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2 febbraio

1902
L'Aragosta


Nasce, a Barcellona, Josep Samitier Vilalta (foto). Tra gli indigeni, nessuno ha fatto più gol di lui nel Barça: un centrocampista molto prolifico. Giocava in anni favolosi per il club, ed era tra i migliori, con Zamora e Alcántara. Amico di Salvator Dalì, al quale insegnò il palleggio nelle oziose giornate estive, visse i primordi della Selecciòn, le prime partite ai giochi olimpici di Anversa. Come vari catalani tignosi, vestì anche la camiseta madridista.
Profilo



1936
Cronache confuse

Dopo mezz'ora Peppino aveva già sbarcato il lunario. Il Milan tuttavia non voleva perdere in casa, anche se si giocava all'Arena. Pareggio e sorpasso: roba da non credere. Verso lo scadere, l'Ambrosiana si accampa in area, e piovono calci d'angolo. Di come sia andata l'ultima azione, nulla è chiaro: viluppo di teste a cercare la sfera, il pugno del portiere del Milan (Zorzan, nella foto), palla in rete. Nulla fu chiaro, tranne l'ultima immagine: palla in rete, gol o autogol, due a due.


1966
Opposte filosofie di vita

The One Man Club contro il Girovago. Due raffinati architetti, comunque, archetipici del calcio che generarono e della terra che li generò. Béla Guttmann, architetto del Benfica, e Matt Busby, inventore del mito United. Quarti di andata di Coppa dei Campioni a Old Trafford. Ha la meglio Busby, ma di misura: tre a due. Prologo della semifinale mondiale, in sostanza. Charlton vs. Eusebio. Emozioni. Chi ha pagato il viaggio speciale organizzato dalle agenzie di Lisbona ha assaporato tutta la bellezza del football (forse non di Manchester).
Cineteca

1987
San Castilho

Si spegne, a Rio de Janeiro, Carlos José Castilho (foto). Era un portiere. Bravo? Probabilmente sì. Soprattutto, lo ritenevano fortunato, e parecchio. Contro di lui - si dice - gli attaccanti avversari miravano spesso e volentieri sul palo, e centravano con incredibile precisione il bersaglio. Lui, tuttavia, sapeva parare i rigori. Giocò per la Seleçao dal 1950 al 1962, ma fu abile nel centellinare le presenze (diciannove in tutto); abilissimo nell'essere fuori dall'XI il giorno del maracanaço.

1994
Rubamazzetto

Il Milan non aveva vinto la Coppa dei Campioni, e non aveva conquistato sul campo il diritto a implementare il palmarés con la supercoppetta. Ma era una squadra vorace, e nel freddo del Meazza accoglieva i parmigiani per puro spirito di ospitalità: il favorevole risultato dell'andata (uno a zero) non prometteva una serata vivace. Sbadiglianti e inerti, i rossoneri ne beccano due e disdicono il posto prenotato nell'albo d'oro. Beffa supereuropea, organizzata nei supplementari dall'onesto Massimo Crippa (foto).
Cineteca

8 gennaio

1933
Noblesse oblige

Il Palermo, in gita a Milano, visita come da programma l'Arena Civica. Il padrone di casa, Peppino Meazza, non è abbastanza generoso, e lascia per ricordo ad Archimede Valeriani (portiere degli ospiti, nella foto) soltanto una doppietta. Va detto che si è anche rifiutato di battere un calcio di rigore (quello del vantaggio ambrosiano), chissà perché. Questa la descrizione del suo primo cadeau sul Corriere del giorno dopo: "Meazza, da metà campo fugge con la palla, supera uno dopo l'altro ben tre avversari e giunge quasi sotto la porta, di dove tira ingannando il portiere con una finta". Noblesse oblige. "La folla plaude con entusiasmo alla prodezza del suo beniamino". Il secondo lo realizza di testa, è il quinto dei nerazzurri, la partita volge al termine, la Juve ha perso a Firenze, le distanze in classifica si accorciano, fa freddo ma la gente torna a casa contenta, sebbene non entusiasta: vittoria troppo facile e scontata.


1994
El Clásico di Romário 

La 'menzogna che cammina', il Baixinho, firma a modo suo (con una tripletta) un match considerato fra i più clamorosi dell'era Cruijff. Dirigeva l'orchestra il Pep: "Guardiola condujo con mano maestra el excellente juego de todo el equipo barcelonista". Musica celestiale per le duecentomila orecchie del Camp Nou, che "vibrò como nuncha en una noche mágica y expectacular".  Per Cruijff era la seconda manita mostrata al Real; ma nella prima s'era forse divertito di più, perché era in campo, aveva vent'anni di meno e si giocava al Bernabéu (vedi).




