del dribbling, ma era molto veloce e battere difese e portieri era per lui un gioco irrisorio e irridente: si chiamava Guillermo Stábile, lo chiamavano el Filtrador, era nato a Baires, fu un formidabile attaccante dell'Atlético Huracán, ebbe poi sfortuna al Genoa, diventò un allenatore vincente come pochi altri nel suo paese, e restò per tanti anni alla guida dell'albiceleste. Si spense per un improvviso capriccio del cuore, là dov'era nato, il 26 dicembre 1966. 


26 settembre

Il giorno del mio compleanno

Sono nato il 26 settembre 1958, lo stesso giorno di Kenneth Graham Sansom (foto), grande terzino dell'Arsenal e della nazionale di Albione. Ma sono nato a Milano, non a Londra, e così nella tenera infanzia fui rallegrato dal dominio calcistico delle squadre della mia città. Del resto, il giorno del mio quarto compleanno (26 settembre 1962) il Real Madrid usciva dalla Coppa dei Campioni per mano dell'Anderlecht [highlights], sgombrando al Milan il cammino nella competizione: evviva! Esattamente due anni dopo, qualche giorno prima di iniziare la scuola elementare,  trepidavo davanti al televisore quando, al Bernabéu, l'Inter riuscì finalmente ad avere la meglio sull'Independiente, nella finale di spareggio della Coppa intercontinentale [Cineteca]: che bellezza! Un anno ancora, sulla mia torta le candeline erano sette e Franz Beckenbauer esordiva con la maglia della Nationalmannschaft, ne apprezzai intuitivamente il talento e lo stile, così come annotai ex post il fatto che in quella stessa partita corricchiava ancora con la maglia gialla della Svezia una grande ala destra, Kurt Hamrin, che di lì a poco sarebbe andato a giocare nel Milan; era la sua ultima presenza in nazionale [highlights]. Poi? Poi non so. Che Eupalla disinceppi la mia memoria, se possibile.

Mans

29 agosto

1965
La stagione che iniziò con la finale di Coppa Italia

Non è la prima volta ma di sicuro è stata l'ultima. Capitava lo stesso, all'epoca, per la Coppa delle Fiere. Cioè che la finale si giocasse a distanza di parecchio tempo (anche di anni) dall'inizio del torneo. Come se, in fondo, a nessuno importasse, prima venivano partite più importanti. Così fu, dunque, per la Coppa Italia nella stagione 1964-65. Il campionato era finito il 6 giugno, il 9 giugno si giocarono le semifinali della Coppa (in gara unica), poi i pedatori di grido trascorsero una ventina di giorni in nazionale, poi andarono in vacanza. E così, il rendez-vous tra Inter e Juve fu rimandato al 29 agosto, una partita di rodaggio prima dell'inizio della Serie A. Occhio, però. L'Inter ha una grande occasione. Può fare tripletta. E' campione d'Italia e d'Europa, se cuce anche lo scudetto rotondo sulla maglia corona un dominio senza precedenti. Si gioca all'Olimpico. Peccato solo (scrive Monsù Poss) che l'incontro "venga disputato in notturna. Le partite che si disputano alla luce artificiale recano sempre in sé un elemento di irregolarità. Nulla al mondo può imitare la luce del sole, nulla la può sostituire". Sì, lo sappiamo, sulla questione lui è un po' fissato, gli impianti di illuminazione montati in quasi tutti gli stadi sono opere del diavolo. Ma un pronostico, Monsù? "L'Internazionale dichiara che le partite amichevoli disputate finora in questo inizio di stagione non hanno visto la squadra impegnarsi con grande serietà. Questa dovrebbe essere la prima prova che l'undici neroazzurro gioca nella stagione con grande impegno e decisione. Anche questo è cosa da vedere. Nemmeno la Juventus ha fornito finora la prova di trovarsi in gran forma. Non ha subito risultati disastrosi, questo no, ma troppo convincente non lo è stata nemmeno". E dunque? "Arbitro dell'incontro sarà D'Agostini di Roma. Il calcio d'inizio verrà dato alle ore 21. La partita verrà teletrasmessa, eccezion fatta per la zona di Roma. Il cielo è sereno nella capitale e la temperatura piuttosto elevata". Non si sbilancia, insomma. E anche noi, stavolta, non azzardiamo previsioni.
Cineteca

