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16 gennaio

1977
Il corsaro bianconero

Beh, chissà quanto se l'è goduta. Lui, il vecchietto. Credevano di aver buggerato Boniperti, i furbacchioni dell'Inter. Ci date Anastasi in cambio di Boninsegna? Ma certo, come no. Ma vogliamo anche settecento milioni. Affare fatto! Stretta di mano tra Fraizzoli e Boniperti, davanti a un buon risotto, a Barengo, dicono le cronache del tempo. E così, oggi, Juve-Inter a Torino. Due a zero, doppietta di Bonimba. Niente aggancio in vetta alla classifica. "Sognavamo, e la Juve ci ha fatti cadere dal letto", filosofeggia Mazzandro. "All'Inter chiedevo solo cross, niente altro, ma nessuno se ne curava. E mi hanno mandato via. Ora che alla Juve i cross me li fanno, io faccio i gol", bofonchia il Bonimba. Elementare. E Anastasi? Scena muta. Emozione, forse. E l'avvocato estrae dal suo repertorio sarcastico la battuta che mette tutti a tacere: "La differenza tra la Juventus e l'Inter? E' l'esatta differenza che esiste fra Boninsegna e Anastasi". 

1938
Sbarcare il lunario

Serie A, 16ma giornata. La Lucchese, in gita agonistica a Milano, visita come da programma l'Arena Civica. Il  padrone di casa, Peppino Meazza, potrebbe anche non essere di pessimo umore; qualcuno, però, gli assesta una botta al ginocchio che lo costringe a defilarsi. E quindi a fine partita avrà insaccato solo tre volte il pallone: con un tiro ad effetto da fermo, con un colpo di testa, con un diagonale da difficile posizioneInsomma, lo stretto indispensabile per sbarcare il lunario dell'Ambrosiana e tenere alto il morale di mezza Milano. Aldo Olivieri (foto), portiere della Lucchese e della nazionale, scappella e si inchina



1966
La festa del gol 

Campionato di Serie A 1965-66, finisce il girone di andata. La volata per il titolo di campione d'inverno vede sbucare sul rettilineo, in fila indiana e distaccate di un solo punto l'una dall'altra, Inter Milan e Napoli. Poi, solo leggermente attardata, la Juventus. Anche in fondo al gruppo c'è bagarre, l'ambìto quart'ultimo posto è conteso da molte squadre. Insomma, si preannuncia una domenica di alta tensione. Infatti. A San Siro, scontro al vertice: Inter-Napoli. Zero a zero. A Foggia, derby del Sud: Foggia-Cagliari. Zero a zero. All'Olimpico, per riagganciare le posizioni di vertice: Lazio-Fiorentina. Zero a Zero. A Marassi, altro testa-coda: Sampdoria-Juventus. Zero a zero. A Varese, la Roma dovrebbe spuntarla. Zero a zero. A Torino, dovrebbe prevalere la paura di perdere. Due a uno. Come? Sì, due a uno. Due a uno? Sì. La festa del gol!
Riassunto della giornata e classifica


9 gennaio

1938
La classe non evapora

Il Bari, in gita a Milano, visita come da programma l'Arena Civica. C'è una comitiva ad aspettarli, e il capo - Peppino Meazza - è di pessimo umore. Non ha proprio voglia di scherzare, e lascia per souvenir ad Alferio Cubi (portiere degli ospiti, nella foto) nientemeno che cinque palloni. Questa la descrizione del suo quarto cadeau su La Stampa: "Notevole l'ottava rete dell'Ambrosiana, segnata con un'azione vecchio stampo: fuga da metà campo e poderoso, imparabile tiro da venti metri". La classe non evapora con gli anni, e questa sarà l'ultima grande stagione del Pep: scudetto e coppa del mondo.


1972
Luisito non si emoziona mai

"Non mi ricordo che l'Inter in casa abbia preso quattro gol", dice Fraizzoli ai cronisti nel dopopartita. Boh, bisognerebbe compulsare gli almanacchi, probabile non abbia torto. Vero però che ne ha fatti altrettanti, e Bonimba s'è portato a casa il pallone (ma due li ha messi dal dischetto). Morale: Inter-Samp quattro a quattro, spettacolo a San Siro. Ma ci sono cose che bruciano. I nerazzurri hanno preso due gol negli ultimi minuti, intanto. Farsi fregare da Heriberto (sulla panca doriana) è insopportabile, inoltre. Ma soprattutto - soprattutto! - brucia questo, che per il secondo anno di fila, tornato nel suo stadio, con freddezza da grande professionista, il penalty decisivo lo trasforma lui, Luisito, sì proprio lui, Luisito. Luisito Suarez non si emoziona mai.
Tabellino | Highlights | Radiocronaca


1972
La papera di Gedeone

E' vero, diranno i pignoli, quel soprannome glielo diedero a Napoli, dove andò alla fine di quella stagione. Della sua annata (pure conclusa con lo scudetto in saccoccia) alla Juventus, tutti si ricordano però l'incidente di Cagliari. E' il novantesimo di una partita molto tirata, il punteggio è in equilibrio (uno a uno). "Una rimessa laterale a metà campo: Poletti appoggia breve a Domenghini. Testa bassa, piede poco persuaso, il «messicano» Domingo, anche lui rassegnatissimo dopo novanta minuti di battaglia orgogliosa e per lunghi tratti ubriacante (domandare, per conferma, ai vari bianconeri che hanno dovuto contrastarlo in azione), effettua un lunghissimo spiovente verso l'area di rigore juventina. Il pallone vola per una quarantina di metri, carambola dall'alto al basso. Carmignani esce tranquillo ad attenderlo, infatti il pallone rimbalza a terra, si avvia placido verso le mani del portiere bianconero. Carmignani è sicuro di se, ha parato finora nientemeno che quattro palloni-gol fulminatigli contro dal sinistro di Riva. Accoglie la palla, ormai spenta, che però gli sfugge, gli cade alle spalle e di sbieco, due sardi che hanno seguito l'azione per puro senso professionale si avventano come falchi. Sono Brugnera e Gori. Un tocco. E' di Gori, il migliore in campo. Fa due a uno. E Carmignani si stringe le tempie tra i guanti, i bianconeri si guardano smarriti, stupefatti. L'arbitro fischia la fine" (Giovanni Arpino). E va bene. Capita. A tutti i portieri è capitato, almeno una volta. Anche più di una volta. Lui ha l'aria di uno che, quasi quasi, appende le scarpe al chiodo. "Ho incassato un gol così assurdo che non riesco a darmi pace. Sono un tipo sensibile e mi sento distrutto moralmente. Non è il giocatore che parla, è l'uomo. In questo momento non posso dire cosa farò. Domani, a mente serena, parlerò con i dirigenti e ad essi esporrò il mio pensiero. Temo che la sfortuna possa perseguitarmi ancora. Un errore cosi non ha giustificazioni. Forse chiederò di essere sostituito, di riposare, di trascorrere qualche tempo lontano da Torino. In questo momento ho la testa vuota, non sono in grado di connettere. Lasciatemi tempo per pensare. Domani prenderò una decisione". Pover'uomo. Telefona alla moglie, singhiozzando: "Smetto di giocare". Suvvia, è solo un pallone che rotola, e qualche volta i suoi rimbalzi sono davvero molto strani. 
Tabellino | Highlights
Virgolettati da 'La Stampa' del 10 e 11 gennaio 1972