Gli Arbeiter nel 1898
1899
Rifondazione del Rapid

Già varato l'anno precedente (e battezzato Erster Wiener Arbeiter-Fußball-Club), il club viene rifondato a seguito delle mirabolanti sconfitte subite nel primo anno agonistico, e assume la denominazione (corrente) di Sportklub Rapid Wien. Vanta decine di titoli nazionali e due Coppe Mitropa; è anche l'unica compagine austriaca che (ai tempi dell'Anschluss) riuscì a laurearsi campione del Terzo Reich (1941). Magra soddisfazione.

1° gennaio

1923
Una bella e convincente pagina

La più importante (forse non la più famosa) delle sfide tra Italia e Germania si giocò a Madrid nel 1982, e come sanno anche i neonati era la finale della Coppa del mondo e prevalsero gli italiani, un bel tre a uno. Meravigliosi ricordi. Ma chissà, chissà se è ancora in vita qualcuno che - allora bambino o forse neonato - si recò o fu portato al campo di viale Lombardia, a Milano, il primo di gennaio nel 1923, per gustarsi l'inedito confronto calcistico tra le due rappresentative nazionali. Attesissimo, va da sé. Naturalmente prevalsero gli italiani, un bel tre a uno. "Il football del nostro paese ha scritto oggi una delle più belle e convincenti pagine", scriveva il giovane Monsù Poss. Beh, certo, si può dire che da allora in poi ogni volta che gli azzurri mettono sotto la Mannschaft scrivano una pagina 'bella e convincente' della propria storia. Per fortuna (nostra anzicheno) non è accaduto di rado.
Tabellino 


1994
L'ultimo Old Firm giocato a Capodanno

Per molti anni, a partire dal 1893, Celtic e Rangers hanno incrociato i bulloni il primo di gennaio. L'ultima volta è accaduto nel 1994, e i protestanti espugnarono Celtic Park con un rotondo quattro a due. Dopo tre minuti, l'Old Firm era già sostanzialmente deciso, perché il biondo di Kiev - Oleksij Oleksandrovyč Mychajlyčenko - aveva appena insaccato il secondo pallone (foto). Ma il primo, in inusuale e solitaria azione di contropiede corsa con la lunga chioma sciolta mossa dal suo sgraziato movimento, lo segnò con un morbido tocco finale mancino un inglese, al secolo Mark Hateley, 'Attila'. Già, un cattolico! Se giocava lui, pare che non pochi followers dei Gers cantassero: "Forza, dieci della Regina". Non 'undici', perché lui era come se non ci fosse. Non lo contavano. Per loro, i Rangers quella volta hanno vinto 'solo' tre a due.

23 dicembre

1967
Quei due si intendono bene

"Sento dire, purtroppo, che gli svizzeri hanno deluso, che abbiamo vinto contro nessuno e mi dispiace. E' mai possibile che tutti i nostri avversari sono 'fenomeni' alla vigilia e 'pellegrini' dopo che li abbiamo battuti?". Così parlò il Golden. Fu un bel quattro a zero inflitto agli elvetici, temutissimi (a quei tempi temevamo tutti, ed era un bene), ci si qualificava con tranquillità per i quarti dell'europeo e l'intesa tra Rivera e Riva prendeva quota. A Gigi arrivano palloni su palloni, lui segna, sbaglia, colpisce la traversa. "Ho giocato sinora sei partite in nazionale, ma una come questa non l'avevo ancora vista e vissuta. Sul piano del gioco, la nazionale ha disputato oggi la migliore partita che io ricordi". Già, il bello però deve ancora venire. Ricordiamo volentieri questa giornata, anche perché agli azzurri aprì le porte, per la prima e ultima volta, il glorioso Amsicora di Cagliari.
Tabellino


1994
Natale a Porto Alegre

Dopo l'espulsione dalla comunità calcistica internazionale per le note e orribili vicende, una rappresentativa jugoslava (di fatto serbo-montenegrina) torna a combattere solo per un pallone e su un campo di calcio. Il nuovo allenatore è Slobodan Santrač - già 'secondo' di Osim, ma è un illustre sconosciuto -, il campo quello dell'Olimpico Monumental di Porto Alegre, l'avversario si è cucito sul petto in estate il quarto titolo mondiale. Per la Seleçao si tratta anzi di esibire agonisticamente il trofeo in patria, e per cominciare a misurare sul serio le qualità di quel ragazzino di Rio appena passato dal Cruzeiro al PSV di Eindhoven. Gioca lui, stanno a casa Romario e Bebeto, per il resto i reduci di Pasadena ci sono quasi tutti. La partita è davvero natalizia, tra gli slavi fa capolino qualche nuovo pedatore che presto tutti dimenticheranno, Ronaldo non segna nessuno dei due gol brasiliani, il secondo merita senz'altro di essere apprezzato - una punizione di Branco con trenta metri di rincorsa (foto) -, è un bel pomeriggio di sole e tutti hanno buoni motivi per essere contenti. Amen.
Cineteca