27 giugno

1954
Alla discoteca del Wankdorf

Novanta minuti di gol e botte da orbi. Finisce in rissa, come all'uscita da una discoteca. Alla discoteca del Wankdorf, i magiari hanno portato la loro musica e alcuni buttafuori; i brasiliani  sono annebbiati dalle molte vendette che vorrebbero consumare, sono depressi e arrabbiati, e ancora una volta senza spartito cantano e picchiano ciascuno per conto suo. E dunque vengono cacciati brutalmente, come fossero bulli di periferia venuti per molestare fanciulle. Hanno trovato pane per i loro denti. Per dire: Puskás non ha giocato (i tedeschi l'avevano conciato per bene), ma non è uno cui piace starsene in disparte a guardare gli altri ballare. E' per questo che, prima che arrivasse la polizia, ha spaccato una bottiglia in testa a Pinheiro. In sua absentia, Hidegkuti e Kocsis si sono presi la ribalta, e com'è noto sono anche loro tipi da prendere con le molle. Alla prossima festa organizzata dall'Aranycsapat, stando a quel che si dice, dovrebbe far capolino una terribile banda di Montevideo: la Celeste. Il loro boss, Obdulio Varela, è acciaccato, ma una cosa è sicura: non perdetevi lo spettacolo.
Cineteca

1965
L'esordio oscurato di Gigi Riva

Lo sapevo, l'Italia gioca in Ungheria - una super, super-classica del football europeo -, e cosa fanno gli austriaci? Bloccano la trasmissione delle immagini. Spengono i loro impianti. Ci avrei scommesso! Niente partita ma tengo accesa la tivù, non si sa mai. Peccato, però. Vorrei godermi il momento in cui Gigi Riva sostituisce Pascutti, che s'è fatto male dopo pochi minuti di gioco. Riva esordisce dunque in quell'autentico santuario che è il Népstadion, mezzo vuoto per l'occasione. Gli ungheresi, chissà perché, lo ritengono troppo piccolo; Monsù Poss ha preso informazioni: ci stanno lavorando, a breve conterrà duecentomila spettatori. Mah.
Dicevo di Riva. Pare stia giocando bene. Energico. Dinamico. Si capisce che è molto più forte di Pascutti. Chiaro: se andiamo in Inghilterra, il titolare dev'essere lui. Titolare fisso, anche se non gioca nel Bologna.
Oh ecco, finalmente ci si ricollega. Toh, a Budapest piove. Li vedo, rientrano in campo. Lodetti ha sostituito Rivera. Pazienza. Godiamoci almeno il secondo tempo.


1984
Viva la cara vecchia zia Francia

Metti in conto: il fallo non c'era. Frutto di pura immaginazione arbitrale, Bellone arrancava ed è scivolato. Scrivi anche che il povero Arconada ha preso una topica colossale, l'effetto era velenoso ma non si trattava certo di una patata bollente. La terza cosa che devi ricordare è altrettanto importante: Camacho ha cancellato dal campo Platini, come fosse un pisquano qualsiasi. E prendi nota pure di questo: il pallone inzuccato da Santillana sullo zero a zero forse aveva superato la linea. Dunque nessuno si stupirà nel sapere che anche i francesi hanno fischiato i francesi. Capita di frequente, nelle partite importanti, è vero. "Il tono tecnico-stilistico dell'incontro non era affatto degno di una finale europea ma, a ragion veduta, così doveva finire. La Francia doveva vincere, a furor di pronostici, e puntualmente ha vinto. Viva la cara vecchia zia Francia. Giorno verrà che giocherà anche un bel calcio. Per ora, si accontenti di essere campione così come noi ci accontentiamo di tornare a casa" (Gianni Brera). E così sia.
Cineteca