1974
Alzeremo anche questa coppa

Senta, cosa ci fa il Golden con la maglia numero nove?
Ah, ho capito, manca Bigon.
E il biondone chi è?
Schnellinger? Ah, gioca ancora.
Scusi, e il numero quattordici degli olandesi?
Ah ho capito, non c'è. Peccato, ero venuto soprattutto per vedere lui, ne sento dire un gran bene.
Senta, già che ci siamo: Hamrin è in panchina? infortunato? escluso per scelta tecnica?
Ah ho capito, ha smesso di giocare da qualche anno.
Anche il Ragno Nero?
Senta, se non ricordo male l'ultima volta che abbiamo incrociato costoro è finita otto a uno per noi, sette pere di Pierino.
Come? Quattro a uno? Sicuro? A proposito, non lo vedo in campo.
Ah ho capito, è passato alla Roma. Vai a sapere perché.
Come dice? Ah ho capito, il suo posto l'ha preso Cavallo Pazzo, il biliardista.
Senta, per che coppa si gioca?, non ho ben capito, enon dev'essere così importante, qui ci sono quattro gatti, comincio ad avere qualche sospetto.
Ah, ho capito, è addirittura una supercoppa. Nientemeno!
Senta, com'è che quelli in maglia rossonera non toccano palla?
"Vedrà vedrà, al primo contropiede gli facciamo passare la voglia di correre in lungo e in largo. Ecco, vede? Come si chiama il brocco che è scivolato? Blankenburg? Visto? Lancio lungo del portiere, buco del loro difensore, gol. Matematico".
Vero. Beh, quanto manca alla fine? Un quarto d'ora?
Bene, alzeremo anche questa coppa, poi mi spiega bene che coppa è.
Come? Ah ho capito, c'è ancora la partita di ritorno. In Olanda. Ad Amsterdam.
Tra una settimana.
Certo, la vedo brutta per noi.
"Ma su, un pizzico di ottimismo!"


2007
He missed a penalty!

In compenso, con quattro reti, Júlio Baptista (nella foto) timbra una delle più significative razzie compiute dall'Arsenal ad Anfield Road. Sono i quarti di finale della Curling Cup (già League Cup). Da tempo immemorabile il Liverpool non subiva sei reti fra le mura di casa; e così, "at the final whistle ... Anfield was in shock. Outfought, out-thought and, ultimately, outclassed" (Daniel Taylor, The Guardian).

16 giugno

1938
La paradinha

E così i brasiliani da Marsiglia dovettero tornare a Bordeaux e non salire verso Parigi: ci tornarono a giocare per il terzo posto sul podio mondiale. Avevano già prenotato l'aereo (per Parigi, va da sé), e la smargiassata diede a Pozzo un buon argomento per caricare i suoi: "bauscioni de l'ostia", avrebbe reagito Peppino. Un'altra smargiassata tipicamente brazileira fu la decisione di risparmiare Leonidas (considerato un fenomeno, o spacciato per tale) e Trim (altro presunto fuoriclasse) in vista della finale (ma la circostanza è dubbia: nei quarti "i cechi li hanno pestati per il meglio", ricorda Brera). Una "sacrosanta legnata" (così Monsù Poss) di Colaussi portò in vantaggio gli azzurri. Poi ci fu il famoso episodio del rigore calciato da Peppino in coordinazione virtualmente precaria e con doppia esitazione, per via dell'elastico che, ceduto, lo costrinse a impegnare l'arto sinistro scongiurando la caduta delle brache. Senza volerlo, Meazza brevettò la paradinha, che coincise peraltro con il suo ultimo gol in nazionale; gli restava la finale, e poi ancora qualche amichevole (famosa quella concessa agli inglesi nel '39, a Milano). Poi arrivò la guerra. Poco più di cinquanta partite, trentatré gol; numero perfetto, per un divino pedatore. Quanto ai sudamericani, si lamentarono per il rigore subito e per un rigore non avuto; indispettiti dal cambio di programma, si tennero i biglietti dell'aereo per Parigi, costringendo i nostri a un vagabondaggio last minute lungo tutta la Francia, in treno, di notte.
Cineteca


1976
Il giallo di Zagabria

Volete rivedere la partita? Bastano quindici secondi per capire l'antifona. Anche meno. Siamo a Zagabria, piove a dirotto sulla prima semifinale del Campionato d'Europa. Al centro del cerchio di centrocampo ci sono Johan Cruijff, Anton Ondruš e Clive Thomas, arbitro gallese, e uno dei due guardalinee che ripara il Grande Olandese con l'ombrello (foto). Convenevoli, ancora qualche palleggio e si parte. Gli arancioni sviluppano la prima azione sull'out destro, poi il pallone finisce tra i piedi di Johan. Duro ma regolare contrasto di spalla portato da Jozef Čapkovič, difensore centrale della Cecoslovacchia; Cruijff finisce a terra, e la sfera in fallo laterale, assegnata alla Cecoslovacchia. Battuta rapida, ma il gioco è fermo. Quel che sta accadendo, purtroppo, sfugge alla telecamera. Il Grande Olandese capitano dei suoi e padrone della palla, della partita, dello stadio e del Campionato, sta protestando. Non sappiamo per cosa. Per il rude contrasto? Perché ritiene sia stato un imperdonabile errore l'assegnazione della rimessa ai suoi avversari? Il referee forse non aspettava altro, o forse ha deciso correttamente: cartellino giallo. Dunque l'Olandese, capitano dei suoi, padrone della palla e della partita eccetera eccetera, sa già che, al ballo della finale, lui non sarà invitato. Ed è perciò che si rifiuta di giocare anche la semifinale, appena cominciata. Protesta dal primo all'ultimo minuto, come un bambino arrabbiato; altri (Neeskens e Van Hanegem) si comportano da bulli e si fanno addirittura espellere. Risultato finale: tre a uno per la Cecoslovacchia, ma solo dopo i tempi supplementari. Ai quali conduce una doppietta ecumenica (rete e autorete) del titanico Ondruš.

