29 giugno

1950
Frankie voleva giocare a baseball

"I britannici, consci della loro superiorità tecnica, hanno dormito troppo fra gli allori ed hanno sottovalutato l'importanza dell'incontro. Hanno incassato senza batter ciglio la rete statunitense, senza scomporsi hanno tentato di rimontare lo svantaggio e, senza perdere mai la calma, hanno perso la partita" (Monsù Poss). Accadde nel primo torneo mondiale cui l'Inghilterra si degnò di partecipare. Spezzate le ossa al Cile nello storico match d'esordio, pagò il tremendo sforzo con l'amatoriale truppa americana. Non è vero che nelle redazioni dei giornali inglesi, quando fu telegrafato l’esito della partita, si pensò a un errore, e dunque non corrisponde a verità quanto spesso si legge, e cioè che annunciarono la vittoria dei Leoni col risultato di dieci a uno. Frank Borghi (foto) chiuse la saracinesca, e difese l'unico gol della partita, segnato per gli Stati Uniti dall'haitiano Joe Gaetjens. A proposito di Frankie. Gli sarebbe piaciuto diventare un grande giocatore di baseball, ma non ebbe fortuna. Decise allora di darsi allo sport meno popolare negli States: il soccer. Non aveva la minima idea di come si calciasse la sfera. Un pedatore meno che modesto, anche per i canoni del suo paese. Allora lo misero in porta - come sempre capita a quelli scarsi, si dice -, e giocò qualche partita nella selezione degli Stati Uniti. Di mestiere, però, faceva l'autista. In un'agenzia di pompe funebri. Nessuna battuta: sarebbe poco divertente e molto scontata.


1958
Questa maliarda e girovaga Coppa

Fu (e resterà) l'unica volta che il team della nazione ospitante perse in finale la coppa del mondo, perché quella del 1950 non era una vera e propria finale. A differenza di quel che accadde a Rio, qui non fu una tragedia. Anzi. Ragazzini dalla biondissima zazzera, e dunque sicuramente indigeni, dopo la partita, irruppero tumultuosamente nello spogliatoio dei brasiliani per fare incetta di autografi. L'autobus dei nuovi campioni percorse a tetto scoperto le vie di Stoccolma seguito da un corteo di auto strombazzanti. Naturalmente, si possono soltanto immaginare le sarabande che, nelle medesime ore, venivano organizzate da Copacabana a Sao Paulo. Anche Monsù Poss potè partecipare alla festa, invitato da Feola. "Rividi la Coppa che avevo tenuto per qualche giorno sul mio tavolo vent'anni prima. Le diedi un memore e nostalgico bacio di addio prima che essa varchi, dopodomani, l'Oceano nelle mani dei suoi nuovi padroni. Ne valeva la pena. Non siamo tanto sicuri di rivederla ancora, questa maliarda e girovaga Coppa".


1986
La corsa a perdifiato del Burru

La mossa del Kaiser sembra intelligente. Piazzare il terribile Lotario in marcatura fissa sul Pibe. Lotario è un bull-dog, è veloce, reattivo, capisce il gioco. Se il Pibe è messo in condizioni di nuocere poco, o di non nuocere affatto, i tedeschi vincono sicuramente la partita. Infatti, tolto Lui, gli altri cosa sono? Poeti e ronzini. Solo che, senza Lotario, il centrocampo della Germania è in balìa della propria assoluta pochezza. Quindi il Kaiser ha commesso un errore. Anche Bilardo. Carlos Bilardo - uno per il quale i giocatori si sostituiscono solo da morti - tiene in campo Brown, spalla fuori uso e braccio al collo (come Franz, sempre all'Azteca, nel '70), nell'ultima mezz'ora. Anche per questo i tedeschi rimontano due gol in pochi minuti. Ma non riprendono fiato, in attesa dei supplementari. I caratteri originali della natio producono altri immediati e dissennati arrembaggi. Beckenbauer urla, ma nessuno lo sta a sentire. Così, nell'unica artistica intuizione del pomeriggio, Diego spedisce Burruchaga nella prateria infinita che si stende davanti a Schumacher. El Burru si dispone in apnea, corre più veloce che può, e nessuno riesce a raggiungerlo fino a che, ormai in agonia, riesce a indirizzare il pallone sull'angolo più lontano. Tre a due, e coppa del mondo che torna in Argentina. Il vecchio Franz, quando ci ripensa, si mangia il fegato.


2000
A testa alta sulle barricate

D'accordo, non sei uno specialista. Ma tocca a te. Vai sul dischetto, posizioni la sfera, prendi la rincorsa. L'hai fatto apposta a spedire il pallone fuori dallo stadio? Certo che no. Infatti la colpa non è tua. La colpa è dell'allenatore. Il mite Frankie Rijkaard accusa se stesso prima che lo facciano gli altri, e rassegna le dimissioni. Gli olandesi sono dei poveri cristi, spossati e prostrati. Hanno giocato in undici contro dieci per più di un'ora e mezza. Hanno tirato in porta migliaia di volte, e poi hanno sbagliato una quantità impressionante di calci di rigore. Chiaro che, se sprechi tutto ciò che è possibile sprecare, la nemesi è in agguato e perdi la partita. Così, oggi i giornali italiani cantano le lodi del calcio all'italiana. Resistenza eroica, Nesta e Cannavaro a testa alta sulle barricate. Certo, abbiamo vinto immeritatamente. E' il nostro modo. Non siamo nati per dare spettacolo, bensì per impedire ai nostri avversari di divertirsi giocando a pallone - il che può essere molto spettacolare, secondo taluni. E' per questo che ci detestano, anche se - sotto sotto - ammirano la nostra praticità.  "Non c'è tanto da stare a discutere se il calcio degli italiani è bello o no: finché vince ha ragione", taglia corto Thierry Henry, il nostro prossimo avversario.


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