Una fantastica battaglia
A ben pensarci, il match disputato all'Olympique de la Pontaise andrebbe considerato tra i più importanti del '900; in tal senso, la sua mistica è penalizzata dai tempi delle tecnologie: l'Aranycsapat valeva almeno il Brasile del '70 e l'Olanda del '74, squadre archetipiche ammirate da un universo già intasato di antenne e televisori. I detentori del titolo, mai battuti in una partita di coppa del mondo, contro i legittimi e potenziali successori, imbattuti da anni e anni. Agli uni mancava Varela, agli altri Puskás, simboli e anime acciaccate. I rioplatensi conoscevano l'arte della difesa, i danubiani erano davvero come un fiume in piena; fu una fantastica battaglia, di cui l'Aranycsapat parve assumere il dominio all'inizio del secondo tempo, quando Hidegkuti inzuccava in tuffo il due a zero (foto). Ma La Celeste non era solita perdere la testa e accettare passivamente la sconfitta, come tutti avevano visto o saputo nel 1950; nell'ultimo quarto d'ora Juan Hohberg, centravanti del Peñarol, riassestava equilibri e prospettive, infilandosi due volte fra le larghe maglie della rete difensiva magiara. Qui fece capolino Eupalla, negando a Hohberg la tripletta e la finale e incarnandosi in Sándor Kocsis per rifinire la partita e accompagnare l'Ungheria al suo destino.
La resistenza svedese e i capricci di Netzer
Molte sono le partite indimenticabili disputate alla Coppa del mondo del 1974. Tra le meno evocate, vi è quella che oppose la Germania alla Svezia. Match delicato: se i tedeschi vincono, hanno un buon vantaggio sulla Polonia, e basterà loro un pareggio nello scontro diretto per accedere alla finale. Gli scandinavi non sono da sottovalutare, hanno già mandato in bianco l'Arancia meccanica. Qui al Rheinstadion di Düsseldorf, sotto il diluvio universale, il pallone schizza sul prato a velocità folli, la Fussballmannschaft ha un avvio tremendo ma non passa, e i gialli sono sempre pericolosi. Infatti è loro l'unico gol del primo tempo. Edstroem, un magnifico bolide di sinistro e al volo dal limite dell'area. La ripresa vive un picco emotivo quando, nel giro di tre minuti, la Germania pareggia (Overath), passa in vantaggio (Bonhof), viene nuovamente raggiunta (Sandberg). Due a due, rimane mezz'ora. Sfibrati alla lunga dall'incessante e potente offensiva dei bianchi, gli svedesi schiantano. Quattro a due (Grabowski e Hoeness). L'atmosfera del Rheinstadion muta da lugubre in festosa. L'unico incupito è Gunther Netzer. Il 'lupo solitario' ha mandato al diavolo Beckenbauer e Schön, che gli preferiscono Overath. Ha fatto le valigie e vuole tornare a casa, cioè a Madrid. Il Kaiser se la ride. Schön promette promesse che non manterrà, Netzer disfa le valigie e si accomoda in tribuna; e i pochi minuti contro i fratelli dell'est resteranno i soli da lui mai giocati in un mondiale.
L'era del golden goal
Signori, siamo nell'era - breve, per fortuna - del golden goal. Un fantastico jackpot. Se lo assicura la squadra che riesce a spareggiare il gioco dopo il novantesimo, in un match a eliminazione diretta. La partita, in tal caso, muore all'improvviso, come colta da infarto fulminante. E tra le finali interrotte da repentino e letale malore vi è quella europea del 1996. L'incidente accade sul prato di Wembley. Vent'anni dopo, il titolo europeo è ancora un affare tra cechi e tedeschi, e certo non è un bel vedere. Squadre prudenti. Attendiste. Corte. Trascorrono i minuti, e per la Regina resistere al sonno è un'autentica tortura. Ci vuole un episodio. Eccolo: l'arbitro inventa dal nulla un calcio di rigore. Come infilare di nascosto la volpe in un pollaio: le squadre si allungano e gli spazi si allargano. La Germania trova il suo eroe, e si chiama Oliver Bierhoff. Agguanta il pari e si va all'overtime. Sempre lui, il brutto anatroccolo che aveva giocato poco e male nelle partite precedenti, trova la coordinazione giusta per steccare di sinistro (foto) una boccia che, deviata, sfugge alla presa di Kouba e lenta lenta rimbalza prima di decidere di andare ad addormentarsi definitivamente là, vicino al palo sinistro della porta dei cechi. E' così che la partita in un istante defunge: pace all'anima sua.
Il chirurgo
Brasile-Germania, a Yokohama la coppa del mondo mette in cartellone la finale che non c'era mai stata e che prima o poi doveva arrivare. Ronaldo Luís Nazário de Lima: a Yokohama si prende ciò che non aveva conquistato a Parigi, e che prima o poi si doveva prendere. Non è più quel centravanti senza paragoni possibili che tutti avevano ammirato nella seconda metà dei 1990s. I guai al ginocchio destro l'hanno reso più umano e assai meno devastante; sa benissimo che a ogni cambio di direzione rischia la carriera, e che a ogni contrasto portato dall'avversario con dissimulato cinismo quel ginocchio potrebbe cedere ancora una volta. Si è fatto meno generoso e più scaltro, bada al sodo, usa il cervello. Tocca meno palloni di un tempo, li tiene solo per il tempo che è necessario tenerli. Non gli interessa più dare spettacolo, incendiare gli stadi, fornire spunti ai designer del calcio virtuale. Gli interessa vincere. E' diventato un attaccante chirurgico. Grazie a lui, la prima finale del nuovo millennio è una formalità. La sua doppietta assassina arriva nell'ultima mezz'ora, e non a caso. Arriva quando l'avversario pensava di potercela fare. Quando, se vai sott'acqua, non hai più la forza di tornare a galla.
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