I nomi del Ferencvaros
Monsù Poss, ci parli della squadra che stasera affronta l'Inter, a San Siro, per l'andata dei quarti di finale di Coppa dei campioni. "La squadra che in regime dì Coppa dei campioni è ospite questa sera dell'Internazionale allo stadio di San Siro aveva un grande nome una volta. Fu una delle più grandi che il calcio magiaro abbia mai prodotto. Nel corso dei suoi sessantasette anni di vita ha vinto ventun volte, certo non consecutive, il campionato dell'Ungheria, ha riportato due volte la Coppa dell'Europa centrale nei lontani anni 1928 e 1937 e si è classificata prima l'anno scorso nella Coppa delle Fiere. Il suo nome data dai tempi dell'impero absurgico ed era storico a Budapest. Tanto che nell'ultimo dopoguerra, nella mania di abolire ogni cosa che ricordasse il passato, il nome stesso venne senz'altro cancellato e sostituito da altro attinto da un prodotto alimentare. Non fu che più tardi, quando le acque politiche si quietarono alquanto in Ungheria, che i tifosi riuscirono ad imporre al sodalizio il ritorno al vecchio storico nome. Sotto questo nome il Ferencvaros è tornato ad imporsi conquistando nuovamente l'anno scorso il titolo di campione del Paese. Esso è ridiventato ora uno dei fornitori principali della squadra nazionale, alla quale ha già dato, ultimamente, la bellezza di sette elementi, fra i quali il noto centravanti Albert. La squadra non si trova attualmente in piena forma, a seguito del riposo calcistico che regna in Ungheria durante l'inverno. Per questo motivo essa è andata a prepararsi in Svizzera per l'incontro di stasera. Ma il Ferencvaros è la dimostrazione pratica che certe cose del passato non si possono distruggere. Basta pensare agli uomini che essa ha prodotto nei tempi del passato, quando gli incontri fra le nazionali dell'Italia e dell'Ungheria costituivano uno degli avvenimenti prelibati del calcio europeo. Si chiamavano, questi uomini, Sarosi, Turay, Takacs, ed essi hanno dato luogo a una generazione classica che nessuno di noi ha dimenticato". Certamente no. Beh, com'è finita stasera con l'Inter?
1977
Auf wiedersehen, Kaiser!
Parigi val bene un addio, e come no. E dove poteva il Kaiser, altrimenti, dare l'addio alla sua Nationalmannschaft? Vestita quella maglia in 103 occasioni, restava da mettere al braccio la cinquantesima fascia da capitano. Al Parco dei Principi, certo, e a soli 32 anni, non ancora compiuti peraltro. Con lui ci sono ormai pochi della vecchia, grande compagnia bavarese: Sepp Maier, certo; e l'antico mastino del suo reparto, Berti Vogts, rivale però di mille battaglie nella Bundesliga. Sì, c'è anche Bernd Hölzenbein, in quel magico pomeriggio all'Olympiastadion del '74 giocava anche lui. Intorno, alcuni giovani aspiranti alla successione. Tra tutti, il Kaiser predilige Kalle, Karl-Heinz Rummenigge, poco più che ventenne, enorme promessa del Bayern. Il Bayern, già. Franz ha deciso che anche Monaco va per ora lasciata alle spalle. Andrà a New York, giocherà un po' di partite con Pelé. Che coppia! Intanto, c'è da onorare la partita. I francesi. Li guarda dall'alto verso il basso, prima del calcio d'inizio. Alcuni li conosce già, perché giocano nel Saint-Etienne e gli avevano conteso la Coppa dei Campioni l'anno precedente: naturalmente senza fortuna. C'è anche un ragazzino della stessa età di Kalle, gioca nel Nancy; Franz si accorge di essere osservato proprio da lui, con sguardo meno timido che furbo. "Come ti chiami, ragazzo?". "Michel", risponde tendendogli la mano. "Michel, e poi?". "Michel Platini: piacere!". Ecco. La partita può iniziare, ma il pensiero corre altrove. Al passato, al futuro. Il re del decennio successivo è stato già designato da Eupalla, e nessuno ancora lo sa. Ma era giusto che i due, almeno per una sera, almeno per un gioco, si disputassero lo stesso pallone. Vinsero i francesi, uno a zero, ma poco importa.
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