Il Brasile e la luna
"Col senno di poi", scrisse Garry Jenkins, "sembra naturale che Pelé e i brasiliani del 1970 arrivassero nei nostri soggiorni l'anno successivo al primo atterraggio sulla Luna. Tostao e Gerson, Jairzinho e Carlos Alberto non avevano solo il numero in comune con Neil Armostrong e il suo equipaggio. Erano, dopo Apollo 11, il secondo grande evento della nuova era mediatica".
Il gol-icona dell'evento fu segnato da colui che, della Seleçao, era il capitano: "Carlos Alberto stava arrivando in corsa, con la traiettoria intimidatoria di un siluro. Vedendolo arrivare, Pelé si volta senza fretta e appoggia il pallone verso di lui con la rilassata precisione di un giocatore di bocce. Senza bisogno di deviare, controllare o regolare il suo passo, Carlos Alberto colpisce il pallone di destro, indirizzandolo basso verso il palo destro della porta custodita da Albertosi".
Quel gol fu peraltro l'ultimo di una partita già ampiamente decisa; la Coppa intitolata a Jules Rimet trovava la sua giusta e definitiva collocazione (Zagallo e Pelé conclusero il lavoro avviato insieme nel 1958); e non c'è dubbio che la fase della storia del football apertasi nel secondo dopoguerra conosceva all'Azteca un simbolico e spettacolare epilogo. Già. Perché, nonostante la magnificenza del gioco, quel Brasile non rappresentava il futuro "luminoso e luccicante" del calcio, e la leadership culturale fu immediatamente ripresa dall'Europa. In Germania, nel '74, la Seleçao porterà un gruppo di giocatori la cui qualità complessiva non poteva competere con l'efficienza fisica e tattica delle migliori rappresentative continentali: dal confronto con l'Olanda usciranno letteralmente a pezzi. O Rey, nel frattempo, era traslocato direttamente nella leggenda, spendendo il suo tramonto di atleta nel tentativo di evangelizzare l'America. Dal canto loro, gli italiani si accapigliarono a lungo per i soli sei minuti che Valcareggi concesse a Rivera nella finale (persino Brera fu costretto ad ammettere che si trattava dell'unico fra i nostri capace di imbeccare da lontano Boninsegna e Riva, controllati 'a zona' dai soli due uomini di un reparto difensivo che naturalmente non contemplava la presenza di un 'libero'); alla lunga, tuttavia, ebbero nel cuore i cosiddetti messicani, che persero la finale ma avevano vinto contro i tedeschi la 'partita del secolo'.
Il gol-icona dell'evento fu segnato da colui che, della Seleçao, era il capitano: "Carlos Alberto stava arrivando in corsa, con la traiettoria intimidatoria di un siluro. Vedendolo arrivare, Pelé si volta senza fretta e appoggia il pallone verso di lui con la rilassata precisione di un giocatore di bocce. Senza bisogno di deviare, controllare o regolare il suo passo, Carlos Alberto colpisce il pallone di destro, indirizzandolo basso verso il palo destro della porta custodita da Albertosi".
Quel gol fu peraltro l'ultimo di una partita già ampiamente decisa; la Coppa intitolata a Jules Rimet trovava la sua giusta e definitiva collocazione (Zagallo e Pelé conclusero il lavoro avviato insieme nel 1958); e non c'è dubbio che la fase della storia del football apertasi nel secondo dopoguerra conosceva all'Azteca un simbolico e spettacolare epilogo. Già. Perché, nonostante la magnificenza del gioco, quel Brasile non rappresentava il futuro "luminoso e luccicante" del calcio, e la leadership culturale fu immediatamente ripresa dall'Europa. In Germania, nel '74, la Seleçao porterà un gruppo di giocatori la cui qualità complessiva non poteva competere con l'efficienza fisica e tattica delle migliori rappresentative continentali: dal confronto con l'Olanda usciranno letteralmente a pezzi. O Rey, nel frattempo, era traslocato direttamente nella leggenda, spendendo il suo tramonto di atleta nel tentativo di evangelizzare l'America. Dal canto loro, gli italiani si accapigliarono a lungo per i soli sei minuti che Valcareggi concesse a Rivera nella finale (persino Brera fu costretto ad ammettere che si trattava dell'unico fra i nostri capace di imbeccare da lontano Boninsegna e Riva, controllati 'a zona' dai soli due uomini di un reparto difensivo che naturalmente non contemplava la presenza di un 'libero'); alla lunga, tuttavia, ebbero nel cuore i cosiddetti messicani, che persero la finale ma avevano vinto contro i tedeschi la 'partita del secolo'.