2010
Quel confine incerto e conteso

E' soprattutto quando incoccia la parte interna della traversa che la sfera assume traiettorie bizzarre. La potenza e l'effetto del tiro, la stessa forma della barra (tonda o spigolosa) definiscono varianti che nessuno ha provato a misurare, ma poi la sostanza non cambia. Finisce sempre - il pallone - per toccar terra in una zona grigia, un'area di confine incerto e conteso. Una zolla dalle dimensioni insignificanti, la cui identificazione può decidere l'esito della partita. Ciuffi d'erba, terra e gesso schiacciati, e la palla risale con un nuovo rimbalzo - inclinato o verticale - in mezzo a uomini che alzano le braccia e si voltano a cercare lo sguardo di colui che deve dirimere in un istante l'imprevedibile controversia. E' gol! No, non è gol! Pressato da istanze contrarie, il giudice prende quasi sempre la decisione sbagliata. E' la fallibilità della giustizia umana. Non era gol, quello di Hurst a Wembley; era gol, quello di Lampard al Free State. Il primo fu assegnato, il secondo no. "England leave the World Cup and should take up immediate residence in a museum of football history" (Kevin MacKarra, The Guardian). Commento malevolo, perché Lampard aveva segnato il gol del due a due. Chissà come sarebbe finita, con un altro arbitro, su un altro campo, senza conti da regolare con il passato di una partita rimasta negli occhi del mondo. Tante rivincite si era già regalata la Germania, mai più battuta dai Leoni in un match davvero importante. Ora, tuttavia, il debito è saldato, e l'eterna sfida può ricominciare. Purtroppo per gli inglesi: "the World Cup is every 4 years, so it's going to be a perennial problem", come ha sentenziato l'ultimo grande footballer albionico, Gary Lineker.


  • Vedi anche le partite del 27 giugno in Cineteca

23 giugno

1954
La disfatta del Saint-Jakob

Molto bene. Abbiamo spezzato le reni al Belgio e ci giochiamo al Saint-Jakob di Basilea contro la Svizzera lo spareggio per essere ammessi al tabellone dei quarti. Eravamo una 'testa di serie', e così invece di affrontare l'Inghilterra ci toccano due volte gli elvetici padroni di casa e sornioni. Molto bene. Abbiamo già perso la prima, ma era l'esordio, dovevamo acclimatarci. Acclimatati, perdiamo anche la seconda. Anzi, la seconda è una autentica disfatta. Contro il truculento verrou di Karl Rappan (foto) schieriamo le pulci, e la squadra è lanciata a un dissennato arrembaggio. Ne busca quattro, in ovvie azioni di contropiede. "Se gli italiani disponessero ancora di giocatori del calibro di un Meazza, le cose sarebbero andate diversamente", scrive un quotidiano di Berna. Già, tutti ronzini i nostri, con l'eccezione di quelli rimasti a casa. Come che sia, "i mondiali del '54 perdono gli italiani ... e ci guadagnano in qualità" (Brera). Purtroppo, nei nostri favolosi 1950s il peggio deve ancora venire.
Cineteca


1965
Il veterinario

Máté Fenyvesi esordì con la maglia numero undici dell'Ungheria nella prima partita giocata dai magiari dopo l'incredibile sconfitta di Berna. Compiva ventuno anni proprio in quel giorno (era il 19 settembre del 1954), e per dodici lunghe stagioni, fino al 1966, quella maglia fu ininterrottamente sua. Lui non abbandonò il paese dopo i tristi eventi del '56; Máté non prese il volo, anzi: studiò da veterinario, giocò centinaia di partite per il Ferencváros, e poi si diede alla politica. In Italia fece capolino un paio di volte, nel 1965, prima a Roma e poi a Torino, per due partite di Coppa delle Fiere. Segnò a Roma, e segnò anche a Torino. Ma il gol di Torino contava molto: fu il solo della finale (finale in partita unica), e dunque la decise, e di conseguenza rovinò la festa alla Juventus di Heriberto Herrera, sottolineandone già alla prima occasione una carente vocazione europea. Triste serata, per i bianconeri; e triste giornata, vissuta nel lutto per la morte di Carlo Carcano, l'uomo che, prima della guerra, li aveva guidati alla conquista di svariati consecutivi scudetti. Fu la prima e unica competizione continentale conquistata da un club ungherese nell'età moderna. Un barlume di luce, nella tristezza.


1974
Come una montagna di ricotta

L'ultimo giorno della vacanza pallonara italiana in Germania è arrivato. Si gioca a Stoccarda, contro la poderosa Polonia già qualificata al secondo girone. Basta un pareggio. Sarebbe bastato, ma alla fine del primo tempo siamo sotto di due gol. Perché abbiamo sprecato, perché l'arbitro non ci ha assegnato un sacrosanto rigore. Per via delle beghe politiche e tattiche, i dissidi, i litigi, il declino dei nostri campioni. "In sostanza, ci eravamo comportati come potrebbe un generale che, non avendo esercito, decida di affrontare il nemico mostrandogli le foto dei suoi defunti eroi. Molti erano i morti nella piccola armata azzurra. Valcareggi o chi per lui non ha voluto accorgersene" (Gianni Brera). Così, si torna a casa. Mestamente. "La spedizione è fallita su tutti i piani: partita con la maestosità organizzativa di una flotta che non teme alcuna corazzata nemica, la tribù azzurra si è sgretolata per strada come una montagna di ricotta" (Giovanni Arpino).