1982
En una Copa del Mundo nunca, nunca hay un enemigo pequeño


Per due consecutive temporadas, nella primavera del 1980 e del 1981, la Real Sociedad fu campione di Spagna. In quella che portava al mundial, tuttavia, fece pochissima strada in Coppa dei campioni: fuori al primo turno, due partite e nemmeno un gol al CSKA di Sofia. Bene. La Roja è costruita da Santamaria sul blocco dell'undici basco, con innesti variamente distribuiti. Basterà per esordire a Valencia senza tragedie, prendendo i due punti, contro l'Honduras? "En una Copa del Mundo nunca, nunca hay un enemigo pequeño" (la critica spagnola è all'erta, ricorda bene il dispetto coreano del '66 all'Italia, e si è ulteriormente spaventata quando nel pomeriggio, a Gijon, l'Algeria ha beffato i tedeschi). Quindi, attenzione:  "en el convencimiento de la enorme diferencia que existe entre ambos conjuntos, podría estar el único gran peligro qué le vemos al partido. España debe salir a jugar como si jugase contra la selección que cuenta con más posibilidades para hacerse con el título". Il problema principale - sia consentito dire ex-post - non è quello di sottovalutare la Bicolor, bensì di ritenere competitiva la compagine di casa. La quale infatti, mentre ancora l'eco degli inni nazionali non si è spenta al Mestalla, ha già preso uno sberlone in contropiede. Nubi nere solcavano il cielo, prima della partita, e non per caso. Ci vorrà un rigore a venti minuti dalla fine per evitare alla Spagna l'onta di una bruciante sconfitta, ma di applausi ne prenderanno solo i simpatici centro-americani. Il loro santone, Chelato Uclès (ma all'anagrafe José de la Paz Herrera), è raggiante (foto): "mai visto niente di più bello in vita mia: vorrei portarmi una coperta e dormire sul campo". Sogni d'oro.
Cineteca


1986
La resa dei conti di Puebla

Beh, può darsi che gli argentini attendessero questo giorno dall'ormai lontanissimo 30 luglio del 1930. Da allora, l'Albiceleste e la Celeste hanno giocato tantissime partite, mai tuttavia in una fase finale di Coppa del mondo. Certo, oggi non scendono in campo per contendersi il trofeo, ma per non essere cacciate dal torneo. Siamo solo agli ottavi di finale. L'appuntamento è fissato a Puebla de Zaragoza, oltre ventimila leghe sul livello del mare; praticamente in cielo. L'arena è intitolata a Cuauhtémoc, ultimo sovrano azteco. Ispiratissimo, Diego regna sulla partita. Pali e traverse, gol annullati, l'Argentina non riesce a blindare il risultato (schiodato da Pasculli: foto) e rischia fino all'ultimo istante. Gli uruguayani fanno quello che possono, cioè poco o nulla; ma sono sempre in agguato, com'è loro tradizione. Il Pibe, che ha disputato una gara fantastica e disperata, sorride solo quando l'arbitro sequestra il pallone e manda tutti a riprendere fiato; ancora tre partite, solo tre partite. Poi i conti torneranno alla pari sulle due sponde del Río de la Plata, tra Baires e Montevideo.

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14 giugno

1938
Appuntamento al Vélodrome

Prima o poi doveva pur accadere. Accadrà dopodomani a Marsiglia: Brasile e Italia al primo rendez-vous della loro storia. Già, alla fine i sudamericani ce l'hanno fatta: sono venuti a capo della rognosissima Cecoslovacchia, ma sono state necessarie due partite. La gente di qui - che di football capisce pochissimo - stravede per loro. Sono dei prestigiatori del pallone. Hanno una nozione di gioco collettivo molto approssimativa, e per questo l'undici di Meissner li ha tenuti in scacco così a lungo: l'improvvisazione non prevale mai facilmente sulla tenace tessitura. Gli italiani ora dicono di temere la sfida. Pozzo piange finte lacrime, "era meglio incontrare i cechi!", sbraita. Solo Ugo Locatelli mostra quale sia il vero stato d'animo della truppa. "Lo dice anche il proverbio, il diavolo non è tanto brutto quanto lo si dipinge, vedrete che questi brasiliani saranno dei ... bei ragazzi". Preistoria della pretattica.
Brasile-Cecoslovacchia: cineteca


1970
La vendetta di Montezuma

"The start of a run of massive matches in which English hearts were broken by the Germans". Di chi fu la colpa? Ovviamente di Sir Alf, che gestì male i cambi  nel corso del secondo tempo. Ma soprattutto di Montezuma, la cui vendetta è sempre in agguato da quelle parti. Colpì difatti Gordon Banks, l'uomo che aveva fermato Pelè: "If anyone had to be ill, why did it have to be him?", sarà il rimpianto  di Ramsey, costretto quel giorno a schierare tra i pali 'The Cat', l'esordiente Peter Bonetti. Di fatto, gli inglesi si portarono abbastanza facilmente sul due a zero. Banks era rimasto in albergo, e seguiva il match in televisione; "after another visit to the bathroom, he returned to his bed and, feeling rough and sleepy, switched off his TV set to take a nap, assuming the match was won". Sir Bobby Charlton uscì quando i tedeschi avevano appena segnato l'uno a due (liscio di Bonetti su destro dal limite del Kaiser, elegante ma centrale e più che resistibile) e mancavano venti minuti alla fine. Sir Martin Peters uscì poco prima che i tedeschi impattassero sul due a due, quando alla fine mancavano dieci minuti. Extra-time, come quattro anni prima. Punteggio identico. Ci vuol poco a immaginare chi fece il terzo gol (foto), e quale maglia indossava, e quanto amaro fu il risveglio di Banks, costretto a disdire in anticipo il sessantatreesimo cap, prenotato per la semifinale. Secondo Brera, a metter fuori l'Inghilterra furono "il caldo e l'altura, non soltanto la presunzione e la broccaggine". Forse è un'esagerazione; avevano incontrato una squadra molto forte, come il recente passato dimostrava e il futuro imminente avrebbe confermato. Ma, per la prima volta, gli inglesi avevano un titolo da difendere. Alleati nel nome della giustizia calcistica, Eupalla e Montezuma decretarono la loro sconfitta.