17 luglio

1967
Tbilisi, Hotel Gutsa

Tbilisi, Hotel Gutsa. Appena sveglio, Lev è assalito da brutti pensieri. Durante la notte ha dormito poco. No, non ha ripensato alla partita di ieri, con i greci è stata una passeggiata, un impegno sbrigato senza problemi. Contare i gol subiti in tredici anni non è l'ideale per addormentarsi, ne manca sempre qualcuno e bisogna cominciare daccapo. Le grandi parate sono state di più, ciascuna equivale a un tesoro da custodire, anche la memoria dei gesti ha bisogno di tenersi allenata. Il punto è che, ora, non ci saranno più palloni da catturare all'ultimo istante utile; non ci saranno più duelli nei cieli dell'area di rigore, gli applausi e i fischi negli stadi del mondo. Il suo orizzonte coinciderà con quello della Dinamo, ancora qualche stagione, ancora qualche campionato. Da oggi Lev Jašin girerà il mondo solo per raccogliere riconoscimenti e onorificenze, premi alla carriera, inutili medaglie. La vita è così. Col passare degli anni, ritroverà tutti i suoi avversari di un giorno, invecchiati ma sorridenti. Forse sorriderà anche lui.
URSS-Grecia: tabellino | Eupallog Pentavalide


1994 
Pasadena, si scende

Uno ci ha portati fino a Pasadena. Guidava un pick-up su cui trasportava i palloni che aveva infilato nelle reti della Nigeria, della Spagna e infine della Bulgaria.
L'altro, anche senza un ginocchio, aveva deciso di tornare per giocare la partita, perché in sua assenza nessuno sarebbe stato capace di leggere in anticipo le mosse bugiarde del Baixinho.
Così, nella finale col Brasile, non prendemmo nemmeno un gol. Subimmo per novanta minuti, poi per altri trenta. Poche le nostre opportunità, e nessuno ebbe la forza di sfruttarle. La posta in palio era altissima: il quarto titolo mondiale avrebbe significato la sanzione di una supremazia storica, definitiva.

Finì come si sa.
Da quella macchia bianca di gesso in mezzo all'area, Roberto Baggio e Franco Baresi scaraventarono i loro palloni oltre il confine, ormai incapaci per l'enorme stanchezza di colpirli con lucidità e precisione.

L'uno rimase lì, fermo, le braccia sui fianchi, in meditazione assente e protratta.
L'altro pianse, senza pudore, come un bambino che improvvisamente conosce il male prodotto dalla fine di un sogno.

[Da Michele Ansani, Lenta può essere l'orbita della sfera]
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10 luglio

1940
C'era una volta la Coppa dell'Europa Centrale

Senza i club italiani e austriaci, nell'estate del 1940 la Coppa dell'Europa Centrale è in ogni caso di spessore imparagonabile a quello delle precedenti edizioni. Partita dopo partita, si arriva al 10 di luglio. Nel giorno in cui inizia la battaglia d'Inghilterra, e mentre il maresciallo Philippe Pétain ottiene dal Parlamento francese poteri pressoché assoluti, a Subotica (nord della Serbia) due squadre di calcio vanno in campo per disputare l'ultimo match della Mitropa Cup. Sono il Rapid di Bucarest e l'HSK Gradanski di Zagabria. Oddio, non dovrebbe essere proprio l'ultima; è solo uno spareggio per l'accesso alla finale, cui si è già qualificato il Ferencvaros. Ha la meglio, grazie al sorteggio, il Rapid. Ma è troppo tardi. La guerra avanza, la Romania ha firmato un patto con Hitler in funzione anti-sovietica, l'Ungheria è teoricamente neutrale, ma tra Budapest e Bucarest le relazioni sono sempre più tese. Così, la finale non verrà mai giocata. La gloriosa Mitropa chiude i battenti.
Tabellino