1984
Verbum Regis

C'è un motivo per cui il Portugal, inteso come Selecçao das Quinas, non aveva mai vinto nulla. E questo motivo era da tutti gli osservatori individuato nell'inclinazione a costruire giocatori raffinati ma che detestano il principale senso del gioco: fare gol. Unica, storica eccezione: Eusébio - ma, appunto, portoghese non era. Oggi, finalmente, c'è Cristiano Ronaldo. Tuttavia, vi sono state circostanze in cui la sfortuna e altri fatti imprevedibili e imprevisti hanno fatto capolino e messo a soqquadro il corso degli eventi. Per esempio, nella semifinale europea del 1984, che oppose il Portogallo alla Grande Francia di Roi Michel. Già. A sei minuti dalla fine del secondo tempo supplementare i galletti sono virtualmente spennati, e messi fuori dal loro campionato in semifinale. C'era un centravanti a Lisbona, giocava nello Sporting e si chiamava Rui Manuel Trinidade Jordão. Anzi,  Jordão e basta: Doppietta. Purtroppo per la Lusitania, c'era un difensore a Touluse, si chiamava Jean-François Domergue, aveva un tiro mancino apprezzabile. Doppietta, due a due. Naturalmente, il re sbadigliante si destò giusto in tempo per emanare il decreto che portava la Francia in finale. Promulgò la legge (foto) a un minuto dal termine, nella sovrana solitudine cui fu abbandonato vicino all'area del portiere, con la porta spalancata.
Cineteca


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6 giugno


1962
Ove si narra di come Garrincha beffò la contraerea spagnola

Siamo al redde rationem: tra Brasile e Spagna, chi perde bagnerà di calde lacrime fazzoletti d'addio. E' messa peggio la Spagna, ai sudamericani un pareggio potrebbe bastare. La stampa iberica è in subbuglio: Hernanez Coronado - su suggerimento di HablaHabla (assistant-coach) o per far dispetto ad HablaHabla - rivoluziona la squadra e lascia fuori Luisito Suarez e Santamaría. Schiera due esordienti, e sembra aver azzeccato la mossa, perché Adelardo (uno dei novizi) sblocca la partita. Sopratutto, Coronado confida in Sígfrid Gracia (foto), terzino destro del Barça: "nelle due occasioni in cui ha già marcato Garrincha, ha annullato la pericolosa ala destra dei carioca". Il Brasile è senza Pelé, ma - appunto - c'è Garrincha. La sequenza è da rivedere mille volte, un istante dilatato all'infinito. Mané riceve palla da Valdir Pereira ('Didi') sulla tre quarti, nella sua naturale posizione di partenza. Ha davanti a sé due spagnoli - Pachin e l'anzidetto Gracia. Finta di partire, si ferma; i due non lo affrontano. Lui lavora il pallone: suola, sinistro, destro, tacco. Esterno destro: si allarga, entra in area all'altezza del vertice sinistro, rallenta la corsa, le pulsazioni cardiache degli avversari aumentano. Ecco, improvviso ma atteso, lo scatto felino, bruciante. Raggiunge la linea di fondo, là dove nessuno è riuscito a seguirlo. Con naturale dolcezza alza la sfera, è una parabola con modesto effetto a rientrare, destinata a beffare la contraerea iberica e a concludere la traiettoria sulla testa nera di Amarildo, che la appoggia in rete. E' il minuto 87, due a uno. Fotografi in campo, grande fiesta. Adiòs, Spagna.

