L'umiliazione del Praterstadion
Monsù Poss si reca sempre volentieri a Vienna. Tanti amici, belle partite. Vinte, perse. Pochi rimpianti, da commissario unico. Anzi. Da cronista, raggiunge per l'ennesima volta il Praterstadion: dovrà scrivere su Wiener-Juventus, gara di ritorno del primo turno di Coppa dei campioni. Benché attrezzati di un buon vantaggio conseguito al Comunale (tre a uno), i bianconeri si offrono inermi agli austriaci, lasciandosi travolgere da un inesorabile quanto imprevedibile, sconcertante e memorabile sette a zero. Monsù è esterrefatto: "un rovescio di questa misura e di questa natura da anni una squadra italiana più non lo subiva all'estero. Uno degli spettacoli più dolorosi di queste ultime esperienze nostre". Ma cos'è successo? Calma. Meglio "fermarsi un momentino, grattarsi la pera e pensarci su prima di partire in considerazioni che in un senso o nell'altro possono poi a ragion veduta apparire avventate". Dovevamo immaginarlo: la penna e la prosa di Pozzo si inceppano, quando hanno a che fare con situazioni incresciose. Dunque, Monsù, fuori il rospo: era così forte il Wiener Sport-Club? Certo, come avversario "il più scorbutico che possa capitare fra i piedi". D'accordo, ma il calcio austriaco (come quello italiano, d'altra parte) non era in crisi? Certo, ma "al cospetto nostro alza ogni volta la testa in atteggiamento di grande fierezza". D'accordo, ci sono i trascorsi che ci sono. E la Juve? La Juve "è stata battuta in tutti quanti i dipartimenti e sotto tutti quanti gli aspetti del gioco". Ah, i dipartimenti: boh! Per caso ci sono stati errori nella scelta degli undici messi in campo? Certo, "la formazione della compagine che è stata mandata in campo - conoscendo le condizioni fisiche o morali dei singoli giocatori - noi non l'abbiamo capita". E cosa c'era di sbagliato nella formazione? Monsù è stanco, si è fatto tardi. Per un'accurata analisi, deve pensarci ancora un po' su.
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