1960
I bolscevichi alle porte di Parigi

Bene fa la stampa liberale a ignorare la prima finale del campionato d'Europa per nazioni, che si gioca oggi a Parigi. E perché? Perché la finale è un derby socialista. Ai lettori importa pochissimo. Anzi, soprattutto se dovesse vincere l'Unione Sovietica sarebbe opportuno allungare il brodo sulla tappa del Tour. I bolscevichi hanno già vinto quattro anni fa a Melbourne, ma poi in Svezia per fortuna non hanno combinato granché. A ogni modo, non c'è da fidarsi. Meno se ne parla e meglio è. Soprattutto in Italia. D'altra parte, è vero o non è vero che la Spagna si è rifiutata di giocare contro di loro? E' vero, e a ben guardare sono arrivati in finale solo grazie alle partite giocate contro le nazionali di paesi satelliti, già invasi o che invaderanno: l'Ungheria e la Cecoslovacchia. E perché hanno invaso l'Ungheria? Semplice: perché l'Aranycsapat era comunque troppo forte per loro, anche dopo il disastro di Berna. E perché invaderanno la Cecoslovacchia? Per lo stesso motivo. Dunque ci sono buone possibilità che, prima o poi, spediscano i carri armati anche in Jugoslavia. Anzi, probabilmente - noi non lo sappiamo - sono già alle porte di Parigi, e hanno già circondato il Parc des Princes. 

1982
Tout désir est désir d’être

René Girard (foto), grande antropologo e quant'altro, giocò la sua ultima di sette partite nella nazionale di Francia al José Rico Pérez di Alicante, ed era la finale delle sconfitte in semifinale nel mondiale di Spagna, tra galletti e polacchi. Fino ad allora non aveva cavato un ragno dal buco. Nulla che illuminasse sensatamente (o che smentisse) le sue teorie sul desiderio mimetico nel football. Per fortuna, tuttavia, fece capolino il baffuto Andrzej Szarmach. Anche lui si trovava lì per disputare (assai svogliatamente) l'ultima di ben sessantuno partite con i Biało-czerwoni, dei quali aveva vissuto praticamente tutta l'epopea, durata  grosso modo un decennio. Szarmach era anzi uno degli eroi del romanzo polacco; passata la trentina, stava per tirare i remi in barca. Ma Girard decise di segnare (sperimentalmente) il gol dell'uno a zero, un pallone rasoterra dal limite che caracollando colpiva l'interno del palo e si infilava alquanto beffardo in rete. Inconsapevolmente ammirato, Szarmach provò il desiderio di realizzare anche lui un gol. Magari allo stesso modo. Infatti, intorno alla mezzora gli capita l'occasione giusta: fuga di Boniek, tiro-cross forte e radente che finisce sui piedi del centravanti coi baffi; da dieci centimetri, colpisce il palo e osserva il pallone finire docile docile in braccio al portiere. Girard sorride, estrae dai calzoncini un block notes e scrive qualcosa. Poco dopo tuttavia, ricevuta palla su uno scatto profondo, di sinistro e di prima intenzione il polacco scaraventa una sfera che va a sbattere contro il palo interno e si arena oltre la linea bianca. Et voilà. Girard sorride, rispolvera il block-notes e aggiorna i suoi appunti: "Tout désir est désir d’être", oui.

1994
"Saremo invincibili": parola del Kaiser

Sotto il sole zenitale  i detentori della coppa del mondo sono schierati al centro del campo. "Saremo invincibili", disse il Kaiser dopo la caduta del muro di Berlino. Infatti, ora che la Germania è una sola anziché due, tutti pensano che le sue possibilità di dominare il football siano - quanto meno - raddoppiate. E invece, al Giants Stadium, la DeutscheSuperNationalmannschaft discioglie e si squaglia come un gelato di fronte alla Bulgaria, e siamo solo ai quarti di finale. Subisce una rimonta, e non ha la forza di ribellarsi alla sconfitta. Disidratati e confusi, rossi per lo sforzo, la rabbia e la cottura, i pedatori di tutte le Germanie abdicano di fronte alle scaltre e piratesche giocate di Hristo Stoichkov e al sovrumano dinamismo podistico di Yordan Letchkov (foto). Ma abdicano senza melodrammi, con teutonica dignità. "Ha vinto una squadra che lavora duro e non se ne sta a prendere il sole": la stampa popolare, va da sé, dispensa per i lettori sarcasmo e allusioni.

