C'era una volta la Coppa dell'Europa Centrale
Senza i club italiani e austriaci, nell'estate del 1940 la Coppa dell'Europa Centrale è in ogni caso di spessore imparagonabile a quello delle precedenti edizioni. Partita dopo partita, si arriva al 10 di luglio. Nel giorno in cui inizia la battaglia d'Inghilterra, e mentre il maresciallo Philippe Pétain ottiene dal Parlamento francese poteri pressoché assoluti, a Subotica (nord della Serbia) due squadre di calcio vanno in campo per disputare l'ultimo match della Mitropa Cup. Sono il Rapid di Bucarest e l'HSK Gradanski di Zagabria. Oddio, non dovrebbe essere proprio l'ultima; è solo uno spareggio per l'accesso alla finale, cui si è già qualificato il Ferencvaros. Ha la meglio, grazie al sorteggio, il Rapid. Ma è troppo tardi. La guerra avanza, la Romania ha firmato un patto con Hitler in funzione anti-sovietica, l'Ungheria è teoricamente neutrale, ma tra Budapest e Bucarest le relazioni sono sempre più tese. Così, la finale non verrà mai giocata. La gloriosa Mitropa chiude i battenti.
Tabellino
I bolscevichi alle porte di Parigi
Bene fa la stampa liberale a ignorare la prima finale del campionato d'Europa per nazioni, che si gioca oggi a Parigi. E perché? Perché la finale è un derby socialista. Ai lettori importa pochissimo. Anzi, soprattutto se dovesse vincere l'Unione Sovietica sarebbe opportuno allungare il brodo sulla tappa del Tour. I bolscevichi hanno già vinto quattro anni fa a Melbourne, ma poi in Svezia per fortuna non hanno combinato granché. A ogni modo, non c'è da fidarsi. Meno se ne parla e meglio è. Soprattutto in Italia. D'altra parte, è vero o non è vero che la Spagna si è rifiutata di giocare contro di loro? E' vero, e a ben guardare sono arrivati in finale solo grazie alle partite giocate contro le nazionali di paesi satelliti, già invasi o che invaderanno: l'Ungheria e la Cecoslovacchia. E perché hanno invaso l'Ungheria? Semplice: perché l'Aranycsapat era comunque troppo forte per loro, anche dopo il disastro di Berna. E perché invaderanno la Cecoslovacchia? Per lo stesso motivo. Dunque ci sono buone possibilità che, prima o poi, spediscano i carri armati anche in Jugoslavia. Anzi, probabilmente - noi non lo sappiamo - sono già alle porte di Parigi, e hanno già circondato il Parc des Princes.
1982
Tout désir est désir d’être
René Girard (foto), grande antropologo e quant'altro, giocò la sua ultima di sette partite nella nazionale di Francia al José Rico Pérez di Alicante, ed era la finale delle sconfitte in semifinale nel mondiale di Spagna, tra galletti e polacchi. Fino ad allora non aveva cavato un ragno dal buco. Nulla che illuminasse sensatamente (o che smentisse) le sue teorie sul desiderio mimetico nel football. Per fortuna, tuttavia, fece capolino il baffuto Andrzej Szarmach. Anche lui si trovava lì per disputare (assai svogliatamente) l'ultima di ben sessantuno partite con i Biało-czerwoni, dei quali aveva vissuto praticamente tutta l'epopea, durata grosso modo un decennio. Szarmach era anzi uno degli eroi del romanzo polacco; passata la trentina, stava per tirare i remi in barca. Ma Girard decise di segnare (sperimentalmente) il gol dell'uno a zero, un pallone rasoterra dal limite che caracollando colpiva l'interno del palo e si infilava alquanto beffardo in rete. Inconsapevolmente ammirato, Szarmach provò il desiderio di realizzare anche lui un gol. Magari allo stesso modo. Infatti, intorno alla mezzora gli capita l'occasione giusta: fuga di Boniek, tiro-cross forte e radente che finisce sui piedi del centravanti coi baffi; da dieci centimetri, colpisce il palo e osserva il pallone finire docile docile in braccio al portiere. Girard sorride, estrae dai calzoncini un block notes e scrive qualcosa. Poco dopo tuttavia, ricevuta palla su uno scatto profondo, di sinistro e di prima intenzione il polacco scaraventa una sfera che va a sbattere contro il palo interno e si arena oltre la linea bianca. Et voilà. Girard sorride, rispolvera il block-notes e aggiorna i suoi appunti: "Tout désir est désir d’être", oui.
1994
"Saremo invincibili": parola del Kaiser
Sotto il sole zenitale i detentori della coppa del mondo sono schierati al centro del campo. "Saremo invincibili", disse il Kaiser dopo la caduta del muro di Berlino. Infatti, ora che la Germania è una sola anziché due, tutti pensano che le sue possibilità di dominare il football siano - quanto meno - raddoppiate. E invece, al Giants Stadium, la DeutscheSuperNationalmannschaft discioglie e si squaglia come un gelato di fronte alla Bulgaria, e siamo solo ai quarti di finale. Subisce una rimonta, e non ha la forza di ribellarsi alla sconfitta. Disidratati e confusi, rossi per lo sforzo, la rabbia e la cottura, i pedatori di tutte le Germanie abdicano di fronte alle scaltre e piratesche giocate di Hristo Stoichkov e al sovrumano dinamismo podistico di Yordan Letchkov (foto). Ma abdicano senza melodrammi, con teutonica dignità. "Ha vinto una squadra che lavora duro e non se ne sta a prendere il sole": la stampa popolare, va da sé, dispensa per i lettori sarcasmo e allusioni.