1929
La Finalissima
L'esordio di Vittorio Pozzo è maiuscolo e denso di maiuscole: "La Finale del Campionato italiano culmina ancora una volta in una Finalissima". Monsù, lo prevede il regolamento: anche se è l'ultima volta, due gironi, e le vincitrici si contendono lo scudetto. Quest'anno, Bologna e Torino.
"Come è nell'ordine naturale delle cose, e come è nella tradizione".
Appunto. Dunque?
"Nel Calcio, come in ogni genere di attività di carattere dinamico, ogni azione provoca ed è seguita da una reazione, uguale e contraria. Chi vince, si addormenta. E lo sconfitto del primo incontro, diventa il vincitore del secondo".
E' così scontato?
"Ora che le due correnti in conflitto si sono sfogate ed ognuna ha detto la sua, viene la Finalissima in campo neutro, a dir la parola decisiva, o perlomeno a dir la parola che si spera decisiva".
Monsù, finalmente abbiamo capito. Non è una 'Finalissima', è uno spareggio. Certo, risolvere tutto in due ore è triste, vero?
"Sì, ma la saggezza dei Gerarchi sommi dello Sport italiano ha notato l'incongruenza della cosa".
Meno male: dal prossimo campionato, girone unico. Serie A. Oltretutto, o si risolve tutto oggi "così in quattro e quattr'otto, alla gran carlona", o si rimanda a settembre. Torino e Bologna hanno in programma lucrose tournée in Sudamerica, non è il caso di rimandare la partenza. Insomma monsù, chi vincerà?
"I due gladiatori stan ora di fronte e si possono guardare negli occhi con lo stesso sguardo, con la stessa coscienza, con la stessa fermezza".
E va bene. Ai posteri l'ardua sentenza.
Cineteca"Come è nell'ordine naturale delle cose, e come è nella tradizione".
Appunto. Dunque?
"Nel Calcio, come in ogni genere di attività di carattere dinamico, ogni azione provoca ed è seguita da una reazione, uguale e contraria. Chi vince, si addormenta. E lo sconfitto del primo incontro, diventa il vincitore del secondo".
E' così scontato?
"Ora che le due correnti in conflitto si sono sfogate ed ognuna ha detto la sua, viene la Finalissima in campo neutro, a dir la parola decisiva, o perlomeno a dir la parola che si spera decisiva".
Monsù, finalmente abbiamo capito. Non è una 'Finalissima', è uno spareggio. Certo, risolvere tutto in due ore è triste, vero?
"Sì, ma la saggezza dei Gerarchi sommi dello Sport italiano ha notato l'incongruenza della cosa".
Meno male: dal prossimo campionato, girone unico. Serie A. Oltretutto, o si risolve tutto oggi "così in quattro e quattr'otto, alla gran carlona", o si rimanda a settembre. Torino e Bologna hanno in programma lucrose tournée in Sudamerica, non è il caso di rimandare la partenza. Insomma monsù, chi vincerà?
"I due gladiatori stan ora di fronte e si possono guardare negli occhi con lo stesso sguardo, con la stessa coscienza, con la stessa fermezza".
E va bene. Ai posteri l'ardua sentenza.
Epifania di Pelé
Si gioca la prima di due partite tra Argentina e Brasile, e c'è in palio la settima edizione della Copa Julio Roca, competizione ogni tanto rispolverata per onorare la memoria di 'El Zorro', alias Alejo Julio Argentino Roca, protagonista della politica argentina nei decenni a cavallo tra Otto e Novecento. Calcisticamente dunque, Pelé nasce settimino, poiché esordisce nella Seleçao non avendo ancora compiuto diciotto anni. Si gioca all'Estádio do Maracanã, e lui non è nell'XI di partenza. Subentra e segna subito un gol, quello del momentaneo uno a uno. Inutile, perché l'albiceleste torna a Baires con una vittoria nello zaino. Ma che importa?
1974
L'accelerazione di Cruijff
Sapevo che c'era la finale, e avevo sentito parlare dell'Olanda. Alcuni amici provavano a descrivermi quel suo nuovo modo di giocare, e si perdevano in discorsi ingarbugliati. A uno, il più estasiato, uscirono addirittura gli occhi dalle orbite, e ci volle del tempo perché tornassero al loro posto.
A ogni modo, decisi di dare un'occhiata di persona. Capirete: avevo visto l'ultima volta una partita di calcio nel '54. Sì, anche allora si trattava di una finale, e anche allora giocava la Germania. Quindi accesi la tv, e mi annotai su un foglio i nomi dei giocatori. Mi incuriosiva soprattutto quello col numero quattordici, tutti giuravano e spergiuravano che si trattasse di un autentico padreterno. Come Hidegkuti? - domandavo. E chi diavolo è, rispondevano i più giovani.
A ogni modo, mi ricordo come fosse ora. Il primo pallone è degli arancioni. Sviluppano una fitta trama di passaggi, lenti, orizzontali, nella propria metà campo. Improvvisamente si portano in avanti. Poi tornano indietro. Quando riceve il pallone, Cruijff è il giocatore in posizione più arretrata - escluso naturalmente Jongbloed, il portiere, ammesso che questi giocassero col portiere e non ne sono così certo. Il numero quattrodici è lì, nel cerchio di centrocampo, con la palla tra i piedi. Non è la prima che tocca, si è già impossessato della partita: i movimenti dei compagni sono quelli ordinati da lui, ma ora si capisce che sta decidendo di fare qualcosa di insolito. Tutti gli stanno alla larga, anche i suoi, non deve avere un bel carattere.