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28 giugno

1942
Il derby dello stretto di Øresund

Neutrale la Svezia, occupata la Danimarca, al vecchio Idrætsparken di Copenaghen di tanto in tanto si gioca a pallone. Lo stadio si riempie, e per novanta minuti il mondo torna com'era quasi sempre stato. Le squadre si schierano, salutano la folla, e non  passa inosservato quell'omaccione svedese, che sarebbe poi il centravanti del Degerfors. Dicono sia un pompiere, e che sia capace di andare in porta trascinando con sé tre o anche quattro avversari, tutti quelli che inutilmente cercano di impedirgli di fare sino in fondo la sua strada. Si chiama Gunnar Nordahl (foto). Sì, è un esordiente, ha poco più di vent'anni. Inizia la partita. La Svezia vince, tre a zero, e lui segna il secondo. Il pompiere (presto avrà un soprannome più adeguato:  il 'bisonte') sarà, negli anni a seguire, uno dei più forti giocatori del mondo. La sua storia, un romanzo pieno di gol.
Tabellino | Nordahl: Eupallog Pentavalide



1950
Jacques Fatton avverte il Brasile

Ah Jackie, ora che te ne sei andato tutti parlano di te. Dei tuoi trecento gol. Dei tuoi indimenticabili gol. Ti ricordi quello segnato a Zurigo, contro gli inglesi? Sì, proprio quello. Vinceste uno a zero, era nel maggio del ’47. Nel breve servizio su di te mandato in onda dalla televisione non l’hanno evocato. E’ vero, un mese prima avevi fatto gol anche a Firenze, contro il Grande Torino in maglia azzurra, ma contava poco, e avete perso cinque a due. E un mese dopo avete perso anche contro la Francia, a Losanna, ma una piccola soddisfazione te l’eri presa ugualmente. Vero, erano solo partite amichevoli, non contavano nulla. Eri giovanissimo, allora. Il bello è venuto dopo, ti ricordi? Certo, la tripletta all’Olanda nel ’50, a Basilea. Ma anche lì s’era trattato solo di un’esibizione. Non mi riferivo a quella partita. No, nemmeno allo spareggio del ’54 contro l’Italia, certo hai segnato al novantesimo ed è sempre buona cosa finire in bellezza, ma eravate già sul tre a uno. Italiani a casa, sì. Dico prima, ancora prima. Una rete importante, molto importante. Possibile non ti venga in mente? Se ne ricordano tutti, suvvia. Ma certo: a São Paulo. Senti questa musica: è un samba. L’hai suonata tu, quel giorno. Eri abbastanza irritato, perché il primo gol dei brasiliani non era buono, Alfredo si era trascinato la sfera oltre la linea di fondo. E quindi sei entrato con rabbia su quel cross radente di Bickel, li hai presi tutti sul tempo. Poi la zuccata di Baltazar, alla mezzora. Si correva a fatica su quel campo, così pieno di sabbia. Sembrava finita. Però negli ultimi minuti li avete messi alle corde. Eri abbastanza solo, quando ti è arrivato quel pallone, ricordi? Eri nella tua posizione preferita, sul lato sinistro dell’area. Hai caricato il mancino (foto). Hai cercato la precisione invece della forza, era quello il tuo stile. Barbosa si aspettava che cercassi l’incrocio, invece hai scoccato un tiro basso e velenoso, e lui non ha avuto il riflesso giusto. Due a due, a due minuti dalla fine. Ti ricordi, Jackie? Due gol al Brasile, quanti ci sono riusciti? Eh sì Jackie, ora che te ne sei andato, tutti si ricordano di te. Tutti si ricordano quei gol. Quanti bei gol, quanti indimenticabili gol, Jackie.
1994
Cinque pezzi inutili

Per curiosità, ogni tanto occorre riguardare tabellini e statistiche. E' un buon metodo. Specie se relativi a eventi di cui abbiamo ricordi diretti. Oggi, dunque, ridiamo un'occhiata ai numeri della peggiore Coppa del mondo mai disputata. Quella del 1994, ricordate? Partite a mezzogiorno, pedatori cotti sotto il sole verticale e in stadi dove invece che l'odore del prato si sentiva aroma di pop-corn. Bene. Come sapete, i migliori furono Romario e Roberto Baggio. Senza loro due, la finale non sarebbe stata Italia-Brasile ma, forse, Bulgaria-Svezia. Che orrore! A ben pensarci, però - e, appunto, rileggendo i tabellini - la Bulgaria non era un XI di pellegrini ortodossi. Avevano tra le loro fila un certo Hristo Stoichkov, che fu capocannoniere del torneo. Sei reti in sette partite. Mica male. Come dice? Giusto, anzi giustissimo. Capocannoniere fu anche Salenko. Oleg Anatovlevič Salenko (foto), centravanti della Russia e, a quei tempi, del Club Deportivo Logroñés. Sei timbri, come il bulgaro. La Russia fu eliminata già nella fase a gironi, ma Salenko stabilì un record: cinque gol in una partita. Russia-Camerun. Sei a uno. Cinque gol davvero superflui e che non riscattarono l'onore di tutte le Russie. Ma permisero a Salenko di scrivere il proprio nome nel Guinness dei primati.
Cineteca