1965
I fantasmi del Népstadion

Lo United partecipa alla Coppa fieristica, perché a quella dei campioni d'Europa è il turno del Liverpool di Shankly. Poco importa: non è gente snob, quella di Manchester, ogni partita e ogni competizione va onorata come si deve. E così i diavoli rossi, che hanno già vinto la First Division, raggiungono le semifinali. Ma il sorteggio è maligno, e l'inconscio non lesina scherzi. Dall'urna esce l'Ungheria. Pardòn, il Ferencváros. Non sottilizziamo, tocca comunque andare a Budapest. Si dirà: nessun pedatore adesso allenato da Busby era in campo, quel pomeriggio di primavera del 1954, e non è trascorso nemmeno un mese da che Albione si è presa una tardiva e pur striminzita rivincita (uno a zero, a Wembley, mica granché). Resta che a Old Trafford, nel match di andata, i magiari hanno strappato una sconfitta di misura (due a tre), e ora i giochi sono decisamente aperti. Infatti: un difensore-goleador, Dezső Novák (foto), verso la fine del primo tempo pareggia i conti dal dischetto. Un gol, e se la regola fosse già quella di adesso in finale ci andrebbero le Verdi Aquile. Ci vuole una terza partita e - maledizione - si giocherà tra dieci giorni, ancora qui, ancora a Budapest, ancora al Népstadion.
Tabellino | Highlights


1970
Patto di non aggressione

All'inizio del secondo tempo Domingo non rientra sul campo. Certo, avrà una dozzina di polmoni e volontà infinita, ma non gli si può chiedere di morire per asfissia. Così, al suo posto c'è un mediano della Juventus, e pure esordiente: Giuseppe Furino. E' giovane, è immaginabile che sarà titolare di questo undici per un decennio o quasi, ma non piace troppo a Valcareggi e non convincerà nemmeno i successori di zio Uccio. A ogni modo, lui entra perché si presume possa esserci battaglia. Si presume. Ma non c'è. Ai nostri e alla Celeste un pari può tornar buono, perché farsi del male? Quindi, che Riva (foto) e Boninsegna se ne stiano là davanti a cacciar farfalle. Tutti gli altri davanti alla difesa. Gli uruguagi non si spremono, sono forse più abituati all'altura ma preferiscono non correre rischi. Zero a zero e tutti contenti: "per nulla soddisfatto è invece il pubblico, che fischia a lungo e con grande intensità i protagonisti di una partita tanto attesa e tanto deludente" (Paolo Bertoldi, La Stampa).

2002
Doppio naufragio

Qualcuno certamente avrà tenuto conto dei gol sbagliati dai francesi in centoventi minuti, prima col Senegal e poi con l'Uruguay. E di quanti se ne è divorati Recoba (foto) contro i Bleus. Così dice male alla Francia, e non che all'Uruguay prometta romantici ritorni di fiamma. La recente grandeur e l'infinita tradizione producono uno zero a zero pieno di emozioni, broccaggini e colpi proibiti. "E adesso si ritrovano come due naufraghi che si sono contesi a morsi e unghiate l'ultimo pezzo di legno, sulla sabbia grigia di un pareggio che prima nessuno voleva e dopo tutti accettano" (Gianni Mura). Sì, lo accettano, perché non hanno alternative, e c'è per fortuna (come spesso - non sempre - capita) un'altra partita da giocare. Ma presente e passato del football sono senza futuro, qui nell'umidità della Corea meridionale vanambiziosa e riccastra.
CinetecaMura (La Repubblica, 7 giugno 2002)


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16 maggio

1965
Il sorpasso

Si giocava una partita tra Inter e Juventus. Sì, domenica 16 maggio 1965. Ma a Torino. Vinse la squadra in trasferta. Vinse l'Inter, due a zero. Contemporaneamente, il Milan veniva sconfitto a San Siro dalla Roma. Due a zero (nella foto, Manfredini dal dischetto). I sette punti di vantaggio sui cugini accumulati dai rossoneri nella prima parte del campionato erano andati tutti in fumo. Compreso l'ultimo, che ancora separava le due squadre. Mancavano tre sole partite alla fine del campionato, e l'Inter di Herrera era la nuova capolista. Quattro giorni prima, i nerazzurri avevano schiantato il Liverpool, guadagnandosi la finale di Coppa dei campioni (che rivinceranno). Il loro allenatore guardava al futuro con ottimismo e appetito insaziabile. "Punteremo con decisione a tutti e tre i traguardi", disse, "scudetto, Coppa dei campioni e Coppa Italia, e se la spunteremo anche in quest'ultima, nella prossima stagione calcistica i traguardi saranno quattro, perché lotteremo anche nella Coppa delle coppe". Herrera avrebbe voluto giocare due competizioni europee nella stessa stagione ... ma poi non completò il 'triplete', perché perse la finale di Coppa Italia (contro la Juve). Nel Milan, intanto, finiva l'era di Gipo Viani; e quella contro la Roma fu l'ultima giocata da José Altafini in maglia rossonera.
Tabellino | I gol