1973
Le vittorie che generano illusioni

Col senno di poi: tutta questa prosopopea per una partita vinta? D'accordo, non era mai successo - del resto, non è che ci siano state mille occasioni. Nell'esaltare con canti trionfali l'impresa non facciamo che tradire un sempiterno complesso di inferiorità nei confronti degli inglesi. "Forse gli inglesi siamo noi" (appunto), e con un "classico risultato all'inglese" (due a zero) abbiamo fatto nostro il match. Amichevole, certo, ma - si suol dire - a questi livelli non esistono confronti 'amichevoli'. C'è in gioco la tradizione, si rischia il prestigio. Vero è che Sir Ramsey, ormai alla frutta, ha portato i suoi in trattoria sulle colline torinesi la sera prima della partita, e alcuni di loro hanno fatto le ore piccole (non si sa chi, e non si sa quali ore). Logico che poi, in campo, gli albionici apparissero un po' frastornati: ma c'era bisogno di infierire su questi poveri "birilloni senza un'idea lucida nel cranio e quindi nella manovra"(Arpino)? Suvvia, siamo così abituati a esercitare la critica delle nostre vergogne, ci sia consentito un po' di sarcasmo - come a quegli allievi che hanno dimostrato di saperla più lunga di un maestro intontito e démodé. Anche perché di motivi per essere allegri ce ne sono davvero pochi: la lira è in picchiata, l'inflazione galoppa, il paese è (come quasi sempre) sull'orlo del baratro. Perlomeno, i nostri patemi non sono aggravati da un'altra sconfitta. Anzi, evviva: dopo il Brasile abbiamo battuto anche l'Inghilterra, la nostra è pur sempre terra tra le terre più fertili e antiche del football. Visioni alternative? "L'euforia per due vittorie abbastanza fasulle induce molta gente a sperare più del lecito nei mondiali dell'anno prossimo. Chi esita a entusiasmarsi passa per menagramo. In questo non siamo proprio cambiati" (Brera). E non cambieremo mai, anche questo è sicuro.
Cineteca

1982
Ove si narra di come il Brasile ebbe la meglio sui pedatori di tutte le Dinamo

Mi ricordo benissimo il gol Sócrates. La danza fuori dell'area, i due difensori elusi con altrettante finte, il controllo di esterno e poi il destro di pieno collo, all'incrocio dei pali, e il volo di Dassaev, che arriva a toccare ma non a deviare il pallone. E l'esultanza del dottore: una corsa con le braccia e lo sguardo che progressivamente si alzano, e la sua figura statuaria sommersa dall'abbraccio dei compagni. Fino a quel momento, una sola bandiera sventolava sugli spalti del Sánchez Pizjuán ed era quella sovietica. Il Brasile arrancava, zavorrato da un centravanti-ronzino e da un portiere insicuro. I pedatori di tutte le Dinamo erano passati in vantaggio (Andrij Mychajlovyč Bal', tipico prodotto di trasformazione del laboratorio di Kiev), ma alla lunga pagavano lo sforzo e la terribile afa di quell'estate spagnola: quando cala il sole, e un po' di frescura arriva sul prato, hanno ormai perso il fiato e l'energia. E' allora che il samba della torcìda e le trame di Zico, Sócrates e Falcao si fondono in un discorso sul football, frenetico e convincente, che finisce solo quando la partita è quasi finita, con il gol del due a uno.

2004
Non ci dovevi cascare, Francesco

Se fosse brasiliano, sarebbe osannato come Pelé. Se fosse inglese, avrebbe oscurato il mito di Bobby Charlton. Se fosse tedesco, lo considererebbero una sorta di incrocio tra Netzer, Hoeness e Fritz Walter. Se fosse francese non so. Invece è italiano, e - anzi - per gli italiani è soprattutto romano. Romano e romanista. Se fosse dell'Inter, della Juventus o del  Milan sarebbe considerato meglio di Meazza, meglio di Boniperti, meglio di Rivera. Ma è della Roma. Bravo sì, ma c'è sempre un dubbio. Il dubbio dilegua (apparentemente) quando lui cambia maglia, e indossa quella della nazionale. Lui è la stella che tutti attendono al varco. Per lui è vietato sbagliare, ma molti sperano che lo faccia. Lui deve decidere le partite, ma se le decide qualcun altro sono tutti più contenti. E soprattutto, essendo 'il' campione, deve comportarsi da campione. Sopportare i calci, reggere alle provocazioni. In effetti, quante deve averne sentite. E se mamma desse un'occhiata alle sue caviglie e alle sue ginocchia, gli vieterebbe di giocare ancora a pallone. Però, Francesco, è vero: non si sputa in faccia a un avversario, qualunque cosa ti faccia o ti dica. Lo so, è esattamente quello che Poulsen voleva ottenere: toglierti il pallone e possibilmente la partita, solo per un caso l'arbitro non se ne accorse. Dovevi ignorarlo, tapparti le orecchie, pensare a quel che sai fare, perché quel che non ti riesce ora - un dribbling, un passaggio smarcante di prima, un tiro imparabile - potrà riuscirti tra dieci minuti, tra quindici, tra venti; mal che vada, ti riuscirà nella prossima partita. Se ci sarà.
Italia-Danimarca (Euro 2004): Full match