2012
Il gioco è semplice e il suo esito scontato

Eravamo in vacanza con alcuni amici tedeschi. Passammo vicino a un campetto. "Ehi, facciamo una partitella?", disse uno di noi. "Certo, perché no? una specie di Italia-Germania", aggiunsi. Ci guardarono sospettosi, confabularono tra di loro, e poi declinarono l'invito. Senza alcuna spiegazione. "E' chiaro, hanno paura di perdere", mi disse sottovoce colui che aveva proposto il diversivo. Era stufo di girare per spiagge e musei, ma a dire il vero non è che con il pallone ci sapesse fare granché. E poi, la sera stessa, in programma c'era proprio Italia-Germania, a Varsavia, semifinale del campionato d'Europa. Campionato d'Europa di calcio, sì. Avete presente? Il calcio. Quel gioco semplice, al quale si gioca in ventidue (undici per parte), si insegue un pallone per novanta minuti, e alla fine vince sempre l'Italia. No, non sempre. Se di fronte c'è la Germania e qualcosa di importante in palio. Così, tutti insieme e riforniti di bibite ci siamo sistemati nella piazza di un piccolo paese, dov'era montato un maxi-schermo. "Prima o poi la ruota girerà", disse Ulrich. SuperMario aveva appena giustiziato Neuer con un bolide epocale, Italia due Germania zero. Girerà, sì. Ma quando?
P. S. La ruota è girata nel 2016 ...

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29 maggio

1985
Stade du Heysel, Brussels

Giorno verrà - non è affatto lontano - che il calcio perderà i suoi satanici sapori di transfert dalla degradazione e dalla miseria. Allora tornerà ad essere per molti quello che è sempre stato: il gioco forse più bello di tutti. Parola di un povero fra i tantissimi poveri di questo mondo
Gianni Brera (La Repubblica, 31 maggio 1985)
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1968
Alla memoria dei ragazzi perduti a Monaco

Qualcuno dalle parti di Lisbona comincia a prendere sul serio la profezia di Guttmann. Maledizione. Il Benfica ha raggiunto la quinta finale del decennio. Ha vinto le prime due, poi sono arrivate le milanesi e la storia è girata. Non c'è due senza tre? Vedremo. Quest'anno tocca agli inglesi, e il dannato capellone incute un certo qual timore. Per non dire dello spelacchiato, già: Bobby Charlton, Sir Bobby Charlton. Come non bastasse, si gioca a Wembley; e c'è da aggiungere che si giocò a Wembley anche la finale del 1963. A Londra contro lo United, e l'ultima volta a Milano contro l'Inter. Sempre in trasferta, hai un bel dire. I portoghesi fanno quello che possono. A dieci minuti dal ghigno di Guttmann per fortuna Jaime da Silva Graça (non è uno della vecchia guardia, forse non ha mai sentito parlare dell'ungherese e delle sue ciance) rimette la partita in sesto. Si va ai supplementari. Ma il Benfica è stanco, lo United dilaga. Quattro a uno, tutto da dedicare alla memoria dei ragazzi perduti a Monaco, dieci anni prima.
Cineteca


1974
Inutile scampagnata a Leipzig

Il Zentralstadion di Leipzig è un enorme catino, interamente scoperto. Cemento su cemento, gradoni bassi, la struttura si estende in ampiezza e non in altezza. Spesso, la Fussballmannschaft della Germania socialista viene qui per provare a spennare ospiti di rilievo. Oggi, per esempio, c'è l'Inghilterra. Essendo depressi, gli inglesi buscheranno, è sicuro, vagheggiano i novantacinquemila che affollano l'arena. Di fatto, il pensiero che all'imminente mondiale tedesco ci vadano due Germanie e loro no - e che per giunta un biglietto d'ingresso l'abbiano invece sgraffignato gli scozzesi - dev'essere intollerabile. Perciò devono far vedere di che pasta sono fatti. Pasta molle, ma sufficiente a strappare un pareggio. Un inutile, noiosissimo pareggio. I tedeschi d'oltremuro si accontentano, dev'essere gente di bocca buona. In fondo, hanno un chiodo fisso: la sfida con i fratelli ricchi dell'Ovest, in calendario il prossimo 22 giugno, ad Amburgo.