1973
La sbornia di Salonicco

"Nella tumultuosa e fischiatissima finale di Salonicco il giovane portiere fa da baluardo contro le furibonde offensive dello scatenato Leeds", occhiellava in prima pagina il Corriere dello Sport. "Milan in trincea", titolava la Gazzetta. Vecchi - William Vecchi - era "il giovane portiere" del Milan, sostituto di Cudicini. In effetti, i pedatori che erano in campo con la maglia del Leeds quella sera si ritrovano ogni anno, in coincidenza del giorno e dell'ora, per rivivere la partita. E si chiedono - senza mai trovare la risposta giusta e definitiva - come fecero a perderla. I rossoneri, inciucchiti di vento greco e pioggia battente e soprattutto dalle folate inglesi, si reggevano in piedi a malapena. Sollevarono la coppa, sì: ma pochi giorni dopo, a Verona, persero la stella.


1996
Il motore dell'Expresso da Vitória

Si spegne, a Rio de Janeiro, Danilo Alvim Faria, grande centromediano del Vasco e titolare del Brasile nel mondiale del maracanaço. Nonostante quella tragedia - fu tra coloro che reagirono alla depressione tentando il suicidio - il suo palmarès è ricco, grazie ai campionati sudamericani vinti con la Seleçao e all'egemonia continentale del Vasco negli anni a cavallo del 1950 - quando, appunto, il club era noto col soprannome di Expresso da Vitória. Di quella corte, lui era el prìncipe. Una carriera di alti e bassi, di fortune e sfortune: anche per lui, come per molti, la vita che restava quando smise di giocare e insegnare il calcio fu spreco e abbandono.
Storia


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12 maggio

1963
Benvenuto Sandrino

Mondino Fabbri ha posato il deretano sulla panca azzurra da pochi mesi. L'avventura è iniziata bene, e le amichevoli tardo-primaverili servono a meditare sugli undici da opporre ai sovietici in autunno, quando si giocherà per il campionato d'Europa. A San Siro arriva dunque nientemeno che il Brasile di Pelé, campeão do mundo. Esordisce Risti Guarneri, e con lui Sandro Mazzola. O Rey sfila prima del calcio d'inizio, raccoglie applausi e dopo venticinque minuti esce tra i fischi. I suoi trotterellano, indifferenti al ritmo agonistico degli italiani, e perdono tre a zero. Sandrino va per caso sul dischetto, e infila Gilmar. Si porta a casa il pallone: "ne ho uno con il quale giocò mio padre anni fa, lo metterò vicino". Il primo di una lunga collezione.


1965
Rimbalzo e rapina di controbalzo

Chissà cos'ha pensato Shankly, in quell'istante. Forse di fargli chiudere col football, e spedirlo in qualche college americano a imparare almeno i fondamentali del basket. Già: Tommy Lawrence l'ha combinata grossa. La foglia morta di Mariolino Corso deve avergli confuso le idee. E ora eccolo mentre blocca un lungo, troppo lungo lancio di Facchetti per Peirò. Mette un piede fuori dall'area: che rischio! Poi un palleggio, da play-maker non certo di razza. Due. Al terzo, non si avvede di come alla sue spalle sopraggiunga incarognito lo spagnolo, che nel contrasto era finito orizzontale per una rude spallata. Di controbalzo, Peirò gli soffia la sfera col mancino, e beffardo la deposita in rete. Rimonta nerazzurra, dopo l'uno a tre di Anfield, quasi compiuta. Il pubblico, con calma, attende il terzo e decisivo gol, che arriverà nel secondo tempo, siglato da Giacintone.
Cineteca | Il gol di Peirò


