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Un inglese a Rio
"Quanta disorganizzazione! Le colombe, le fanfare e i colpi di cannone non risolvono i problemi. E nessuno che mi venga incontro. Peggio per loro. Se io non arrivo, la partita ovviamente nemmeno comincia, e la coppa neppure". George Reader, compaesano di Shakespeare e arbitro designato di Brasil-México, overture del campionato del mondo, si stava perdendo nelle viscere del Maracanã. Alla fine, tuttavia, riuscì a sbucare sul prato, e fece persino in tempo a indossare la divisa. Beh, si dirà, potevano giocare anche senza di lui, cosa sarebbe cambiato? Il Brasile può fare a meno di tutto, è incline all'improvvisazione e nel futebol la esprime con massima allegria. In fondo, anche i messicani si saranno divertiti, subendo quattro gol da questi ballerini di samba, dieci ballerini più il portiere e ciascuno che si muoveva al ritmo della propria musica. Serio serio, Reader - da onest'uomo delle West Midlands - fece il suo lavoro e non dispensò molti sorrisi. Anzi. Fu abbastanza infastidito da quell'invasione di fotografi e giornalisti dopo il primo gol, ma non si fece impressionare, e con fermissima calma rese chiaro a tutti quali fossero le regole da osservare in simili circostanze. "Non si intervistano i giocatori durante la partita! Fuori dai piedi, o la sospendo!" Mentre il match procedeva verso un naturale e scontato epilogo, il suo sguardo si posava di tanto in tanto sulla folla, tutt'intorno. Gli sembrava di essere nell'epicentro di un terremoto.
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Il freddurista
Derby della madonnina negli ottavi di Italia '90. Al Meazza vince l'Inter (gol di Klinsmann e Brehme); platonica la presenza nel tabellino di Ronald Koeman, che due anni prima ad Amburgo era stato l'unico a dare la propria in cambio della maglia di un avversario, salvo mimarne un uso singolare sotto la tribuna centrale del Volksparkstadion. Il solo milanista a lasciare una traccia profonda nella partita è il mite Franklin Edmundo Rijkaard: si prende un rosso per aver espettorato in testa a Rudolf ('Rudi') Völler, che gli dava le spalle (foto). Un 'gesto' del quale nessuno ha mai saputo il motivo; forse il primo episodio del genere colto dalle telecamere e immediatamente ritrasmesso dal satellite ai quattro angoli dell'universo. Il disgusto fu unanime. Anche il tedesco fu espulso, senza ragioni apparentemente comprensibili. Si parlò di epiteti razzisti; prima Völler, poi Rijkard negarono la circostanza. A distanza di tempo Frankie dirà: "a pensarci adesso è davvero buffo, no?". E' un noto freddurista. Ma anche un olandese originario delle Indie occidentali; per lui la vittoria dei tedeschi non era un evento insopportabile. Così, dopo la battaglia di Milano, i migliori poeti olandesi non vennero nuovamente sollecitati a versificare, com'era accaduto nel 1988. I cittadini di Amsterdam non corsero più in strada per gettare simbolicamente nel cielo le proprie biciclette. Ci fu solo qualche disordine lungo la frontiera. Dal canto loro i tedeschi, che erano sembrati irresistibili nelle prime partite, uscirono un po' storditi da quell'ordalia; arrivarono in fondo al torneo e lo vinsero, ma nessuno si divertì più guardandoli giocare.
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