2 luglio

1950
Girone di ferro per l'Uruguay

Inizia e finisce, in una sola partita, il gruppo 4 della fase preliminare. E' composto di due sole squadre, entrambe arrivate qui per rinuncia delle nazioni contro cui avrebbero dovuto guadagnarsi la qualificazione. Bolivia e Uruguay. Per l'Uruguay, un autentico girone di ferro. Non si fa dell'ironia. L'ultima volta, cioè poco più di un anno fa, a Rio, la Celeste ha buscato. Era una partita di Copa América. Era la prima volta che perdeva con la Bolivia, dalla quale anzi non aveva mai incassato nemmeno una rete nelle precedenti occasioni. Però, a ben pensarci, non giocava quasi nessuno dei titolari. La poderosa delantera del Peñarol (Ghiggia, Schiaffino, Hohberg, Vidal, Miguez) era in sciopero, e a far figuracce in Brasile mandarono dei ragazzini. Ora la situazione è diversa. Gli assi ci sono, e soprattutto sono tirati a lucido. Sono tra i candidati al titolo, e hanno voglia di dimostrarlo. Infieriscono senza pietà: otto gol, ben distribuiti tra primo e secondo tempo. L'Uruguay è una bomba ad orologeria.
Cineteca



1982
Tu quoque, Diego?

Per sfortuna di Ciro Menotti, il centravanti del Brasile non è più quello del 1978. Oddio, non che Serginho sia meglio del Dinamite, anzi. Fa il palo, là davanti. Anzi, lo spaventapasseri. Ma non spaventa nessuno, ed è per questo che si trova da solo in mezzo all'area quando, verso la metà del secondo tempo, esausto per una furente percussione vista e accompagnata da Zico con delizioso tocco di esterno destro, Falcao mira la sua capoccia, la centra in pieno, il pallone rimbalza in direzione di Fillol ed è la rete del due a zero. I detentori della coppa capiscono che ormai la cuccagna è finita, ma Zico la deve pagare. Ci pensa Passarella, specialista dell'intimidazione, e mentre il Galinho viene accompagnato fuori molti si domandano come faccia un uomo di quella statura ad avere una caviglia così grossa. Poi anche el Pibe, sul quale i barcellonisti cominciano a fare discorsi densi di punti interrogativi, si indigna nei confronti di Batista, che era entrato giustappunto per sostituire Zico e ha pensato valesse la pena di colpire al volo il testone di Juan Barbas, infischiandosene delle conseguenze. "Ma sì, state vincendo tre a zero, almeno tu ricordati di me", e come souvenir gli sistema una magnifica suola bella piena di tacchetti nel basso ventre. A questo punto Mario Rubio Vasquez perde la pazienza: "tu quoque, Diego?". Essendo l'arbitro, ha il diritto di amministrare la giustizia almeno in questa partita, e dunque la amministra: cartellino rosso (foto). Finisce così, tra i fischi del Sarrià, la disperata avventura dell'albiceleste al mundial di Spagna. Maestoso e tremendo, il Brasile si è liberato degli argentini come fossero insetti nemmeno troppo fastidiosi. Si sbarazzerà facimente anche dell'Italia, pensano i più, e poi via, rotta su Madrid.