1976
Der Bulle

L'abbuffata bavarese di metà anni '70 si chiude ad Hampden Park; passeranno vent'anni, prima che una coppa rifletta ancora nel cielo le mani e il volto del capitano del Bayern. Sparring-partner di serata il Saint-Etienne: basta un gol, e porta il marchio di Franz Roth "Bulle" (foto). Un mastino capace di finalizzare con notevole continuità: le statistiche dicono di una settantina di gol in poco più di trecento presenze in campionato, fra il 1966 e il 1981, tutte con la casacca del Bayern. Soprattutto, era un giocatore decisivo. Decise la finale del '76 con una sberla su punizione dal limite (foto), un decennio o quasi dopo aver castigato i Rangers dando ai suoi la prima coppa; l'anno precedente, aveva inciso il proprio nome nel tabellino di Parigi (Bayern-Leeds) prima di Gerd Müller. Rimase a bocca asciutta solo nel '74, quando a imbastire una quaterna per l'Atletico madrileno nella ripetizione provvidero l'anzidetto Bomber e Uli Hoeness. Insomma, si sta evocando un grande del calcio tedesco ed europeo: per lui, bavarese, uno spazio nella Hall of Fame del club è cosa ovvia e scontata.


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5 maggio

1965
L'esorcismo di Wembley

E' una partita? No, è un esorcismo. "Occorre mettere fine a questa storia". Dunque gli inglesi, per mettere fine a questa storia, hanno organizzato un'amichevole primaverile contro l'Aranycsapat. Certo, per loro l'Ungheria è sempre quella. E qual è la storia? La storia è semplice. Contro l'Ungheria hanno perso quattro partite di fila. Una nel 1953, una nel 1954, una nel 1960, una (che tristezza!) agli ultimi mondiali, laggiù in Cile. "Ora, per cortesia, tornino a Wembley, se ne stiano buoni, non pretendiamo di strapazzarli ma di vincere sì, tanto per loro non conta nulla, hanno partite più importanti in calendario". Così, gli ungheresi vennero e persero, ma solo uno a zero. Wembley, per la paura, era mezzo vuoto. E quelli che c'erano pare abbiano guardato la partita coprendosi gli occhi. Scaramanzia, scaramanzia. Esorcismo. Il demonio è stato sconfitto. Grazie a un benedetto gol di Jimmy Greaves.
Tabellino | Video (British Pathé)


1965
Il Toro al Letzigrund e sulla Svizzera italiana

La prima campagna europea 'moderna' del Toro si svolge nella stagione 1964-65. E rimane ancora oggi una delle sue migliori scampagnate europee. Già. Partecipa alla Coppa delle coppe, e raggiunge le semifinali. Una bella squadra (Vieri, Rosato, Meroni, Ferrini, Moschino, Simoni, Hitchens, e Nereo Rocco in panchina), e sarebbe già a Wembley, se la regola dei gol in trasferta fosse in vigore. Invece, è necessaria una serata a Zurigo (al Letzigrund, arena più frequentemente destinata a concerti e meeting di atletica leggera che al football), e giocarvi la terza partita contro una squadra che al momento è la più importante di Monaco (Monaco di Baviera, il TSV 1860). Due a zero l'andata per noi a Torino, tre a uno per loro al ritorno. Però mio nonno è abbacchiato, in tivù non viene trasmessa, dice. O sì? Sì, sulla 'svizzera', lo correggo. Lo dice il giornale. "La televisione svizzera trasmette la gara di Zurigo", leggi qui. Alle 21.35, in ampex (cosa significherà?). E poi. "Nell'intervallo fra il primo e il secondo tempo la televisione della Svizzera italiana lancerà un concorso - dotato di un ricco monte premi, fra cui una automobile di lusso - al quale sono cordialmente invitati a partecipare tutti i telespettatori dell'Italia e della Svizzera italiana". Non mi interessano i concorsi, sbotta. Ma si riuscirà davvero a prendere il segnale? "Nelle zone indicate dalla cartina è possibile captare in Italia i programmi della tv svizzera da parte di normali apparecchi televisivi purché questi siano muniti di una speciale antenna. Si tratta della cosiddetta antenna H, un accorgimento tecnico che costa circa 12.000 lire". Il nonno scuote la testa. "Non se ne parla. E se poi non funziona?". E' vero, dice anche che "certe volte la trasmissione può subire qualche interferenza, ma in parecchie zone, particolarmente nel Novarese, nel Vercellese e nel Casalese, ricezione è più che soddisfacente". Allora? "Allora niente, tanto perdiamo". Sempre ottimista, il nonno. Poi, però, effettivamente, abbiamo perso. Ma il giorno dopo sembrava soddisfatto per le banconote che gli erano rimaste in tasca.
Tabellino