Ma è un trucco.
Stanno semplicemente creando lo spazio che gli serve. Lui scatta una, due volte. Se prende velocità, Vogts non lo può contrastare. L'ultima accelerazione è devastante (foto). Perché non arrivi a contatto con Maier, occorre che qualcuno lo butti giù, e ci pensa Uli Hoeness.
L'arbitro è a due metri, volente o nolente il rigore va assegnato e lui lo assegna. Nessuno protesta, Beckenbauer è stizzito e scambia due battute con Taylor - l'arbitro, appunto ("non è giusto: non avevamo ancora toccato il palone!") -, Neeskens trasforma dal dischetto, e chi avrebbe scommesso un marco sulla Germania alzi la mano.
Io infatti avevo capito tutto, o così almeno credevo.
Ciò che avevo visto mi era bastato. Spensi la tivù e me ne andai a zonzo, non c'era motivo di perdere tempo per guardare una partita senza storia.
Venni a sapere solo a distanza di molti anni, e in maniera del tutto casuale, che poi la Germania rimontò e vinse la partita, prendendosi la seconda coppa del mondo.
CinetecaA ogni modo, decisi di dare un'occhiata di persona. Capirete: avevo visto l'ultima volta una partita di calcio nel '54. Sì, anche allora si trattava di una finale, e anche allora giocava la Germania. Quindi accesi la tv, e mi annotai su un foglio i nomi dei giocatori. Mi incuriosiva soprattutto quello col numero quattordici, tutti giuravano e spergiuravano che si trattasse di un autentico padreterno. Come Hidegkuti? - domandavo. E chi diavolo è, rispondevano i più giovani.
A ogni modo, mi ricordo come fosse ora. Il primo pallone è degli arancioni. Sviluppano una fitta trama di passaggi, lenti, orizzontali, nella propria metà campo. Improvvisamente si portano in avanti. Poi tornano indietro. Quando riceve il pallone, Cruijff è il giocatore in posizione più arretrata - escluso naturalmente Jongbloed, il portiere, ammesso che questi giocassero col portiere e non ne sono così certo. Il numero quattrodici è lì, nel cerchio di centrocampo, con la palla tra i piedi. Non è la prima che tocca, si è già impossessato della partita: i movimenti dei compagni sono quelli ordinati da lui, ma ora si capisce che sta decidendo di fare qualcosa di insolito. Tutti gli stanno alla larga, anche i suoi, non deve avere un bel carattere.
Ma è un trucco.
Stanno semplicemente creando lo spazio che gli serve. Lui scatta una, due volte. Se prende velocità, Vogts non lo può contrastare. L'ultima accelerazione è devastante (foto). Perché non arrivi a contatto con Maier, occorre che qualcuno lo butti giù, e ci pensa Uli Hoeness.
L'arbitro è a due metri, volente o nolente il rigore va assegnato e lui lo assegna. Nessuno protesta, Beckenbauer è stizzito e scambia due battute con Taylor - l'arbitro, appunto ("non è giusto: non avevamo ancora toccato il palone!") -, Neeskens trasforma dal dischetto, e chi avrebbe scommesso un marco sulla Germania alzi la mano.
Io infatti avevo capito tutto, o così almeno credevo.
Ciò che avevo visto mi era bastato. Spensi la tivù e me ne andai a zonzo, non c'era motivo di perdere tempo per guardare una partita senza storia.
Venni a sapere solo a distanza di molti anni, e in maniera del tutto casuale, che poi la Germania rimontò e vinse la partita, prendendosi la seconda coppa del mondo.
Tratto da Michele Ansani, Lenta può essere l'orbita della sfera
La rabbia di Davids
La zompata è impressionante. Mancano tre minuti, il Brasile noiosamente aspetta il triplice fischio, gli arancioni sono irretiti e - sembrerebbe - rassegnati. Di quel tipo di rassegnazione che si manifesta quando pare la storia si ripeta. L'unico che era in campo anche quattro anni fa: Dennis Bergkamp, non propriamente quel che si dice un assatanato. Lui invece a Dallas non c'era, chissà perché: Edgar Davids la vide in televisione, e si capisce che quella sconfitta ancora gli rode. Così, mentre i suoi si stanno smarrendo nell'ennesimo approssimativo palleggio a metà campo, sulla sfera destinata a carambolare come sempre tra i piedi di qualche brasiliano lui si getta con abnegazione totale, con la folle rabbia agonistica di quelli cui perdere senza dannarsi l'anima per evitarlo davvero non piace. Un balzo fenomenale. Raggiunge per primo il pallone e col sinistro, di mezza punta si direbbe, lo allunga verso Ronaldo De Boer, libero in fascia. Libero di controllare, di fare qualche metro, alzare la testa e scodellare. In area ci sono parecchie caselle vuote, e su una di esse di avventa Patrizio Kluivert, che stacca e schiaccia in rete. Uno a uno. Tempi supplementari. Ci sarà il golden goal? No, non ci sarà. Sul Vélodrome si infittisce la notte e scende la paura.