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9 giugno

1924
Italiani d'Uruguay

Non c'è dubbio che l'avvenimento abbia prodotto un'eco enorme, a giudicare dallo spazio che gli dedicò la carta stampata. Le tournoi de football dell'ottava Olimpiade moderna, giunto al suo epilogo, è da tutti considerato alla stregua di un campionato del mondo. A Colombes, per la finale, ci sono tecnici, dirigenti, pedatori di ogni scuola e paese. Sono lì per ammirare l'undici delle meraviglie, l'Uruguay venuto in Europa a incendiare di entusiasmo i patiti del pallone. Sono lì per vedere se la Svizzera addestrata dai britannici - in particolare da Jimmy Hogan - è in grado di trovare contromisure giuste alla favolosa vena dei sudamericani. C'è anche Monsù Poss, che dal 1908 ha presenziato a tutte le finali dei Giochi Olimpici, ed è già prima firma de La Stampa per gli affari pedatori, italiani ed esteri. Monsù è estasiato dagli "americani", sottolinea la fantasia del gioco che praticano ("tutti hanno comune la capacità di illudere l'avversario, dando a vedere una intenzione e facendo poi l'opposto di quanto hanno lasciato credere"), sostenuto da velocità e condizioni atletiche superiori ("tutti battono gli oppositori con deviazioni del pallone effettuate quando l'avversario è già compromesso dal suo slancio e dalla sua corsa"). Insomma, sono di un altro pianeta e - ciò che non guasta - "sono quasi tutti italiani". La Svizzera è poca cosa, al loro cospetto. Finisce tre a zero.
Cineteca


1938
Pelota cubana

Non si sa neppure e con precisione quando sia morto (inizio anni '80 del secolo scorso, presumibilmente). Né quante gare abbia giocato per il suo paese. Allo stato, l'Asociación de Fútbol de Cuba non ha reso disponibile  un sito ufficiale, dove reperire informazioni e statistiche. Né su di lui, né su altri jugadores del presente e del passato (beh, quelli che rappresentarono calcisticamente l'isola ai tempi del generale Fulgencio Batista y Zaldívar potrebbero essere facilmente oggetto di memoria negata). E così di Héctor Socorro Varela (foto) sappiamo solo, da cronache e tabellini, che era un centravanti, e che nelle due partite degli ottavi di finale contro la Romania (fu necessario il desampate)  mise complessivamente tre palloni nel sacco dei danubiani. Portò i suoi ai quarti, dove furono massacrati dai baldi ragazzoni svedesi. Chissà come li accolsero, al ritorno nei Caraibi. Chissà se Batista li gratificò con quintali di Partagás, o se decretò la totale indifferenza nei loro confronti; d'altra parte, erano venuti in Europa quasi abusivamente, solo per via della rinuncia delle nazioni che avrebbero dovuto disputar loro l'ammissione. Quella del 1938 fu, tuttavia, la prima e ultima partecipazione dei cubani alla fiera mondiale di Eupalla: la loro meglio gioventù ha infatti sempre prediletto il basket o la lippa (in inglese 'baseball'), e Socorro ha abbaiato alla luna.


1968
Aspettando Gigi Riva

Aveva giocato a pallone tutto il giorno, e quando stava per iniziare la finale crollò addormentato di schianto. Era molto tardi, erano le dieci passate, ma strappò al genitore imbandierato la promessa di svegliarlo se l'Italia fosse riuscita a segnare. "Non preoccuparti, se vinciamo ti sveglieranno i clacson delle automobili, la gente che fa festa per le strade", disse.
Riaprì gli occhi che il sole era già alto, una bella domenica d'inizio estate. "Oh no, abbiamo perso!", pensò immediatamente; cercò subito, per stracciarla, la figurina di Dragan Džajić, il mostro che gli era apparso più volte in sogno durante la notte. Suo padre rientrava proprio in quell'istante, con la rosea sotto braccio. Ne vide l'espressione, e scoppiò in una risata. "E va bene, non abbiamo perso. Ma se abbiamo vinto, perché nessuno mi ha svegliato?", protestò il bambino. "La finale si ripete domani sera, e questa volta non solo inizia subito dopo Carosello, ma gioca anche Gigi Riva". D'improvviso, la vita gli parve piena di colori e di grandi prospettive; mise la Jugoslavia - una serie di soldatini piccoli e brutti - nel baule dei giochi scartati, e cominciò ad aspettare il momento in cui Riva avrebbe segnato il gol che in cortile poi cercherà di ripetere mille volte, anche se non era mancino come lui.
Cineteca


1996
Football Comes Home

Mi sono appisolato ieri sera, mentre leggevo Soccer Revolution, famoso instant-book di Brian Glanville del 1953. Un capolavoro. Così non ho visto la partita. Iniziava il Campionato delle nazioni d'Europa, a Wembley. "Football Comes Home", è lo slogan escogitato dai creativi al soldo della Football Association. Un po' come ammettere che se n'era andato. Dove? Ovunque, è stato via trent'anni, chissà che impressione gli fa tornare a casa. Magari spera di incontrare ancora Bobby Charlton e Bobby Moore, e noterà che pali e traverse non sono più così spigolosi nello stadio dell'Impero. Molte cose sono cambiate, insomma. Leggo che un tale Paul Gascoigne, testa cotonata e fiato corto, l'ha corteggiato a lungo, senza essere minimamente ricambiato. Ad Alan Shearer è andata meglio, perlomeno un sorriso glielo ha strappato. Leggo che non era gran cosa, questa Inghilterra, e non che la Svizzera fosse meglio. Perlomeno, quelli dei verdi altipiani non pretendono di avere inventato il gioco, e come tanti altri ritengono che il football sia ovunque c'è un pallone che rotola e gente che gli corre dietro. Si sono certamente meritati il penalty, con cui un tipo dal nome strano e piuttosto inquietante e soprattutto molto poco elvetico, tale Kubilay Türkyilmaz (foto), ha pareggiato i conti e mandato di traverso la serata ai sudditi della regina. Varium et mutabile semper Eupalla, direbbe il poeta.