2000
La dignità di un allenatore

L'arma preferita dagli italiani quella sera si inceppò. Il destro di Del Piero era caricato a salve, e millanta occasioni da gol andarono sprecate, nonostante il deserto nella trequarti difensiva dei francesi. Così, un pallone in zona Cesarini trova la strada per passare in mezzo alle gambe di Toldo, e un altro viene scaraventato alle spalle del medesimo e con cattiveria platense da Trezeguet (foto), confermando il trend inaugurato nel '98: gli azzurri sprecano, i galletti capitalizzano. Inutile girarci intorno: il reiterato scialo moltiplica automaticamente le possibilità che faccia capolino la nemesi, e quella sera andò esattamente così. Quando hai di fronte avversari insidiosi, possono sempre e improvvisamente trovare la combinazione giusta e spalancare la tua cassaforte. Il gollettino di un carneade come Marco Del Vecchio costituiva appunto - dopo tanto sperpero - quanto rimasto all'Italia sul conto della finale nei minuti conclusivi; il bullismo multietnico transalpino lo razziò quasi per inerzia, e i rappresentanti della nazione avviarono la caccia al colpevole di tanta demenza. Ex post, la partita è ricordata soprattutto per il violento attacco frontale portato dal capo dell'opposizione politica e parlamentare al commissario tecnico della nazionale: a Dino Zoff, bandiera vivente del football italiano. Declassato improvvisamente a dilettante: "Si poteva vincere e bisognava vincere. I problemi riguardano la conduzione della squadra: non si può lasciare la fonte del gioco Zidane sempre libero. Era una cosa che non si poteva non vedere, anche un dilettante l'avrebbe vista", disse Silvio Berlusconi, a reti unificate. Trascorrono quarantotto ore, e il furlano reagisce, con stile e compostezza. Rassegna le dimissioni, gesto raro. "Dal signor Berlusconi non prendo lezioni di dignità. Non è giusto denigrare il lavoro degli altri pubblicamente, non è giusto che non si rispetti un uomo che fa il suo lavoro con dedizione e umiltà". Con dedizione e umiltà, l'Italia stava per sollevare la coppa in faccia ai campioni del mondo. Ma non era destino.
Cineteca


2010
L'istante più crudele nella vita di Asamoah Gyan

Osservate lo sguardo di quest'uomo. Ha le mani in testa. Tra un istante, potete scommetterci, inizierà a piangere. Si chiama Asamoah Gyan, soprannominato Baby Jet. Anzi, a ben pensarci, la sua è un'espressione incredula. Cos'è successo? Semplice: stava per entrare nella storia, ma all'ultimo istante la storia ha tirato giù la saracinesca. Sa che un'intera nazione dell'Africa nera, il Ghana, che è poi la sua patria, in questo momento sta pensando cose orrende di lui. Perché? Solo e semplicemente perché ha sbagliato un calcio di rigore. Cosa c'è di più apparentemente normale, banale, ricorrente nel calcio, di un calcio di rigore sbagliato? Tutti i giocatori si disperano, quando accade. Il portiere graziato fa salti di gioia, e la vita di quelli che hanno tratto vantaggio dall'errore torna a fluire, ordinaria e piena di vere o false promesse. Stavolta, però, siamo davvero al cospetto di un caso limite. Estremo. Mai verificatosi nella storia, e che difficilmente ricapiterà, vai a sapere. Tornate a guardare il volto di Asamoah. In questo momento, l'arbitro ha appena fischiato la fine della partita. Anzi: la fine del secondo tempo supplementare. Sul dischetto, Baby Jet andò sapendo che a lui spettava il gesto finale e decisivo. Che avrebbe portato il Ghana in semifinale e, dunque, nella storia. Ora, riavvolgiamo il nastro del tempo, ma solo per qualche secondo. Ecco, da qui. Il giocatore prende la rincorsa. Colpisce la sfera. La sfera si muove, decolla, decolla ancora, non cessa di muoversi all'insù. Asamoah vorrebbe tanto che restasse impigliata nella rete tesa alle spalle di Muslera, il portiere dell'Uruguay. Ma il pallone si alza ancora, e se continua così - pensano in tutta Johannesburg - viaggerà fino in fondo alla notte, e atterrerà su qualche pianeta situato al di là del sistema solare. E invece no. Quel pallone si schianta in volo, contro la traversa. Non esplode in mille frammenti sintetici, ma nella mente di Asamoah tutto un futuro già immaginato dissolve all'istante. Non vorrebbe crederlo, ecco ancora la sua espressione. Il futuro deve ricominciare, molto è accaduto ma è come non fosse accaduto nulla. C'è un'altra partita da giocare, fatta solo di altri e tanti calci rigore, e la vincerà l'Uruguay. 


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