Un'apparente umiliazione
Josef 'Sepp' Herberger, trainer della Deutsche Fußballnationalmannschaft (foto), era consapevole di una certa qual inferiorità. Si trattava di affrontare l'Aranycsapat nel pieno del suo splendore; le speranze di batterla erano praticamente nulle. All'esordio, i tedeschi avevano teutonicamente prevalso sulla Turchia; logica pretendeva che i turchi sbaragliassero i coreani e che fosse necessaria, tra Germania e Turchia, una gara di spareggio per l'accesso ai quarti - come stabiliva un regolamento pazzesco varato per l'occasione. E così, Herberger schierò contro i magiari una formazione destinata all'utile sacrificio, risparmiando molti pedatori titolari per i confronti più abbordabili. Così, Puskás e i suoi compagni di merende organizzarono un sontuoso pic-nic, sul prato del Sankt-Jacob. Tutti si divertirono, con la sola eccezione di Kwiatkowski (portiere subentrante ed esordiente; carriera internazionale non fortunata la sua: quattro caps e diciotto palloni rotolati alle sue spalle). Finì otto a tre. Poi i teutonici si rifecero coi turchi, e arrivarono sino in fondo, assai più freschi dei maramaldi magiari. Col senno di poi, si può senz'altro dire che la grande epopea del calcio tedesco contemporaneo iniziò proprio in quel pomeriggio di Basilea, con una sconfitta solo in apparenza umiliante.
Cineteca
Lenta può essere l'orbita della sfera
Qualcuno ha pensato: lo tira in curva. La curva, praticamente vuota, è quella del Marakana di Belgrado. La partita - lunga, bellissima, estenuante - è una finale. Si stabilisce tra le nazioni il primato europeo nel gioco del football. Ogni tanto capitano sorprese, e una c'è già stata. A Zagabria, la Cecoslovacchia aveva eliminato la nervosissima comitiva degli olandesi. Ora naturalmente i cechi se la devono vedere con quelli che, due volte su tre, stanno sul palcoscenico fino all'ultimo atto, e che naturalmente pretendono la battuta conclusiva. Stavolta, però, la sceneggiatura ha assegnato l'ultimo discorso ad Antonín Panenka (foto), semisconosciuto pedatore del Bohemians 1905 di Praga. Se trasforma il penalty, ai tedeschi non sarà concessa un'ulteriore chance. La rincorsa fa credere a tutti che abbia deciso di tirare alla cieca, di pura potenza; è la scelta che di solito prediligono, in queste situazioni, giocatori poco sicuri di sé, non sufficientemente 'freddi', dotati di tocco modesto. E invece è solo un'impostura. Quando Panenka lo colpisce, il pallone si alza molto lentamente, senza fretta si dispone in quota, poi si abbassa ancora più lentamente. Sembra l'orbita di un pianeta; e sembra siano trascorsi anni luce quando finalmente la sfera si adagia, spossata dal proprio viaggio, alle spalle di Sepp Maier, che l'aspettava là dove non sarebbe mai arrivata.
En el fútbol todo es posible
La Franza va per conto suo, Roi Michel recita tutte le parti in commedia. L'esito finale del Championnat d'Europe de football è scontato. Si gioca a pallone solo per stabilire chi farà il paggio del re al Parc des Princes. In quest'ottica si misurano España e Alemania nell'ultima del loro girone. Ovviamente sono favoriti i teutonici, anche perché la Roja vive tempi grigi e vanta pochi campioni. Anzi, nessuno. Quando è in serata, tuttavia, Luis Miguel Arkonada Etxarri è un portiere coi fiocchi. Se lo aiutano pali e traverse, diventa insuperabile. Il match è senz'altro avvincente, gli spagnoli sono obbligati a vincerlo. Carrasco calcia un rigore addosso a Schumacher; Allofs sparacchia tiracci addosso ad Arkonada, come fosse l'orso da colpire in un padiglione del luna-park. Immaginate allora, provate a immaginare la potenza dell'urlo salito al cielo da ogni angolo della vecchia Spagna quando, al novantesimo minuto, Juan Antonio Señor Gomez - stella del Real Zaragoza - mette nel cuore dell'area un pallone che i due Förster e Uli Stielike osservano disgustati, mentre sbucato da chissà dove piomba sull'arcuata traiettoria Antonio Maceda Francés (figurina) - difensore centrale dello Sporting Gijon, ma implacabile predatore delle aree altrui -, il quale inzucca come sa fare, imprimendo alla pelota una forza tale da piegare i guantoni del portiere alamanno, esaurendosi beffarda oltre la linea di porta.
La vigoria atletica e morale degli All Whites
Mi telefona un amico, è sempre e parecchio su di giri negli anni pari, all'inizio dell'estate, quando si giocano le coppe del mondo e i campionati d'Europa. "Ah ah ah! Sai cosa c'è stasera?" Una partita, immagino. "Una partita? Secondo te esiste una partita quando in campo ci sono da una parte i campioni del mondo e dall'altra tipacci convinti che la forma naturale del pallone sia ovale, e che sia diventato rotondo solo per colpa di europei e sudamericani che si accaniscono nel prenderlo a calci? Non scherziamo. Ci tocca perdere tempo contro la Nuova Zelanda, e i nostri rischiano di farsi male: quelli placcano e sgomitano che è un piacere, ti rompono le ossa se non stai attento. A ogni modo, le cose andranno come devono andare, e vinceremo con trenta o trentacinque punti di scarto. Tu cosa pensi? Ci sentiamo domani". Non penso nulla di particolare. Accendo la TV e guardo la partita perché so che alla fine mi toccherà discuterne con lui. I nostri giocano un football orrendo, prendono un gol da polli, pareggiano su rigore. Trascorrono i minuti e lentamente cedo, sopraffatto dalla vigoria atletica e morale degli All Whites.