2008
La batosta del Wankdorf

Lo sostengono storici ed esegeti, ma non ci vuole grande sforzo, basta compulsare gli albi d'oro: il campionato più difficile è quello delle nazioni d'Europa, non la Coppa del mondo, dove per ragioni di politica e marketing partecipano compagini di irrilevante spessore. A riprova di ciò: solo due volte è capitato che la nazione detentrice della Coppa vincesse due anni dopo il campionato (il percorso contrario è pure riuscito in due circostanze, una alla Germania e una alla Spagna). Ci riuscì la Spagna nel 2012, e la Francia nel 2000 (che beffa!). Non l'Inghilterra (figuriamoci), non la Germania (strano!), e nemmeno l'Italia. Ora tocca ancora all'Italia, nelle vicine amiche nemiche (sportivamente parlando) terre d'Austria e di Svizzera, in un clima che s'addice al gioco del pallone per vie delle frescure d'ombra che le Alpi proiettano sui catini agonistici. Ci battezza l'Olanda, che schiera sempre pedatori temibili ma finisce spesso per perdersi in discussioni interne di vago argomento razziale. Al timone hanno Marco Van Basten, un apprendista del mestiere: uno che, però, ci conosce bene. E conosce benissimo el Dunadùn, CT azzurro della transizione. Sono amiconi, insieme hanno girato il mondo e vinto parecchio. Perché accanirsi in quel modo? Non siamo la Germania. Ciò nonostante, il pallone non lo vediamo nemmeno col binocolo, e al pensiero di quella serata a Wankdorf (reimbellettato e ridenominato: ora è lo Stade de Suisse) ancora la testa ci gira. Zero a tre, figuraccia quasi epocale: da centro del mondo, ci hanno rapidamente declassati a periferia dell'Europa.
Tabellino | Highlights


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5 giugno

1938
Tempi supplementari

Cari amici, ormai mancano pochi minuti al termine delle partite. Qui nella libera (ancora per poco) terra di Francia oggi si è visto del bel calcio, la Coupe du monde sta offrendo sfide molto, molto equilibrate. Con qualche eccezione, d'accordo: ma cosa e dove saranno mai le Indie Orientali? Zero a sei dall'Ungheria. E poi: vive la France e vive la République, tre a uno sui belgi, era scontato che facessero vincere i gallinacei padroni del pollaio. Su tutti gli altri campi, invece, la tensione è fortissima, l'epilogo incerto, gli scommettitori abbastanza preoccupati. Manca davvero pochissimo. "Gooool!!!" Oui? "Gol di Brustad". Brustad (foto), e chi è? "Qui al Vélodrome di Marsiglia, minuto 83: gol della Norvegia. Italia-Norvegia uno a uno". Parbleu. Qualcuno diceva che ... "Goooool!!!" Sì? "Gol di Barátky. Al Chapeu di Tolosa, minuto 88: gol della Romania. Cuba-Romania due a due". Peccato per i caraibici, sarebbe stato ... "Goool!!!" Sì? "Wilimowski. Gol di Wilimowski. Alla Meinau di Strasburgo, minuto 89: gol della Polonia. Polonia-Brasile quattro a quattro". Accidenti: difese ferree. "Goooool!!!" Chi ha segnato? "No, quasi gol". Dove? "Al Cavée Verte di Le Havre. Cecoslovacchia e Olanda inchiodate sullo zero a zero". Attacchi funambolici, e chi le schioda? Cari amici, cari lettori, svariati triplici fischi hanno assordato gli spettatori presenti in tutti gli stadi testé menzionati. Fine di tutte le partite. Anzi, no. Continuano. Tempi supplementari, ma il tempo a nostra disposizione è scaduto.
Cineteca: Italia-Norvegia - Brasile-Polonia - Cuba-Romania - Cecoslovacchia-Olanda - Francia-Belgio


1963
La triste vincita di Anthony Kay

Nella tournée continentale di fine primavera, Alf Ramsey consolida con alcuni buoni risultati la sua posizione alla guida della nazionale albionica. Così, dopo le amichevoli vittorie di Bratislava e Lipsia, restava in calendario una gita al Sankt-Jakob. Un'autentica passeggiata, agonisticamente ragionando. A Basilea prese il suo primo e ultimo cap (impreziosito da un gol) Anthony 'Tony' Kay, brillante centrocampista e nuovo idolo di Goodison Park, l'uomo che aveva appena trascinato l'Everton alla conquista di un titolo inseguito per più di vent'anni. Difficile dire se rientrasse o meno nei piani a media scadenza di Ramsey. Circolavano voci. A Liverpool era arrivato da Sheffield (sponda Wednesdey), e le voci riguardavano un match casalingo giocato proprio dagli Owls, contro l'Ipswich, il primo dicembre del 1962. Kay puntò 50 sterline sulla vittoria dell'Ipswich (che in effetti espugnò Hillsborough con un sonante tre a zero), e ne guadagnò 100. La vincita del secolo. Ma i bookmakers ne persero 35.000, e se la legarono al dito. Non fu quella l'unica partita truccata; l'unica, tuttavia, nella quale risultò coinvolto Tony Kay. Tre anni dopo, a conclusione del processo, venne radiato dalla Football Association; di lì in avanti, la sua vita fu una sequela di guai. "Jimmy Greaves once said that he had stopped playing too early. I understand what he means. I loved playing football; it was all I knew, and all I wanted to do".
Svizzera-Inghilterra: tabellino | Outing di Tony Kay (The Observer, 4 VII 2004) | The Tony Kay Scandal (BBC Radio 4)


1971
Budde and the chocolate box

Lezioni di Bundesliga. Stagione 1970-71. Letzer Spieltag: sono in cima, appaiati, Bayern e Borussia M'gladbach, detentore del piatto. Hanno incassato gli stessi gol (33 in 33 partite), ma il Bayern ne ha fatto uno in più (74 a 73). Entrambi gli XI sono in trasferta: i bavaresi a Duisburg, i Puledri a Francoforte. Per quasi tutto il primo tempo non succede nulla; poi si sveglia Netzer, ma i suoi si riaddormentano subito, e il gong suona sull'uno a uno. Nel piccolo stadio di Duisburg si traccheggia, in attesa di qualche evento. Riprende il gioco, ed entro dieci minuti arriva in dono ai pedatori del Borussia, direttamente dal Wedeaustadion, una scatola di cioccolato, firmata da Rainer Budde (foto), onesto mestierante dell'area di rigore. Poco dopo, ne arriva un'altra. Maltrattato e affranto, il Bayern abbandona ogni ambizione, mentre i satanassi della Westfalia improvvisano una danza trionfale, conclusa in allegra goleada dal solito Jupp Heynckes.
Tabellini: Duisburg-Bayern | Eintracht-Borussia


