La nascita della Germania
L'istante che cambia la storia del mondo cade quando gli orologi del Wankdorf segnano le 19:42. Disponiamo solo di immagini non chiare, incomplete e comunque prese da angolazione insufficiente a una valutazione puntuale e condivisibile. Ecco Ferenc Puskás, ha appena ricevuto il pallone - dicono le cronache - grazie a una deviazione di testa di Kocsis; si vedono alcuni difensori tedeschi, più al largo, in fase di ripiegamento, e uno solo che insegue l'ungherese, ma non riesce a raggiungerlo prima che, in scivolata, egli spedisca la sfera sul palo più vicino, beffando Turek. Tre a tre, la finale a due minuti dalla fine non è ancora finita, anzi sembra stia per ricominciare. Biró esulta, ma i bianchi alzano le braccia, dicono di no (foto). Gol annullato per offside, conviene la terna arbitrale. Giustamente o no? I resoconti della stampa non sono concordi, e sembrano dettati soprattutto da considerazioni di 'simpatia' politica: per taluni il fuorigioco era dubbio, per altri assai netto. La partita volge all'epilogo, il risultato rimane quello: tre a due per la Deustsche Fussball-Nationalmannschaft. Muore l'Aranycsapat, e nasce la Germania contemporanea.
Cineteca | L'azione del gol non convalidato
Elementare, Watson
Che prestazione! Non avevano mai giocato così bene, gli inglesi, dai tempi delle prime British Home Championship, sullo scorcio del XIX secolo. Nemmeno al mondiale domestico del '66, quando vinsero senza dare grande spettacolo. Tuttavia hanno perso, e le lacrime di Paul Gascoigne dopo l'ammonizione che gli avrebbe precluso la finale non commuovono più nessuno, dato che per i Leoni non vi sarà alcuna finale. Inizia per loro in questa notte di Torino, contro la Germania, una storia infinita: la storia delle partite che l'Inghilterra perde dopo averle pareggiate. C'è da giurarci: capiterà ancora, e dovremo tenere l'inventario aggiornato. E' un fenomeno che periodicamente produce in loro un sentimento di cupa disperazione. Perché Lady Luck ci volta sempre le spalle, anche quando avrebbe buoni motivi per stare dalla nostra parte? "Elementare, Watson. Semplicemente perché non sappiamo tirare i calci di rigore". That's it.
1999
Momentos inolvidables
Ho letto da qualche parte che l'Argentina ne avrebbe (condizionale d'obbligo) presi tre (a zero) dalla Colombia. In Copa América. "Confermo, e fin qui ci sarebbe (condizionale d'obbligo) nulla da dire, dev'essere l'effetto funesto e combinato degli interisti - peraltro, gli unici ad emergere in una squadra di rattristante modestia". La cosa esilarante è che in questo match del secolo sarebbero (il condizionale è sempre d'obbligo) stati assegnati cinque rigori, tre all'Argentina e due alla Colombia. "Confermo: l'ho vista fino al terzo rigore calciato da Palermo, poi sono andato a letto ma confermo soprattutto che tale Palermo, cognome del bomber del Boca e sostituto in nazionale di Batistuta, li ha (qui il condizionale finalmente sparisce) sbagliati tutti e tre". Palermo? Martin Palermo? "Confermo, osserva questa foto, i colombiani lo guardano e sghignazzano, lui sta cercando di sparire dalla partita, con l'espressione di uno che vorrebbe essere cancellato dall'indice dei nomi della storia del futbol, perché di questo suo exploit si parlerà e scriverà sicuramente per saecula saeculorum". Così è stato, così è, così sarà. Momentos inolvidables.