1983
Io mi fermo qui

Finita la partita, Dino non ha una bella faccia. Ne ha incassati due. E' andata come al solito: gli azzurri, a fine campionato e negli anni dispari, vanno al nord, dove c'è sempre qualche rognosa partita di qualche rognoso girone di qualificazione per qualche dannato campionato d'Europa o del mondo, da giocare contro freschi e muscolosi atleti di qualche paese scandinavo. Sempre no. Quasi sempre. Stavolta è toccato andare in Svezia. Bello l'Ullevi, e anche Göteborg non è male. Non lo è neppure l'undici in maglia gialla. Due a zero, addio kermesse di Francia. I campeones do mundo sostanzialmente abdicano, è stata una grande, lunga e bella avventura. Finisce così. Dino non ha una bella faccia. Si toglie i guantoni, guarda il Vécio, suo amicone e compagno di briscola, e gli dice "basta, io mi fermo qui". Centododici volte si è piazzato tra i pali, per difendere la verginità dell'Italia. Ora tocca a qualcun altro, anche se un erede alla sua altezza ancora non c'è.
Tabellino e highlights

1994
Gli irlandesi danno la birra ai tedeschi

Parata della Nationalmannschaft ad Hannover. L'armata dei campioni del mondo, guidata dal veterano Berti Vogts, sta per andare dall'altra parte del globo a difendere il titolo. Si punta dritti alla quarta finale consecutiva. Ci si allena per questo, e per questo c'è qui la piccola nazionale d'Irlanda, per un bel galoppo di preparazione condito da tanti gol. I pedatori teutonici sono agghindati e appesantiti dalle loro medaglie. Un po', probabilmente, anche dagli anni. Matthäus. Völler.  Klinsmann. Häßler. Buchwald, Berthold, Möller. Illgner, il portiere. Ah già: Kohler. E Sammer. E Riedle. Questi undici, insieme, hanno sommato quasi settecento partite internazionali. E gli altri? Mica sono dei pivellini, gli irlandesi. Non è gente che vivacchia nel Shelbourne, nei Shamrock, nel Cork o nel Bohemians - con tutto il rispetto. E' gente di bel mondo. Irwin, McGrath, Phelan, Houghton, Whelan, Roy Keane, e Cascarino il globe-trotter. In panca, John 'Jack' Charlton (nella foto, quattro chiacchiere con McGrath). Dicono qualcosa, i nomi? Forse, ai tedeschi, poco. Infatti gli rifilano un gol per tempo, e mesta è la partenza dei Panzer per l'America.

18 maggio

1952
Le lacrime di Silvio Piola

Ha quasi 39 anni, spende gli ultimi spiccioli di carriera - a suon di gol - nel Novara, che sta portando dove non era mai stato, nella parte alta della classifica del campionato di Serie A. Manca Benito "Veleno" Lorenzi, che della nazionale è il centravanti titolare. C'è da giocare contro gli inglesi a Firenze, e allora richiamano lui. Mancava da cinque anni, l'ultima sua foto in maglia azzurra non era associata a un bel ricordo: fu scattata nel corso di una batosta umiliante al Prater, cinque a uno.
Silvio Piola, con la fascia di capitano, a Firenze, si batte come un leone. Gli inglesi non passano. Quelli che hanno trovato spazio sulle gradinate del Comunale giurano di averlo visto in lacrime. Forse. Sapeva che quel giorno sarebbe stato l'ultimo, per lui, con quella maglia.
Cineteca


1968
Il re dei Baggies

"La causa della morte è ancora ignota, ma non ci sono circostanze sospette", disse una portavoce della Staffordshire Police. Era il 20 gennaio del 2001, e la BBC così annunciava la scomparsa di Jeff Astle, all'età di cinquantanove anni. Chi non se lo ricorda, può scorrere la rosa che Sir Alf Ramsey portò in Messico nel 1970 per difendere il titolo mondiale: il suo nome chiude la lista, la sua maglia portava il numero 22. L'estate messicana offriva ad Astle una grande, ultima vetrina: lui era la star del West Bromwich Albion, che nei primi anni '70 lotterà disperatamente per potersi iscrivere, di anno in anno, alla First Division. Astle era un ariete, uno dei più notevoli - si è detto - specialisti nel gioco aereo prodotti dal football d'Oltremanica. Le migliaia di pesanti sfere di cuoio inzuccate - si è detto - produssero i danni cerebrali che lo spedirono nell'aldilà. Tuttavia, non di testa ma con una fiondata dal limite (foto) si prese, il 18 maggio 1968, la più grande soddisfazione in carriera, castigando ai supplementari l'Everton. Era la quinta coppa nella storia dei Baggies, altre non ne seguirono: e, di quella storia, Jeffrey Astle fu definitivamente "The King".