1986
La gita di Fernandez

Quei furbacchioni della Dinamo Sovietica si sono sfiancati per umiliare l'Ungheria, e ora contro i campioni d'Europa hanno perso un po' di brillantezza. Anzi, dice il guru, si è giocato con il freno a mano tirato, mica si deve vendemmiare in tutte le partite. Bella sfida, però, Le Roi Michel dice che sensazioni così non le avvertiva da parecchi mesi, si è esercitato un po' sui calci di punizione, insomma lui sarebbe anche pronto per gli ottavi contro (si presume) l'Italia. Intanto, tutti tirano qualche sospiro di sollievo, la macchina di Lobanovski può anche incepparsi se si è tatticamente accorti, e dietro non erige un muro impenetrabile. Riguardate il gol di Fernandez: in gita senza meta, trova il casello d'accesso all'area sovietica completamente sgombro, e trova tutto il tempo di programmare un buon controllo del pallone e piazzarlo di giustezza in rete (foto). E' il gol dell'uno a uno, poco prima un proiettile di Rats si era spento all'incrocio dei pali difesi da Bats. Insomma, è finita così, il pareggio era quotato a uno, e tutti quelli che hanno scommesso su questo esito vanno soddisfatti alla cassa.



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4 giugno


1916
Calcio danubiano

Mentre la grande armata austro-ungarica cerca, con alterne fortune, di espugnare l'Altipiano dei Sette Comuni e di stabilizzare il controllo di Monte Cengio, a Budapest le due metà dell'impero si contendono l'egemonia calcistica. Accade regolarmente dal 1902. Anzi: si può aggiungere che l'Austria, dalle origini e per un decennio, abbia giocato a pallone solo se c'era anche l'Ungheria (un paio di volte è venuta a Vienna l'Inghilterra, e nel 1911 si registra una scappatella in Germania); l'Ungheria preferiva coinvolgere anche la Boemia (che agli austriaci stava antipatica) e, dal 1910, è andata a cercare amicizie anche altrove.  Nel 1912 sono volate assieme in Svezia per le Olimpiadi, ma l'Ungheria è dovuta tornare subito indietro per colpa degli inglesi, indisponibili a lasciare spazio nel tabellone dei quarti di finale. Come che sia. Siamo a Budapest, nello stadio (foto, ma posteriore) che un giorno molto lontano verrà intitolato a Nándor Hidegkuti, lo stadio del Magyar Testgyakorlók Köre (MTK). In maggio, a Vienna, ha vinto l'Austria, tre a uno. Oggi sono favoriti i padroni casa. C'è tanta gente al campo, e non si sente - nemmeno da lontano - odore di polvere da sparo.
Tabellino


1928 
Campioni d'Europa (e perchè no?)

Amsterdam, IX edizione dei Giochi Olimpici estivi, torneo di voetbal: ai quarti di finale duro confronto tra Italia e Spagna. Era capitato già ad Anversa nel 1920 e a Parigi nel 1924, con esiti alterni. Dell'undici azzurro, rispetto a Colombes, ci sono ancora quattro pezzi grossi: Rosetta e Caligaris, Baloncieri e Levratto (foto). Gli spagnoli hanno portato in Olanda gente di poca esperienza, e nessun pedatore proveniente da Madrid o da Barcellona. Per esempio: Zamora non c'è. L'assenza del 'Divino' può bastare da sola a illustrare l'umiliante sette a uno che porta l'Italia in semifinale. Monsù Poss, 'inviato speciale' de La Stampa, esulta: siamo gli unici europei rimasti in lizza. Poiché "nel 1924 a Parigi la Svizzera aveva classificato se stessa come campione europea dato che chi si trovava davanti ad essa era di provenienza americana, oggi noi potremmo per uguale considerazione fregiarci dello stesso titolo".
E fregiamocene!

1938
Lex burgundiorum

Les Parisiennes si disinteressano o quasi del football, ma inizia la Coppa del mondo voluta da un burgundo, quel Giulio Rimet inesausto appassionato ed escogitatore, e tocca andare al Parco dei Principi per veder giocare le rappresentative di paesi confinanti. Per onorare la corazzata del Reich - maledizione - opposta nel match d'apertura alla Svizzera. Bene, vogliamo essere neutrali e dunque parteggiamo per la Suisse, anche se con la Germania, da dieci anni a questa parte, ha sempre buscato. In effetti tutto sembra procedere secondo logica. I teutonici (in realtà una mista austro-tedesca, per via dell'Anschluss) producono il loro gollettino prima della mezz'ora, les jeux sont faits. E' a questo punto che sul loro glorioso orizzonte fa capolino la sagoma di André "Trello" Abegglen (foto), ginevrina stella del Servette. Un gol, l'inutile e sterile prolongation, ed è così necessario rejouer la partita. Trascorre una settimana, e Abegglen, altro gigante burgundo (oui, ja) nonché signore del lago e del fiume, trascina la simpatica comitiva rossocrociata a una clamorosa rimonta. E' proprio lui, infatti, ad assestare gli ultimi due colpi di spada alla boccheggiante armata hitleriana. Quattro a due.
Cineteca


1955
London XI

E' il battesimo della "Coppa internazionale delle città di fiere industriali" (vulgariter Coppa delle fiere), e anticipa di tre mesi l'avvio della prima Coppa dei Campioni. Il torneo si concluderà nel 1958: tre anni per disputare, complessivamente, diciassette partite. Strana competizione: dieci squadre iscritte, due elvetiche, due inglesi (ma una sola 'vera'), due tedesche (il Leipzig, nonché una rappresentativa della città di Francoforte farcita di pedatori dell'Eintracht), una spagnola (il Barça), una danese (il Copenaghen), una jugoslava (lo Zagabria), un'italiana (l'Inter). A Basilea, per il calcio d'inizio, si presenta un undici londinese composto da quattro giocatori del Chelsea, due dell'Arsenal, uno del Tottenham, uno del West Ham, uno del Fulham e due del Charlton Athletic. Atleti di club divisi da acerrime e pressoché secolari rivalità, in sostanza. Nessuno di loro militerà nell'estemporaneo London XI (che conquisterà la finale) sino all'ultimo giorno del torneo.  L'ouverture di Basilea fu monopolizzata da Clifford Holton, bomber dell'Arsenal che passerà al Watford giusto in tempo per perdersi la finale, e da Eddie Firmani, italo-sudafricano che a quella presenza non ne sommò altre, perché dall'autunno immediatamente successivo fu di scena sui campi della Serie A, prima con la maglia della Samp e poi con quella dell'Inter (sarà lui il primo centravanti di Habla Habla). A Sankt Jakob, Holton realizzò una tripletta, introdotta e fissata dai gol di Firmani. Prodezze dimenticate, delle quali nessuna immagine si riesce a trovare.


