23 giugno

1954
La disfatta del Saint-Jakob

Molto bene. Abbiamo spezzato le reni al Belgio e ci giochiamo al Saint-Jakob di Basilea contro la Svizzera lo spareggio per essere ammessi al tabellone dei quarti. Eravamo una 'testa di serie', e così invece di affrontare l'Inghilterra ci toccano due volte gli elvetici padroni di casa e sornioni. Molto bene. Abbiamo già perso la prima, ma era l'esordio, dovevamo acclimatarci. Acclimatati, perdiamo anche la seconda. Anzi, la seconda è una autentica disfatta. Contro il truculento verrou di Karl Rappan (foto) schieriamo le pulci, e la squadra è lanciata a un dissennato arrembaggio. Ne busca quattro, in ovvie azioni di contropiede. "Se gli italiani disponessero ancora di giocatori del calibro di un Meazza, le cose sarebbero andate diversamente", scrive un quotidiano di Berna. Già, tutti ronzini i nostri, con l'eccezione di quelli rimasti a casa. Come che sia, "i mondiali del '54 perdono gli italiani ... e ci guadagnano in qualità" (Brera). Purtroppo, nei nostri favolosi 1950s il peggio deve ancora venire.
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1965
Il veterinario

Máté Fenyvesi esordì con la maglia numero undici dell'Ungheria nella prima partita giocata dai magiari dopo l'incredibile sconfitta di Berna. Compiva ventuno anni proprio in quel giorno (era il 19 settembre del 1954), e per dodici lunghe stagioni, fino al 1966, quella maglia fu ininterrottamente sua. Lui non abbandonò il paese dopo i tristi eventi del '56; Máté non prese il volo, anzi: studiò da veterinario, giocò centinaia di partite per il Ferencváros, e poi si diede alla politica. In Italia fece capolino un paio di volte, nel 1965, prima a Roma e poi a Torino, per due partite di Coppa delle Fiere. Segnò a Roma, e segnò anche a Torino. Ma il gol di Torino contava molto: fu il solo della finale (finale in partita unica), e dunque la decise, e di conseguenza rovinò la festa alla Juventus di Heriberto Herrera, sottolineandone già alla prima occasione una carente vocazione europea. Triste serata, per i bianconeri; e triste giornata, vissuta nel lutto per la morte di Carlo Carcano, l'uomo che, prima della guerra, li aveva guidati alla conquista di svariati consecutivi scudetti. Fu la prima e unica competizione continentale conquistata da un club ungherese nell'età moderna. Un barlume di luce, nella tristezza.


1974
Come una montagna di ricotta

L'ultimo giorno della vacanza pallonara italiana in Germania è arrivato. Si gioca a Stoccarda, contro la poderosa Polonia già qualificata al secondo girone. Basta un pareggio. Sarebbe bastato, ma alla fine del primo tempo siamo sotto di due gol. Perché abbiamo sprecato, perché l'arbitro non ci ha assegnato un sacrosanto rigore. Per via delle beghe politiche e tattiche, i dissidi, i litigi, il declino dei nostri campioni. "In sostanza, ci eravamo comportati come potrebbe un generale che, non avendo esercito, decida di affrontare il nemico mostrandogli le foto dei suoi defunti eroi. Molti erano i morti nella piccola armata azzurra. Valcareggi o chi per lui non ha voluto accorgersene" (Gianni Brera). Così, si torna a casa. Mestamente. "La spedizione è fallita su tutti i piani: partita con la maestosità organizzativa di una flotta che non teme alcuna corazzata nemica, la tribù azzurra si è sgretolata per strada come una montagna di ricotta" (Giovanni Arpino).


1984
Verbum Regis

C'è un motivo per cui il Portugal, inteso come Selecçao das Quinas, non aveva mai vinto nulla. E questo motivo era da tutti gli osservatori individuato nell'inclinazione a costruire giocatori raffinati ma che detestano il principale senso del gioco: fare gol. Unica, storica eccezione: Eusébio - ma, appunto, portoghese non era. Oggi, finalmente, c'è Cristiano Ronaldo. Tuttavia, vi sono state circostanze in cui la sfortuna e altri fatti imprevedibili e imprevisti hanno fatto capolino e messo a soqquadro il corso degli eventi. Per esempio, nella semifinale europea del 1984, che oppose il Portogallo alla Grande Francia di Roi Michel. Già. A sei minuti dalla fine del secondo tempo supplementare i galletti sono virtualmente spennati, e messi fuori dal loro campionato in semifinale. C'era un centravanti a Lisbona, giocava nello Sporting e si chiamava Rui Manuel Trinidade Jordão. Anzi,  Jordão e basta: Doppietta. Purtroppo per la Lusitania, c'era un difensore a Touluse, si chiamava Jean-François Domergue, aveva un tiro mancino apprezzabile. Doppietta, due a due. Naturalmente, il re sbadigliante si destò giusto in tempo per emanare il decreto che portava la Francia in finale. Promulgò la legge (foto) a un minuto dal termine, nella sovrana solitudine cui fu abbandonato vicino all'area del portiere, con la porta spalancata.
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