2004
Il terzo jolly di Angelos Charisteas
Fate vobis: il centravanti del Portogallo non ha segnato lo straccio di un gol in tutto l'europeo, ma è il bomber del Paris Saint-Germain; il centravanti della Grecia ammuffisce tra le riserve del Werder Brema, ma ha già castigato la Spagna e la Francia. Non c'è due senza tre. Charisteas pesca il suo terzo jolly nel torneo (foto), e la Grecia festeggia la terza vittoria consecutiva, tutte e tre con il medesimo risultato: uno a zero. Entra nell'albo d'oro del campionato europeo per nazioni: "it is an event to stun the whole football world into silence" (Kevin McCarra, The Guardian). Certo, ai portoghesi ha detto molto male: organizzare la coppa e poi perderla in finale, a Lisbona, contro la Grecia (con tutto il rispetto) sembra, più che una beffa, un accanimento di Eupalla: "prima dovete capire che a pallone senza qualcuno che faccia i gol è inutile giocare, poi magari organizzate anche la coppa del mondo". A dire il vero, in questa memorabile finale la porta dei greci non è rimasta inviolata. Manca pochissimo alla fine, un tifoso del Barça invade il campo, raggiunge Luis Figo e gli 'consegna' una sciarpa blaugrana. Poi corre, corre, corre, e va "a schiantarsi come una falena nella rete di Nikopolidis" (Gianni Mura). E' l'ultima emozione regalata dalla notte di Lisbona. I cancelli dell'Estádio da Luz si chiudono, e la Lusitania si addormenta sapendo di dover restare là dov'è sempre stata, avvinghiata all'oceano su cui l'Europa tramonta.
Cineteca
2006
Nel solco della tradizione
Chiaramente, per noi e per loro questa è la finale. Chi vince questa partita, vincerà per inerzia la coppa del mondo. Come tutti sanno, l'Italia, verso la fine del secondo tempo supplementare, segna due gol, espugna il Westfalestadion e muove verso Berlino. "Quei due gol, signore e signori, sintetizzano e rappresentano e tramandano alla memoria del XXI secolo cosa sia il cosiddetto 'calcio all'italiana': una miscela di ingredienti irriducibili alla formula del catenaccio, come ancora oggi spesso si sente dire. Guardate Andrea Pirlo. Raccoglie la sfera al limite dell'area dopo un corner, e immediatamente davanti a lui si parano quattro tedeschi. Finge di tirare, lentamente si sposta in orizzontale. Improvviso e beffardo, il colpo di tacco che nessuno immaginava, un invito per Fabio Grosso che, di prima intenzione e di interno sinistro, scolpisce un pallone che gira e gira e gira con rotazione perfetta, e imprendibile muore là dove per Lehmann è impossibile arrivare. Astuzia e doti tecniche sopraffine, ecco il primo ingrediente. Passiamo al secondo gol, occorso a distanza di un solo minuto, quando la vostra furente Fussballmannschaft si era rovesciata disperatamente nella metà campo italiana. Podolski esibisce tutta la sua mesta broccaggine con un controllo di palla amatoriale; Fabio Cannavaro ha capito benissimo l'antifona. Lo aggredisce, rubargli la sfera è un gioco da ragazzi. Pochi metri più avanti c'è Totti, che allunga in profondità per Gilardino. Situazione di uno contro uno, siamo già al limite dell'area. Gilardino rientra sul destro, finge il tiro ma sa che da dietro, alla sua sinistra, sta arrivando a tutta velocità Alessandro Del Piero. L'appoggio è calibratissimo, e Del Piero, ancora di prima intenzione ma di interno destro, indirizza il pallone all'incrocio dei pali, quello alla sinistra del vostro incolpevole Lehmann. Il tutto in una dozzina di secondi, molto meno di quanto è stato necessario per descrivere l'azione. Contropiede fulmineo, razionale e maligno, ecco il secondo ingrediente. Signore e signori, le due azioni appena rievocate hanno un contenuto artistico ed emotivo immisurabile. Sono due capolavori esposti nel museo del football di questo secolo appena nato, prodotto di quella scuola che, da Meazza in giù, non ha mai cessato di reinventarsi, sempre nel solco della sua alta tradizione".