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25 maggio

1938
El Monumental
Il River Plate è la più forte squadra d'Argentina. Ha vinto la Priméra División nel 1936 e nel 1937. Il suo stadio, costruito nel Barrio de Palermo, è ormai troppo piccolo. Ma oggi si inaugura quello nuovo, una cancha per 70.000 persone. Il Peñarol di Montevideo è l'ospite d'onore scelto per l'apertura del Monumental.

1940
La Bombonera
Il vecchio Estadio Brandsen y Del Crucero è piccolo e non porta più fortuna, visto che negli ultimi anni i titoli finiscono spesso nella bacheca del River. Così anche il Boca si costruisce uno stadio nuovo. Si inaugura oggi, con un'amichevole tra i Xeneizes e il San Lorenzo de Almagro, La Bombonera.



Amari calici per le grandi italiane

1967
Lisbona
The Bhoys fecero il 'triplete'. Anzi di più. Scottish League, Scottish Cup, League Cup ('triplete' domestico), completato dalla coppa più importante, quella che ancora si chiamava 'dei Campioni d'Europa'. Impresa leggendaria. Anzi, di più. A Lisbona avevano di fronte la temuta, cinica e detestata macchina da guerra costruita da HablaHabla. L'Internazionale, dopo un triennio di dominio pressoché totale, improvvisamente crollò. In un caldo pomeriggio di primavera avanzata, le gambe e i muscoli dei nerazzurri tennero per una decina di minuti, forse venti; la velocità e il ritmo del Celtic, alla lunga, travolsero un meccanismo difensivo collaudato da anni e reputato insuperabile.  "Il 'catenaccio' non moriva con la Grande Inter, ma il mito della sua invincibilità certamente sì. Il Celtic aveva dimostrato che un modo di giocare votato all'attacco aveva un futuro" (Jonathan Wilson).

1983
Atene
I top-players del momento - tolti Zico e Maradona, pur essendo el Pibe ancora lontano dalla sua definitiva e divina dimensione - giocano tutti nella Juventus. Ci sono svariati campioni del mondo - la colonna vertebrale dell'XI di Bearzot, in sostanza -, e in più due acclamate stelle del football europeo, Platini e Boniek (due tipi, peraltro, che sembravano nati per giocare insieme). Ad Atene, la finale con l'Amburgo sembra meno di una formalità. Ma la squadra non ingrana. Non è concentrata; o lo è eccessivamente. Batte in testa. Prende un gol - un gol che sarà evocato milioni di volte da coloro che tengono in antipatia la vecchia signora -, ha il nome di Felix Magath. Nonostante la partita fosse a quel punto ancora lunga, i bianconeri non risalgono più la corrente, incupiti dalla prospettiva di una sconfitta rumorosa e inattesa. Sarà per un'altra volta. La coppa - la prima - arriverà presto, ma - quando sarà - non sarà un giorno di gloria. Anzi.

2005
Istanbul
Alla fine del primo tempo, c'è chi decide di anticipare il corso degli eventi. Prende sciarpe, bandiere e trombette, sale in macchina e comincia a scorrazzare allegramente e chiassosamente lungo i viali di Milano. Ci sono in giro solo atei e interisti. Vanno compresi: un primo tempo sontuoso, il Liverpool è sotto di tre, che si gioca a fare il secondo? Si gioca, è obbligatorio per regolamento, ma stare davanti alla tivù è tempo perso. Anche i giocatori del Milan hanno già festeggiato. Soprattutto Sheva: dev'essersi scolato qualche litro di vodka, perché non ne azzecca più una. Sembra veda doppio, fallisce ogni traiettoria, anche la più semplice. I Reds invece riemergono dagli spogliatoi gonfi di rabbia e determinazione. Quando, quarantinque minuti dopo, inizia la sarabanda dei penalties, nessuno scommetterebbe un solo centesimo sul Milan.

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13 marzo

1938
Un gol davvero strambo

Torino, Stadio "Benito Mussolini" stracolmo e ribollente: si affrontano Juventus e Ambrosiana, appaiate in testa alla classifica dopo ventitré giornate. Gli ospiti attaccano a testa bassa, la Signora si difende, regge l'urto, passa in contropiede, ma si fa raggiungere. L'episodio decisivo è da Gran Varietà: rimessa laterale contestata, batte rapidamente la Juve, e Gabetto a testa bassa si invola. Giunto al limite dell'area, prende la mira: sembra un tiro telefonato, Perucchetti (foto) si abbassa per fare il suo onesto lavoro di portiere. Ma è a un metro da lui che Eupalla ha scavato una fossetta, o aggiunto un ostacolo alla regolare corsa del pallone: il quale si alza e, nello stupore di trentatremila spettatori, scavalca l'estremo dell'Ambrosiana e beffardo si deposita in rete. Parlapà, a l'han prope un bel ghëddo, custi sì!
Tabellino e cronaca



1965
Cosa c'è in gioco?

Non si sa. In effetti, la formazione che Fabbri sceglie di mettere in campo al Volksparkstadion è un po' strana, piena di difensori e di attaccanti, con i soli Bulgarelli e Rivera a remare nel mezzo. Senza quelli che giocano in Italia (Haller e Schnellinger, per dire), e senza Seeler, i tedeschi non sembrano granché, pure loro stanno cercando una quadratura credibile. Così la nostra stampa si divide: squadra troppo sbilanciata in avanti! Squadra troppo votata a difendersi! Ma è un'amichevole, e alla domanda del titolo risponde Giulio Cappelli sulla rosea: "ad Amburgo, nella gara contro la Germania, non è in gioco né il prestigio storico dell'Italia né la salvezza economica del nostro Paese. Non è che vincendo o non perdendo al loro rientro in Italia gli azzurri troveranno per incanto risolti tutti i problemi della congiuntura; vincendo o non perdendo non accadrà nulla, così come rientrando sconfitti. Vorrà soltanto dire che i nostri giovanotti sono più bravi o meno bravi dei giovanotti della Germania Occidentale. Niente di più".
E vaglielo a spiegare ...

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