8 maggio

1898
Il protoscudetto

Mentre il brillante generale Fiorenzo Bava Beccaris riempie Milano di soldati e di cannoni, si disputa in una sola giornata il primo torneo ufficiale del calcio italiano. Partecipano la bellezza di quattro squadre; formula complessa: semifinale e finale. Si gioca a Torino, al Velodromo Umberto I. Tre compagini sono locali (due di esse, più avanti, si fonderanno nel Torino; la terza sparirà), ma a trionfare è la quarta: il Genoa Cricket and Athletic Club. Incontra in finale l'Internazionale Torino. "Viva e accanita fu la lotta d'ambo le parti. Dopo due ore di gioco le due società si trovavano ad avere un punto pari così che si dovette prolungare la partita per altri venti munuti. I genovesi, quantunque si trovassero con un bravo giocatore fuori combattimento in causa d'una caduta, riuscirono a vincere con un altro punto conquistando la coppa di campionato italiano" (La Gazzetta dello Sport). Amen. 
Storie di calcio


1949
Annuncio della nemesi

Campionato del Sudamérica. Organizza il Brasile. Otto squadre, girone all'italiana. Il cammino della Seleçao è impressionante: 9:1 all'Ecuador (3 aprile), 10:1 alla Bolivia (10 aprile), 2:1 al Cile (13 aprile), 5:0 alla Colombia (17 aprile), 7:1 al Perù (24 aprile), 5:1 all'Uruguay! (30 aprile). La coppa in tasca, una formalità l'ultima partita contro il Paraguay, che tuttavia seguiva in classifica a soli due punti, per via dell'unica sconfitta subita (con l'Uruguay: 1:2, 20 aprile). Basta il pari, ovviamente. In vantaggio alla mezz'ora, o Brasil venne raggiunto e superato nel finale: merito di Jorge Duílio Benítez Candia (foto), talentuosa mezzala cui una grave cardiopatia accorciò la carriera. Si andò quindi allo spareggio, e i presuntuosi giocolieri decisero che toccava fare sul serio: finì 7:0 (11 maggio). Eupalla fu clemente con loro; era solo un avvertimento. Un anno dopo, avevano dimenticato tutto.


1957
Il ruggito di Hampden

Non riesco a immaginare davvero quanti scozzesi possano riuscire a sedersi sulle gradinate di Hampden. I tabellini portano a volte numeri precisi, troppo precisi. Per esempio, quando si giocò Scozia - Spagna, un confronto delicatissimo in vista del mondiale svedese, pare gli spettatori fossero 88.980. Sarà il numero di biglietti venduti? Forse. Però dovevano sembrare di più. Il corrispondente da Glasgow del Corriere dello sport, in calce al tabellino, scrive che erano 120.000. Gli saranno sembrati davvero così tanti? O fece calcoli a spanne? Comunque sia, Hampden 'ruggiva'. Il famoso 'ruggito' di Hampden, sì. E ad Hampden si giocava sempre nel fango, sotto piogge torrenziali, in un pantano che chissà cosa nascondeva, un manto su cui i giocatori continentali non erano mai a loro agio, innervositi dal dover lavorare con un cuoio duro e pesante. E c'è quel ruggito tremendo, quello che spinge il centravanti del Blackpool, Mackie Mudie, a forzare le difese iberiche, segnare tre gol, ridurre la presenza del temuto Alfredo Di Stéfano a qualcosa di non particolarmente apprezzabile. La Scozia corre, travolge con energia nordica la timida compagine latina. E, di gol in gol, Hampden non cessa mai di ruggire.


1974
Game over per il vecchio Milan

Certo, visto che era riuscito ad eliminare nientemeno che il Borussia di Mönchengladbach in semifinale, si poteva ipotizzare che la finale di Coppa delle coppe al De Kuip, per il Milan, fosse tutt'altro che proibitiva. Ci era arrivata anche la migliore squadra dell'altra Germania di quegli anni, il Magdeburgo: un buon XI, ma totalmente privo di blasone e prestigio in Europa. I rossoneri non vivevano una grande stagione; invecchiamento della rosa - e facce nuove non all'altezza -, cambi continui di allenatore; in campionato, basso cabotaggio, metà classifica, e l'unica strada per non uscire dal giro delle coppe era vincere la finale. Ma fu una finale senza storia, dominata dai tedeschi. Un gol per tempo. Il ciclo avviato nell'ormai lontano 1963 era giunto al suo definitivo epilogo.


1985
Il Real conquista la città dei re

Ferenc Kovács (foto), classe 1934, fu un buon giocatore all'MTK - unico club nel quale militò, dal '54 al '65 - ma non sufficientemente bravo per impiantarsi stabilmente nella selezione nazionale d'Ungheria. A quella lunga monogamia di pedatore, subentrò una maturità libertina, quando iniziò la professione di allenatore. Certo, una carriera avviata proprio all'MTK, ma proseguita poi su tutte o quasi le panchine d'Ungheria: Vasas, Debreceni, Eger Dózsa, e soprattutto Videoton. Già, il Videoton di Székesfehérvár, la città dei Re. Un club di tradizione del tutto secondaria, con la bacheca desolatamente vuota. Nella primavera del 1985, tuttavia, ebbe una grande occasione. Alla fine di uno straordinario cammino, lasciò a piedi e deluse sulle strade della Coppa Uefa il Dukla di Praga, il Paris Saint-Germain di Paris, il Partizan di Belgrado, persino (udite udite) il Manchester United di Manchester (eh eh, la maledizione ungherese per gli inglesi), e infine il Željezničar di Sarajevo. Strepitosa cavalcata. Ma, alla fine, per alzare il santo graal, occorreva vedersela con l'avversario peggiore. Non perché invincibile. Non perché in fase di luccicante splendore. Ma perché incuteva paura a solo pronunciarne il nome. La prima partita della finale si giocò a Székesfehérvár, e rese una formalità il ritorno a Madrid. Il Real vinse facilmente, tre a zero. 

  • Vedi anche le partite dell'8 maggio in Cineteca