1966
Un fantastico e decisivo drop di Libuda

Undici stagioni nello Schalke fra il 1961 e il 1976, interrotte da due migrazioni: la seconda lo portò a Strasburgo, nell'annata 1972-73, dopo il famoso Bundesligaskandal nel quale risultava coinvolto; la prima - una parentesi non brevissima, che racchiuse gli anni fra il 1965 e il 1968 - nientemeno che a Dortmund, al club che dello Schalke è acerrimo rivale. Ha disputato solo 26 partite nella Nationalmannschaft, segnando la miseria di tre gol. Reinhard "Stan" Libuda era una temutissima ala destra, ma i dati della sua carriera sembrano testimoniare come la paura che incuteva non fosse del tutto giustificata. Difatti non vinse nulla, o quasi: unica eccezione, la Coppa delle Coppe del 1965-66, con la prussiana casacca giallo-nera del BVB '09. Fu proprio lui che, all'inizio del secondo tempo supplementare, con un fantastico drop dalla sua zona preferita, tolse al Liverpool ogni speranza. Per la prima volta, un club teutonico trionfava in Europa.


2002
Allenamento alla vita

Ultima di Serie A. L'inter è all'Olimpico, ospite della Lazio. Ha un punto sulla Juve, due sulla Roma. Involontariamente, la Lazio vince quattro a due, e l'Inter finisce terzo. Da non credere. "L'Inter, signori, è una forma di allenamento alla vita. È un esercizio di gestione dell'ansia, e un corso di dolcissima malinconia. È un preliminare lungo anni. È il gioco, da grandi, di quelli che da bambini tenevano ai sudisti e agli indiani. È - come ho scritto, e leggerete - un modo di ricordare che a un bel primo tempo può seguire un brutto secondo tempo (con la Lazio, agghiacciante). Ma ci sarà comunque un secondo tempo, e poi un'altra partita, e dopo l'ultima partita un nuovo campionato. Non possiamo perderli tutti. Oppure sì, se ci mettiamo d'impegno. Ma non accadrà, non siamo così prevedibili, nemmeno nel masochismo. Verrà il nostro momento, e sarà magnifico" (Beppe Severgnini). E così sarà, e così fu.


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13 marzo

1938
Un gol davvero strambo

Torino, Stadio "Benito Mussolini" stracolmo e ribollente: si affrontano Juventus e Ambrosiana, appaiate in testa alla classifica dopo ventitré giornate. Gli ospiti attaccano a testa bassa, la Signora si difende, regge l'urto, passa in contropiede, ma si fa raggiungere. L'episodio decisivo è da Gran Varietà: rimessa laterale contestata, batte rapidamente la Juve, e Gabetto a testa bassa si invola. Giunto al limite dell'area, prende la mira: sembra un tiro telefonato, Perucchetti (foto) si abbassa per fare il suo onesto lavoro di portiere. Ma è a un metro da lui che Eupalla ha scavato una fossetta, o aggiunto un ostacolo alla regolare corsa del pallone: il quale si alza e, nello stupore di trentatremila spettatori, scavalca l'estremo dell'Ambrosiana e beffardo si deposita in rete. Parlapà, a l'han prope un bel ghëddo, custi sì!
Tabellino e cronaca



1965
Cosa c'è in gioco?

Non si sa. In effetti, la formazione che Fabbri sceglie di mettere in campo al Volksparkstadion è un po' strana, piena di difensori e di attaccanti, con i soli Bulgarelli e Rivera a remare nel mezzo. Senza quelli che giocano in Italia (Haller e Schnellinger, per dire), e senza Seeler, i tedeschi non sembrano granché, pure loro stanno cercando una quadratura credibile. Così la nostra stampa si divide: squadra troppo sbilanciata in avanti! Squadra troppo votata a difendersi! Ma è un'amichevole, e alla domanda del titolo risponde Giulio Cappelli sulla rosea: "ad Amburgo, nella gara contro la Germania, non è in gioco né il prestigio storico dell'Italia né la salvezza economica del nostro Paese. Non è che vincendo o non perdendo al loro rientro in Italia gli azzurri troveranno per incanto risolti tutti i problemi della congiuntura; vincendo o non perdendo non accadrà nulla, così come rientrando sconfitti. Vorrà soltanto dire che i nostri giovanotti sono più bravi o meno bravi dei giovanotti della Germania Occidentale. Niente di più".
E vaglielo a spiegare ...

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