1994
Il beffardo pallonettone di Dejan

Atene. Milan-Barcellona, per la prima volta di fronte a disputarsi l'Europa. Sulla carta, per taluni (soprattutto per il grande Johan Cruijff, che allena i catalani) il match è squilibrato. "Stiamo attraversando un grande momento, ci sentiamo i più forti. Se poi devo considerare il fatto che al Milan mancheranno due giocatori insostituibili come Baresi e Costacurta, allora capisco perché Capello e i suoi abbiano paura e non si sentano tranquilli, con gli attaccanti che ci ritroviamo, gente capace di segnare 92 gol in 38 partite di Liga". Difatti non ne segneranno manco mezzo. E il Milan solo quattro. Memorabile il terzo, quello che mette in ginocchio i Catalani. Il pallonettone di Savicevic (foto). "Pallonettone da non so quanti metri, Zubizarreta annaspante come un’anatra ferita. Era, Dejan, il ricciolo di fantasia che guarniva una manovra spartana ma precisa" (Roberto Beccantini).
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23 marzo

1888
Quattro chiacchiere per il progresso del football

William McGregor, scozzese, è il presidente dell’Aston Vil­la, ma anche della English Football Association.
Rimugin­a. Le sue responsabilità sono grandi.
Il calcio, certo, è una bella cosa, ma non tutto an­cora fun­ziona come potrebbe, pensa. C’è la Challenge Cup, com­petizione meravigliosa, tuttavia i pedatori di professione vi sono tollerati solo se hanno abitato per qualche anno a di­stanza di una passeggiata dallo sta­dio del proprio club.
Che stupida regola, pensa dandosi una manata in fronte. Se ne possono immaginare le conseguenze. Troppe partite d’esi­bizione, una dopo l’altra, e quelle importanti spesso annullate per un futile mo­tivo, un disguido, un equivoco, un litigio.
McGregor, dopo avere a lungo meditato, escogita. De­cide che è venuto il momento. Scrive ai colleghi, i presidenti del Preston North End, del Blackburn Rovers, del West Brom­wich Albion e così via. Li invita a un pourparler.
Il 23 marzo 1888, in un albergo di Londra, senza particolari solennità si tenne l’incon­tro. Gente che non aveva tempo da perdere. Rapidamente si venne al dunque, definendo nei dettagli il progetto: la Football League, cioè un vero campio­nato inglese. Con rego­le di partecipazione e di ingaggio condivise. E partite rego­lari, a cadenza settimanale.
Era cresciuto in fretta, il gioco. Tranquillo e sereno, nei ver­di prati di casa. Ora diventava adulto.
Profilo


1958
La sconfitta che non mortifica

La cara vecchia Austria scende in campo contro la vecchia cara Italia per la Coppa Internazionale. Per quell'antica e prestigiosa competizione, al Praterstadion - oggi un prato bianco e luccicante, completamente innevato - non si giocherà mai più. Sì, è la classica ultima volta. Tra i molti spettatori presenti serpeggia forse un po' di nostalgia. Le due rappresentative - un tempo grandi, anzi grandissime - sono in declino: irreversibile quello austriaco, momentaneo (ma protratto) quello italiano. Alfredo Foni schiera cinque esordienti, nessuno di loro farà molta strada in azzurro. Vincono gli austriaci nel tripudio, in rimonta, segnando due volte negli ultimi dieci minuti. A proposito di ultime volte: fu l'ultima sconfitta patita a Vienna dall'Italia contro l'antica rivale. Perlomeno, disse Monsù Poss, non fu mortificante.
Tabellino | Video (Archivio Luce)


1994
L'astro nascente

C'è un ragazzino - non ha ancora diciotto anni - che nelle giovanili del Brasil sta facendo meraviglie. Gioca nel Cruzeiro, ma i club europei l'hanno già adocchiato. E infatti dalla prossima stagione traslocherà a Eindhoven. Oggi, intanto, c'è un'importante 'amichevole' della Seleçao, a Recife, con l'Argentina. D'estate si va negli USA, la macchina va messa a punto. Parreira porta il ragazzo in panchina, Bebeto fa due gol. Proprio il numero di Bebeto si alza a bordo-campo, quando mancano dieci minuti alla fine. Al suo posto entra il bocia, si chiama Ronaldo Luis Nazario de Lima. Ronaldo.
Cineteca


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